Paso 750, Paso 906 e Ducati 907 I.E.

Paso 750, Paso 906 e Ducati 907 I.E.

Il Paso 750 fu presentato al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano del 1985 e subito colpì la sua originalissima veste estetica, frutto del genio di Massimo Tamburini.

paso-750-ducati immagine frontaleIl Paso 750 fu presentato al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano del 1985 e subito colpì la sua originalissima veste estetica, frutto del genio di Massimo Tamburini: una carenatura integrale, raccordata con il serbatoio e le fiancate, dal profilo aggressivo, filante e aerodinamico, con l’assenza del plexiglas del cupolino.
Il tutto contraddistinto dal logo Ducati e dall’elefantino simbolo della Cagiva, azienda che due anni prima ne aveva acquisito la quota di maggioranza.
Il progetto iniziale prevedeva una motorizzazione di 350 cc e una di 750 cc, sempre utilizzando il motore del Pantah, ma al momento della produzione la versione di minore cilindrata venne accantonata.
La sua inedita e prorompente personalità fecero apparire il Paso come una grande novità nel panorama motociclistico dell’epoca: anche oggi, non possiamo che ammirare le sue linee, quel mix di sportività ed eleganza che, se riportato al mondo delle quattro ruote, non può che ricordare la Ferrari: anche da fermo, il Paso sembra che vada a 300 all’ora!

Del resto, la mano di Tamburini è ben visibile in molti particolari, dalla strumentazione al gruppo ottico posteriore, passando per la maniglia di appiglio per il passeggero, che rappresenta un elemento apprezzabile anche dal punto di vista aerodinamico, con gli indicatori di direzione integrati negli specchietti retrovisori, soluzione che diventerà un classico sulle moto del designer romagnolo (vedi MV Agusta F4).
Poi, fu sicuramente la scelta della carenatura integrale a dare una personalità unica alla moto: questa era stata concepita (altra caratteristica del lavoro di Tamburini, dove estetica e design sono sempre il risultato della funzionalità tecnica) in base alle necessità di raffreddamento del motore, come dimostravano le apposite prese d’aria presenti sulla carena, sistema definito, come recitava la scritta sul fianco della moto, “Controlled Air Flow”.

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Dopo essere uscito dalla Bimota, che aveva contribuito a fondare, Massimo Tamburini entra a far parte della Cagiva, in quegli anni proprietaria di Ducati. Ecco perché fu proprio Tamburini a sviluppare il progetto Paso, sul quale troviamo il classico elefantino dalla Casa varesina insieme al logo Ducati.

Quello che poi distinse fin dal principio il Paso fu la rottura con la filosofia e la tradizione Ducati: il telaio, infatti, era una struttura a doppia culla in tubi a sezione quadra, assai meno elegante del classico traliccio, ma molto funzionale e del resto destinata a essere nascosta dalla carenatura integrale.
Il motore, che adottava le stesse valvole del 750 F1 Santamonica (Ø 41 mm all’aspirazione e Ø 35 mm allo scarico) con un rapporto di compressione di 10:1, aveva abbastanza cavalli, almeno 65 netti alla ruota, per superare i 200 Km/h con discreta facilità e buona accelerazione.

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Il telaio del Paso si discosta nettamente dalla tradizione Ducati: è infatti una struttura a doppia culla con tubi di sezione quadra. Il forcellone, al contrario dei precedenti modelli con motore Pantah, è infulcrato sul telaio invece che sul motore.

Ducati-paso-750(5)Inoltre, il Pantah 750 riceve per il Paso una nuova testa per il cilindro posteriore, ruotata di 180°: in questo modo, entrambe le luci di aspirazione convergono verso il centro della “L” del bicilindrico, modifica che consentirà di sostituire i tradizionali carburatori Dell’Orto con un carburatore Weber doppio corpo verticale di derivazione automobilistica: una soluzione che non fu mai in grado di ottenere le stesse prestazioni dei Dell’Orto montati sulla F1, con in più il difetto che il Weber, in quella posizione al centro del V, aveva la tendenza a surriscaldarsi nella marcia in città, tanto che non era raro che la benzina ribollisse nella vaschetta, mandando a farsi benedire il minimo.
Al contrario, nei mesi invernali, il Weber rendeva assai complesso l’avviamento del motore, risultando una vera croce per tutti i proprietari del Paso.
Inutile dire che gli appassionati del Marchio sapevano già come risolvere i problemi della Paso 750: ovviamente con una coppia di carburatori tradizionali, tant’è che oggi sono veramente poche le Paso ancora in circolazione con il Weber di primo equipaggiamento.

