Ducati Multistrada 1000: monografia

Ducati Multistrada 1000: monografia

Design a parte, la Multistrada 1000 è una moto con una dotazione tecnica di prim’ordine e un gran bel motore che sarebbe il caso di riscoprire.

multistrada_1000_ducati_ (5)Bisogna dire che a Ducati non è mai mancato il coraggio di intraprendere strade coraggiose, proponendo modelli che rompono la consueta routine di moto tutte uguali, offrendo così ai motociclisti nuove strade da percorrere. E’ successo più volte, l’esempio più eclatante è forse quello del Monster, ma anche recentemente questo specifico gene della Casa di Borgo Panigale non ha smesso di dare i suoi frutti, come dimostra anche il Diavel e derivati.

Un discorso questo che si può estendere benissimo pure alla Multistrada 1000, moto che andò notevolmente in controtendenza, sia per le sue forme coraggiose che per il concetto guida che era alla base del progetto: una moto che consentisse di guidare ovunque ci fosse asfalto, tenendo così fede al suo nome commerciale.

Con queste parole, alla sua presentazione a Intermot 2002, la presentò David Gross, l’allora Direttore Pianificazione Strategica di Ducati: “La Multistrada rappresenta una nicchia completamente nuova. Unisce le prestazioni e il design di una moto sportiva alla flessibilità e alla praticità di una moto stile Enduro. Dall’asfalto completamente liscio ai ghiaiosi passi di montagna, dal centro città alle brillanti spiagge della Riviera e oltre, la Multistrada è una moto destinata al vero centauro il cui entusiasmo per le moto rappresenta un intenso stile di vita”.

Al netto dell’enfasi commerciale, possiamo dire che in effetti la Multistrada tenne fede alla sua missione, in quanto non è stato certo raro, in questi anni, incontrare qualche esemplare più o meno modificato fra i cordoli della pista, così come fu certo più ampio il numero di coloro che ne coniugarono la funzione di mezzo turistico con la sua anima sportiva.

La moto ebbe una genesi particolarmente lunga se pensiamo che una sorta di preview fu organizzata in occasione del Salone di Milano del settembre 2001, mentre la moto sarebbe andata in produzione solo nel marzo del 2003. Una curiosità di quella prima presa di contatto fu nella definizione del nuovo motore che equipaggiava la Multistrada: nel 2001 era definito come Ducati 1000 TS, l’anno successivo aveva però acquisito il suo appellativo definitivo, quello di Ducati 1000 DS.

Non fu certo l’unica modifica in corso d’opera, in quanto dopo la presentazione a Milano il prototipo fu sottoposto a continui affinamenti tecnici e prove e molti componenti della moto furono ripensati.

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Durante lo sviluppo della Multistrada i tecnici Ducati hanno studiato due tipologie di moto: quelle sportive, caratterizzate da maneggevolezza, elevata potenza e sospensioni di qualità, e le enduro, che si distinguono per comfort di guida e versatilità. Dall’unione di queste peculiarità è nato il progetto della Multistrada, una moto sportiva con buone prestazioni, ma anche versatile e comoda: l’obiettivo era realizzare una proposta che fosse a suo agio sulle strade di montagna, in autostrada, città e addirittura in circuito.

Ma torniamo a parlare del suo motore: si trattava di un bicilindrico raffreddato ad aria dotato di una testata completamente rinnovata, doppia candela per cilindro (da qui DS che significa Dual Spark) con gli alberi a camme che non ruotavano più su cuscinetti a sfere ma su cuscinetti idrodinamici, riducendo le parti in movimento e favorendo la dispersione del calore.

La soluzione della doppia candela era stata scelta per ottenere una combustione completa e maggiore potenza ai regimi intermedi. Tutto ciò per puntare a obiettivi ambiziosi: aumento della potenza massima, coppia, meccanica più semplice, riduzione delle temperature del motore, maggiore affidabilità e minor peso.

Per la progettazione della testa, la strada seguita fu la stessa del contemporaneo propulsore quattro valvole Testastretta, con la diminuzione dell’angolo tra le valvole di aspirazione e scarico: fu così possibile disegnare una migliore forma della camera di scoppio per ottenere una combustione più completa, compressione più elevata e una potenza maggiore.

Fra l’altro, tale nuova configurazione poneva gli alberi a camme in rapporto più diretto con le valvole, riducendo così l’attrito e la sollecitazione esercitata sui componenti delle valvole, favorendo così l’affidabilità. In questo senso, andò anche il nuovo sistema di lubrificazione di maggiore portata grazie all’adozione di una nuova pompa olio e a nuovi condotti.

Di chiara ispirazione sportiva la scelta di far passare i due scarichi sotto il codone. Come tutte le Ducati di quella generazione, anche la Multistrada sfruttava la tecnologia bus CAN, con due soli cavi per far dialogare la centralina che controlla il motore e il quadro strumenti: ne consegue un risparmio di peso e una notevole semplificazione nelle fasi di montaggio e nelle operazioni di manutenzione.

Nonostante la nuova testa fosse più compatta, c’era più spazio per le valvole: quella di aspirazione ebbe un diametro di 45 mm rispetto ai precedenti 43 mm, mentre quella di scarico passò da 38 mm a 40 mm. Fra l’altro, queste valvole erano più leggere grazie agli steli di 7 mm (come quelle montate sui motori Superbike di allora), nonostante il loro diametro fosse aumentato.

Inoltre, per garantire una potenza adeguata ai regimi intermedi l’albero motore, l’alesaggio dei cilindri e i pistoni furono modificati per ottenere un alesaggio di 94 mm con una corsa del pistone di 71,5 mm, rispetto ai precedenti 92 mm x 68 mm del motore da 900 cc.

Come nella tradizione Ducati, anche la Multistrada utilizza il telaio a traliccio, con il carter motore che funge da elemento stressato del telaio contribuendo in questo modo a risparmiare peso e a incrementare la rigidità dell’insieme.

Le sospensioni sono di primo livello, anche queste riprese dai modelli Superbike dell’epoca, con una forcella Showa completamente regolabile, con la corsa aumentata a 165 mm.

Inedito il nuovo forcellone monobraccio, dotato di un perno ruota maggiorato, che lavora in combinazione con un ammortizzatore Showa completamente regolabile: una comoda manopola ne consente la gestione del precarico molla, adeguando così la sospensione alle condizioni di carico della moto.

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Molto pratico da azionare il pomello esterno che regola il precarico molla del mono posteriore. Al contrario, poco utile il risicato vano portaoggetti ricavato nella parte inferiore della carena.

Stesso discorso per l’impianto frenante, con pinze freno Brembo “Serie Oro” sia anteriormente che posteriormente. I dischi sono rispettivamente da 320 mm e 245 mm, con pinze Brembo a 4 pistoncini, mentre dietro è montato un monodisco di 245 mm. Di uguale livello, le pompe freno Brembo PSC 16, anche queste utilizzate allora sui modelli Superbike.

Da tutto ciò è facile dedurre quella che era la vera anima della Multistrada 1000: una moto sportiva abbinata a un’estetica assolutamente non convenzionale, capace di esaltarsi su qualsiasi percorso ricco di curve a medio e lungo raggio.

Così parlò Terblanche

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Pierre Terblanche è stato a lungo direttore di Ducati Design. Alla sua matita, e al suo team ovviamente, si devono modelli memorabili com la Supermono e altri un po’ meno come la seconda serie Supersport e la stessa Multistrada, che indubbiamente non ha esattamente riscosso un plauso unanime per il suo design molto particolare.
Al di là di ogni giudizio di merito, Terblanche, come dichiarò nell’occasione della presentazione, affermò di essersi ispirato per questo modello alle moto degli anni ‘70, cercando di ottenere per la Multistrada un design leggero e compatto che garantisse alla moto versatilità di utilizzo, potenza e funzionalità.
Non è certo stato il primo caso in cui le buone intenzioni si siano poi scontrate con la realtà, certo che la Multistrada apparve a molti, sotto l’aspetto stilistico, non esattamente sovrapponibile all’essenzialità delle moto anni Settanta: il suo massiccio cupolino, l’ingombro stesso dell’insieme serbatoio-codone, la rendevano piuttosto una moto complessa, non lineare, certo moderna e versatile, ma comunque molto lontana dal mondo a cui si sarebbe voluta ispirare. Molte le scelte originali, come il cupolino, unico nel suo genere, non integrato al parabrezza, ma vincolato al manubrio e alla forcella, in modo da seguirne il movimento nei cambi di direzione.