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Nella pubblicità è chiaro il posizionamento ambizioso della 750!

Un altro difetto della Paso 750 fu poi causato dalla scelta dei cerchi da 16” sui quali erano installati pneumatici di misura 130/60 anteriore e 160/60 posteriore: due gomme che chiaramente regalavano un’ottima stabilità alla moto, ma che al contempo creavano una fastidiosa tendenza al sottosterzo e difficoltà nello scendere in piega, tanto che si rendeva necessaria una guida “di forza”.
La scelta di quella gommatura, poi, si rivelò nel tempo una notevole complicazione per i proprietari della moto, visto che ben presto gli unici pneumatici disponibili in quelle misure divennero i Michelin M59, poi anch’essi ritirati dal mercato.
Un vero peccato, anche perché la mano di Tamburini, oltre che nell’estetica, fu poi evidente nel raffinato e attento studio della ciclistica, lavoro poi in parte vanificato dalle gomme: la moto aveva infatti un interasse di 1450 mm, un valore che in combinazione con l’arretramento della ruota anteriore (dovuta proprio alla scelta dei cerchi di 16″), aveva consentito di ottenere una distribuzione dei pesi del 50/50 con pilota a bordo, un valore cui nessuna ciclistica Ducati si era mai neppure avvicinata.

Ducati Paso 350

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Come scritto nell’articolo principale, l’idea di Cagiva era di affiancare una versione da 350 cc al Paso 750. Il motivo è presto detto: utilizzare il piccolo propulsore su tutta la gamma, visto che era già adottato per la custom Indiana e la sportivissima F3. Allestita solo in pochi prototipi, la piccola sport-tourer fu progettata quindi per utilizzare la medesima componentistica della sorella maggiore.
Contraddistinta dalla colorazione in bianco perlato, che sarebbe stata poi della versione “Limited Edition” 750 per gli Usa, la moto non andò mai in produzione per motivi di cui non conosciamo la versione ufficiale, ma è facile intuire come il propulsore di 350 cc dovesse essere sottodimensionato per una ciclistica così pesante e impegnativa.
Agli oltre 200 Kg di peso doveva infatti aggiungersi l’esuberante gommatura, caratterizzata da pneumatici di 130/60 all’anteriore e 160/60 al posteriore, entrambi da 16 pollici.
Del Paso 350, quindi, se ne perse ogni traccia, tant’è che è anche molto difficile trovarne documentazione fotografica. L’immagine che viene qui riprodotta proviene dal volume “Standard Catalog of Ducati 1946-2005” dell’autore Ian Falloon.

Sul fronte delle sospensioni, la moto era dotata di forcella Marzocchi M1R con steli da 42 mm, contenenti uno la molla e l’altro la sezione idraulica munita di antidive regolabile dall’esterno; al posteriore, invece, operava una sospensione Soft Damp ad articolazione progressiva con ammortizzatore della Öhlins, in seguito sostituito da un’unità Marzocchi.
L’impianto frenante era costituito da tre dischi Brembo in ghisa forati, gli anteriori da 280 mm e il posteriore da 270 mm, sui quali agivano pinze a doppio pistoncino contrapposto. La sella era posta a una altezza di 780 mm da terra, altro valore coerente con il proposito di ottenere una moto fruibile da un ampio pubblico.
Nonostante la bellezza della sua linea, la 750 non riuscì a intercettare i gusti del grande pubblico: da una parte gli appassionati duri e puri, abituati alle ruvidezze delle sportive Ducati dell’epoca, non la ritenevano sufficientemente sportiva e aggressiva, dall’altra il grande pubblico era già in buona parte condizionato dalle prestazioni delle 750 nipponiche, fra tutte la notevole Yamaha FZ 750 che aveva modificato notevolmente i parametri di confronto.
Per il resto, era una magnifica macchina, con un assetto di guida idoneo tanto per la guida sportiva che per quella turistica, con uno dei migliori telai mai costruiti attorno a un motore Ducati.
Verso la fine degli anni Ottanta fu però chiaro che i limiti e i difetti congeniti della versione da 748 cc andavano superati: per rilanciare il modello serviva anzitutto una bell’iniezione di potenza e, come da tradizione Ducati, ciò non poteva avvenire che attraverso l’incremento della cilindrata: arrivò così il Paso 906, la cui sigla indentifica, per le prime due cifre, la cubatura (904 cc), e per la terza il numero di marce.

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Tanti gli elementi caratteristici del design del Paso: un cupolino esteso, integrato con la carenatura, e privo di plexiglas; gli specchietti retrovisori aerodinamici con inseriti al loro interno (forse per la prima volta in ambito motociclistico) gli indicatori di direzione; la sella che ha una forma ad hoc per inserirsi perfettamente nell’insieme e non, come usava al tempo, elemento a sé. L’esemplare in foto si differenzia per i cerchi che sono quelli della 750 Sport e per la sella di colore nero.

Nell’inusuale telaio in tubi quadri venne così alloggiato un motore che sarebbe poi diventato l’icona dei desmodue nel decennio seguente: parliamo del 904 cc “largo”, cuore pulsante delle future Super Sport e Monster di lì a pochi anni.
In realtà, il motore di cui parliamo nacque nient’altro che come semplificazione del desmoquattro della 851: su questi carter vennero installati nuovi cilindri dotati della classica alettatura dei motori a due valvole, ma dotati, per il Paso, di circolazione del liquido refrigerante come già sulle Superbike Ducati.
Il “mix” meccanico fu necessario per consentire la maggiorazione della cilindrata attraverso un alesaggio cospicuo (92 mm) e l’aumento della corsa (68 mm), con un ingombro complessivo che in altezza e lunghezza arrivò a misurare solo 10 mm in più del suo predecessore: una scelta dettata chiaramente dalla necessità di conservare il precedente telaio.
Il raffreddamento a liquido permise di ovviare, in parte, al principale difetto del 750, mentre sul fronte dell’alimentazione rimase il già noto e poco performante carburatore a doppio corpo della Weber con condotti verticali a sezione conica, che trasportò sul 906 gran parte delle problematiche del 750: chi avesse voluto dare nuova linfa alla propria Paso doveva quindi necessariamente ricorrere a due elementi di tipo tradizionale.

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La centralina originaria del Paso 906, quasi impossibile da trovare come ricambio. A dx, il caratteristico frontale, caratterizzato dal cupolino privo di plexiglass e dalle frecce inglobate negli specchietti retrovisori.

Una simile scelta progettuale vanificava di fatto gran parte degli sforzi fatti per ottimizzare le prestazioni del bicilindrico, prima fra tutte la raffinata gestione dell’accensione elettronica.
Questa era affidata alla centralina Magneti Marelli Digiplex: purtroppo, nonostante il sistema fosse sufficientemente affidabile, non mancarono nel corso degli anni casi di guasto alla centralina, il cui costo a ricambio era, come si può ben immaginare, piuttosto elevato. Ancora oggi, nel caso si decida di acquistare un esemplare di 906 usato, occorre tenere conto del costo e della difficoltà nel reperire una Digiplex di ricambio. Al riguardo, in molti hanno provveduto a rimpiazzare tale componente, sostituendo l’intero impianto, prelevato da altri modelli della Casa.

Ducati-paso (8)Ad ogni modo, il propulsore da 904 cc garantiva prestazioni di tutto rispetto, con 88 cavalli dichiarati all’albero e con una discreta affidabilità.
La ciclistica del 906 era di fatto la stessa del modello precedente, da cui ereditava anche i cerchi Oscam da 16’’ con le loro coperture generose (130/60 e 160/60), tali da rendere ancora troppo impegnativa la guida della motocicletta nel misto.
Peccato, perché il Paso 906 aveva tutte le carte in regola per proporsi come valida alternativa turistica alle contemporanee concorrenti giapponesi, con in più una dotazione tecnica di ottimo livello, una fortissima personalità e un comfort perfetto: l’inserimento del pilota nel corpo macchina, infatti, era agevolato da un manubrio rialzato, da una sella piuttosto scavata, da una coppia di pedane non troppo alte e dagli ampi incavi del serbatoio che si raccordavano perfettamente con la carenatura.
L’impostazione del 906, così come per il 750, rappresenta infatti un perfetto compromesso tra l’anima sport e quella touring di questo modello, vale a dire esattamente il compito che era stato chiamato a svolgere, ponendosi in diretta concorrenza con la Honda VFR.

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ll Paso consente il perfetto inserimento del pilota, anche quando è di statura superiore alla media. Questo grazie alla sella particolarmente incavata, alle pedane posizionate non troppo in basso e al manubrio con l’impostazione tipica delle sport tourer.