In sella, tutto sembra perfetto, grazie allo stretto serbatoio e all’ottimo rapporto fra manubrio e pedane.

Il gruppo serbatoio-sella fu realizzato con un unico stampo, lungo 1100 mm, che permise di ottenere una capacità di 20 litri di benzina, distribuiti fra il corpo principale e quello posto sotto la seduta.

Questo è comunque il resoconto del nostro tester dopo la prova del 2003: “Sorprendentemente compatta, a dispetto di un impatto estetico che farebbe supporre tutto il contrario, questa sorta di arma totale si lascia condurre con una disinvoltura disarmante nonostante i 200 Kg che si porta dietro, invogliando chi sta in sella a osare sempre un po’ di più. Grazie all’ottimo lavoro delle sospensioni e all’eccellente performance delle coperture radiali con cintura metallica a zero gradi, l’ingresso in curva può essere anticipato all’inverosimile, potendo contare su un margine di sicurezza fino a oggi sconosciuto. Anche arrivando drammaticamente lunghi, si ha sempre l’opportunità di richiamare i freni senza il minimo accenno autoraddrizzante da parte dell’avantreno che, viceversa, sembra addirittura gradire il trasferimento di carico che ne consegue. In pratica, è possibile aggredire il punto di corda a una velocità pazzesca, certi che per quanto forte vi sembrerà di andare non arriverete mai a mettere realmente in crisi la ciclistica, neanche pescando dal vostro repertorio «acrobatico». Derapate o cose del genere sono infatti la conseguenza di azioni volute e mai di un effettivo raggiungimento del limite… Non esiste poi niente di più fluido e progressivo dell’unità da 84 Cv già vista sulla serie Monster e Super Sport: la curva di potenza si regolarizza a partire dai 2000 giri, e da lì in poi arriva fino all’intervento del limitatore, posto a 8700, senza flessioni o incertezze di sorta. Quel che è ancora più sorprendente, però, è che nella guida su strada, intendo anche quando si viaggia col coltello tra i denti, non si arriva mai a sfruttare più di 2/3 della fascia utile“.

Niente male, non vi pare?

Certo, non erano tutte rose e fiori: a parte l’aspetto estetico, suo vero limite, la Multistrada 1000 aveva un’altra evidente limitazione nella sua altezza, che metteva in difficoltà anche i piloti più alti, soprattutto nel montare in sella, dovendo superare il voluminoso codone. Altro difetto risiede negli inutili specchietti retrovisori, afflitti da una campo visivo limitato e dalle vibrazioni che ne rendono l’uso assai difficoltoso.

Nel 2004, niente cambia, se non dal punto di vista cromatico: la colorazione in nero lucido con telaio nero e cerchi grigio-azzurri si aggiunge al rosso e al grigio già presenti l’anno precedente.

Il faro anteriore, caratterizzato da un disegno assai complesso, è regolabile elettronicamente in altezza attraverso un comando sul cruscotto, permettendo così di adeguare il fascio di luce in funzione delle condizioni di carico. L’impianto frenante è di primissimo livello: pinze freno Brembo “Serie Oro” e pompe freno Brembo PSC 16. Davanti, a bloccare la moto ci pensano due dischi di 320 mm, mentre posteriormente lavora un singolo disco di 245 mm. Il tutto integrato da tubazioni in treccia di acciaio.

Nel 2005 avviene una consistente novità, con l’arrivo della versione 1000 S DS, caratterizzata da un equipaggiamento ciclistico ancora più sofisticato; allo stesso tempo, vengono presentate le due versioni da 620 cc, la Multistrada e la Multistrada Dark.

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La versione S del Multistrada 1000.

Inoltre, si apportano le prime modifiche al progetto: la moto ora si presenta con una sella ridisegnata, più sagomata e confortevole per chi guida, dotata di un sistema antiscivolo per il passeggero, con un cupolino sul quale è montato un plexiglass più alto e protettivo, con specchi retrovisori spostati verso l’esterno di 40 millimetri per migliorare la visibilità, e con una stampella laterale rimodellata, al fine di rendere più stabile la moto in parcheggio: ovvio l’obiettivo di porre riparo ad alcune lacune manifestate dagli utenti in quegli anni. Le colorazioni rimangono rosso, grigio e nero, come per il 2004.

La vera novità è comunque la 1000 S DS: tutti i dettagli di carrozzeria e la strumentazione sono in comune con la 1000 “base”, ma l’estetica è caratterizzata dalla presenza di alcuni elementi tipicamente racing: le sospensioni sono identiche a quelle che equipaggiano la 999 S, il manubrio è in alluminio a sezione variabile, mentre il parafango anteriore e la cartella copricinghia sono in fibra di carbonio. Nero e rosso le colorazioni disponibili per questo modello.

Può sembrare strano, ma le quote significative della Multistrada sono molto prossime a quella della 999. L’altezza della sella si scosta di pochi millimetri e anche l’inclinazione dell’asse di sterzo è uguale. Le uniche vere differenze sono date dal manubrio alto che varia sensibilmente la posizione in sella di chi guida, dalla maggiore lunghezza e dalla luce a terra più ampia. Nella vista dall’alto, invece, la Multistrada si presta al confronto con la serie ST: ha ingombri trasversali più contenuti e la sella più vicina al manubrio. Caratteristiche che conferiscono una posizione in sella più eretta, per un miglior controllo nella guida nel misto stretto.

Elementi distintivi di questa versione sono quindi la forcella Öhlins a steli rovesciati, completamente regolabile nella parte idraulica, con canne dotate di trattamento TiN per ottimizzare lo scorrimento e il monoammortizzatore, sempre Öhlins, completamente regolabile e sempre con il pratico comando esterno che rende possibile la variazione remota del precarico della molla. Nessuna modifica per il motore che rimane quindi l’unità con due candele per cilindro e con una potenza di 92 CV a 8000 giri.

 

SBK a Jerez: avanti tutta!

A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.

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La Multistrada e il passo della Futa

Si narra che i collaudatori Ducati abbiamo fatto il solco della statale della Futa, la strada che collega Bologna con Firenze, per testare la nuova (nel 2001) Multistrada.

Il progetto Multistrada giunge così a un apice che, in un certo senso, ne rappresenta anche il suo canto del cigno: le due versioni infatti rimangono in listino anche per il 2006, uscendo di scena l’anno successivo per far posto alla nuova versione 1100 che si differenzia non solo per il propulsore ma anche per molte e notevoli differenze rispetto alla versione da 992 cc.

Giunge così a termine la storia della prima Multistrada, progenitrice dell’attuale 1200 che tanto successo sta avendo sul mercato; un successo che è purtroppo mancato a questa prima versione.

Il motivo? Ci sentiamo di dire, così come per tanti altri modelli di quel periodo, che esso va ricercato nell’aspetto estetico, senz’altro originale, ma anche sproporzionato fra parte anteriore e posteriore del veicolo; insomma, gusti personali a parte, la Multistrada presta il fianco a numerosi dubbi sull’efficacia del suo design.

Nonostante questo è una moto dai contenuti importanti, con una dotazione tecnica di prim’ordine e un gran bel motore: una moto divertente, che sarebbe il caso di riscoprire. Fra l’altro la quotazione di mercato dell’usato aiuta, visto che la versione base si può acquistare con circa 3000 Euro, mentre ne occorrono 1000 in più per la versione S.

Questo articolo ha 4 commenti.

  1. Walter Depergola

    Io la ho da 3mesi … Mi sono innamorato!

  2. Leonardo Pezzatini

    Felicissimo possessore di una S con 121mila km e ancora è amore incondizionato. 😁❤️

  3. Daniele

    moto pazzesca! divertentissima 1000s 55k l’hypermotard dei poveri ahah

  4. Gianmario

    Salve ragazzi,Io l’ho acquistata l’anno scorso……..mi sto divertendo come un matto ,bellissima un telaio e motore fantastico.

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