Diversamente da quanto avvenne col 750, le prestazioni e l’affidabilità erano, almeno sulla carta, più che sufficienti ad attrarre un vasto numero di scettici o indecisi acquirenti, ma purtroppo, ancora una volta, la moto fu penalizzata dalla scelta della gommatura e dai Weber, tant’è che non riuscì a ottenere i risultati commerciali che si sarebbe meritata, rimanendo di fatto un prodotto di nicchia.

La piccola rivoluzione introdotta dal Paso 906 non era abbastanza per esaurire l’evoluzione del progetto di Tamburini, rimanevano ancora numerosi aspetti da migliorare per raggiungere l’eccellenza, la quale arrivò nel 1991 con il 907 i.e. che non a caso, almeno ufficialmente, perse il nome “Paso”: ovviamente era sempre lui, ma la distanza con il primo 750 era tanta e tale che fu probabilmente necessario cercare una discontinuità col passato.

 
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Anche se non si chiama più Paso è sempre lui: il 907 completa il percorso di questa bella e affascinante famiglia, che sulla sua strada ha incontrato non poche difficoltà, ma che la rende presenza indispensabile nel garage dell’appassionato Ducati.

Le sovrastrutture erano in gran parte le medesime del 906, ma le differenze sostanziali erano ben più rilevanti, andando praticamente a risolvere, o eliminare alla radice, tutte le problematiche dei precedenti modelli.
Prima di tutto, la moto era dotata di iniezione elettronica, con corpi farfallati da Ø 42 mm: non era cosa di poco conto perché così veniva finalmente eliminato ogni problema di carburazione, i due cilindri venivano alimentati in condizioni di assoluta parità, così da avere un’ancora più generosa risposta di potenza ai medi regimi, una virtù perfettamente in linea con il suo carattere sempre più marcato di moto da granturismo veloce.
Altra soluzione radicale ai problemi che avevano interessato tutta la famiglia Paso, fu poi l’abbandono delle ruote da 16’’ con l’installazione di due cerchi Brembo da 17’’, equipaggiamento classico per tutte le Ducati di lì a venire.
Mentre il telaio era lo stesso del 906, al posteriore venne installato il forcellone della 851, così da giungere a un maggiore interasse: grazie alla nuova gommatura, la guida e la maneggevolezza migliorarono sensibilmente rispetto a quanto avevano abituato i “vecchi” Paso.

Il depliant pubblicitario dell’epoca mette in risalto i punti forti della proposta 907, primi fra tutti l’iniezione elettronica e i cerchi da 17″. Grazie a queste modifiche, il 907 ha le caratteristiche giuste per essere utilizzato senza problemi anche ai giorni nostri.

Diversamente dai suoi progenitori, la 907 i.e. può essere ancora oggi un valido acquisto, anche se proposta in condizioni non ottimali: senz’altro il valore storico rispetto alla 750 è meno rilevante, ma la ciclistica molto più moderna e la componentistica comune con molti modelli successivi la rendono decisamente appetibile come moto turistica o per l’uso quotidiano.
In primo luogo proprio per la gommatura: mentre gli pneumatici da 16’’ nelle specifiche misure richieste nell’omologazione del 750 e del 906 sono ormai introvabili, per i cerchi da 17’’ del 907 i.e. è disponibile una immensa varietà di calzature in diverse mescole e tipologie.

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L’uscita di scena della serie Paso segnò fortemente il popolo degli appassionati meno estremisti, che dovettero attendere cinque lunghi anni prima di vedere una nuova sport-touring: la Ducati ST2, una moto assai più evoluta e valida dal punto di vista tecnico, ma priva della schiacciante esclusività della sua progenitrice.

Foto di Alessio Barbanti/Electa, Giovanni Del Bravo, Archivio Ducati

Questo articolo ha 6 commenti.

  1. MAURO MONTANESI

    Felice possessore della 907 ie dal 1996 !!!!

  2. bassie nys

    Extraordinary in every way. And a very strong engine.

  3. Allu

    Io ho il 750 Paso, ci ho fatto più di 100000 km e la apprezzo e stimo ancora oggi. Purtroppo è ferma da più di 10 anni per via dei pneumatici

    1. marco brenni

      I pneumatici Ducati Paso 750 li trovi su Internet da una ditta Australiana. Sono ottimi pneumatici Shinko giapponesi importati in Australia e ottenibili via Internet. Sono un po’ cari, ma permettono di ridare vita a questa splendida moto

    2. Armando

      ciao Allu
      vai sul sito della shinko tires Europa e vedrai che troverai i pneumatici per la Paso 750
      tirala fuori dal garage!!!

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