Ducati 996 SPS: prova e monografia tecnica

Ducati 996 SPS: prova e monografia tecnica

Prova e monografia tecnica completa di uno dei modelli più prestigiosi della Casa di Borgo Panigale: la Ducati 996 SPS.

Tra le varie race replica che la Ducati ha prodotto e commercializzato dai primi anni Novanta in poi, la 996 SPS occupa di diritto un posto di primo piano perché rappresenta l’ultima Superbike replica motorizzata con il mitico propulsore Desmoquattro.

Questo motore, frutto del genio progettuale dell’Ingegner Massimo Bordi e testato per la prima volta in gara nella versione di 748 cc, ha equipaggiato, nella configurazione di 851 cc, la prima Superbike a 4 valvole prodotta dalla Ducati, la 851 appunto, per poi conoscere, nel corso degli anni, diverse fasi di sviluppo e accrescimento della cilindrata fino alla sua massima espressione di 996 cc.

E’ proprio in questa configurazione che il Desmoquattro ha raggiunto l’apice a livello prestazionale e sportivo, consentendo a Ducati di conquistare ben cinque titoli mondiali, dal 1994 al 1999, grazie alle capacità di Troy Corser e King Carl Fogarty.

La 996 SPS, prodotta dal 1998 al 2000, deriva dalla versione biposto di analoga cilindrata, differenziandosi da quest’ultima per l’utilizzo di una componentistica più raffinata e per le maggiori prestazioni del motore.

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La 996 SPS è la più potente Ducati con il motore Desmoquattro. La 996 R, infatti, adotta il bicilindrico Testastretta.

Il modello messoci a disposizione è stato prodotto e immatricolato nel 1999 ed è conservato in maniera impeccabile, impreziosito solo con alcuni componenti aftermarket che non hanno alterato l’originalità del mezzo.

Come già accaduto per le sue progenitrici, la serie 888 SP prima e 916 SP/SPS poi, anche questa 996 SPS è stata concepita con lo scopo di realizzare una vera race replica omologata per l’uso su strada, molto vicina per componentistica e prestazioni alla moto utilizzata alla fine degli anni Novanta nel campionato mondiale Superbike.

Siamo quindi in presenza di un mezzo al top della gamma, prodotto in tiratura limitata (2000 esemplari in tutto) e capace di appagare sia il pilota esperto alla ricerca di una moto competitiva con cui cimentarsi in pista, sia l’amatore in cerca del mezzo esclusivo.

E’ questo il caso di Francesco Grifoni, fortunato proprietario della moto in oggetto (n° 574) che, da grande appassionato di Ducati e moto italiane in genere, l’ha acquistata nel 2006 di seconda mano presso il Ducati Store di Pisa con lo scopo di mettersi in garage un oggetto prestigioso con cui divertirsi nel weekend sulle bellissime strade del Mugello.

La ciclistica si basa sullo stesso telaio della versione biposto, il classico traliccio in acciao 25CrMo4 con cannotto di sterzo regolabile da 23°30’ a 24°30’, avancorsa statica variabile da 91 a 97 mm e interasse complessivo di 1410 mm. A differenza della versione biposto, e come da tradizione racing Ducati, sulla SPS il telaietto reggisella è realizzato in alluminio.

Il telaio, progettato nel 1993 da Massimo Tamburini e introdotto sulla prima Ducati 916 l’anno successivo, rappresenta un’evoluzione del traliccio che ha equipaggiato la serie 851/888, differenziandosi da quest’ultima per una maggiore rigidezza torsionale indispensabile per “imbrigliare” la maggiore potenza che il propulsore era, ed è, in grado di fornire nel corso della sua evoluzione.

 
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Bellissima: la 996 è la naturale evoluzione della 916, opera di Massimo Tamburini.

La maggiore rigidezza è stata ottenuta grazie ad alcuni interventi chiave: aumento della sezione dei tubolari portanti, aggiunta delle “bretelle” di fissaggio del forcellone al motore, aumento dell’altezza della fascia laterale del traliccio e, infine, introduzione di un airbox monoscocca come elemento di rinforzo della zona centrale, sotto il serbatoio.

Quest’ultimo elemento costituisce sicuramente un grosso passo avanti rispetto al passato, in quanto ha permesso sia di accrescere la rigidezza torsionale della ciclistica, sia di aumentare le performance del motore grazie alla possibilità di pressurizzare l’aspirazione: come si suol dire, “due piccioni con una fava”.

Il forcellone, realizzato per fusione in conchiglia, è il classico monobraccio in alluminio con ruota posteriore montata a sbalzo su eccentrico e non presenta differenze rispetto a quello utilizzato sul modello standard. Identico è, infatti, il suo interasse (475 mm) e le sue caratteristiche generali.

Come si compete a un mezzo di questa estrazione, il reparto sospensioni è estremamente raffinato; quella posteriore, azionata tramite un sistema ad asta-bilanciere, è costituita da un ammortizzatore Öhlins completamente regolabile sia nell’idraulica che nel precarico molla e garantisce, a fronte di una corsa di 71 mm, 130 mm di escursione alla ruota posteriore. L’asta che collega il forcellone al leveraggio di azionamento del mono è regolabile in lunghezza, in modo da poter variare l’altezza del retrotreno e, di conseguenza, l’assetto della moto.

La forcella, prodotta dalla giapponese Showa, è una upside down con steli da 43 mm senza riporto al TiN e garantisce alla ruota anteriore un’escursione di 127 mm.

Nel 2000 la forcella Öhlins, ma era necessario?

Sulla SPS prodotta nel 2000 questa forcella è stata sostituita con una Öhlins sempre a steli rovesciati di 43 mm; tuttavia, questa scelta è stata probabilmente dettata più da ragioni di marketing che non da reali motivi tecnici, visto che la Showa presente sulle versioni del 1998 e 1999 rappresenta un componente di ottima qualità.

Lo sanno bene tutti i piloti e i team che in quegli anni utilizzavano la moto a fini agonistici: molto lavoro di messa a punto è stato necessario prima di riuscire a ritrovare le stesse prestazioni fornite dall’unità giapponese!

La sezione posteriore mette in evidenza dimensioni assolutamente compatte. Merito del layout del propulsore e del sistema di scarico, che limitano l’ingombro laterale.

La Showa, infatti, è una forcella estremamente scorrevole e sensibile alle regolazioni, in grado di garantire all’avantreno quella “morbidezza controllata” di funzionamento che permette di essere rapidi nell’inserimento in curva senza compromettere il rigore direzionale del veicolo sul veloce.

La capacità che ha di assorbire le asperità è veramente notevole, soprattutto se consideriamo che si tratta di una forcella concepita per uso sportivo, non per fare del mototurismo!

A mio giudizio, rappresenta uno dei migliori compromessi di versatilità tra le prestazioni assolute in pista e il comfort di marcia su strada e tutto ciò grazie all’ottima qualità dei componenti che ne costituiscono l’idraulica interna.

A completare la dotazione tecnica dell’avantreno, abbiamo anche un pregiato ammortizzatore di sterzo trasversale, regolabile su 20 posizioni, prodotto sempre dalla svedese Öhlins.

Questo componente è stato oggetto di cure da parte di Francesco che, da raffinato tecnico qual è, ha realizzato personalmente un nuovo supporto di ancoraggio al telaio in ergal 65, con l’occhiello dell’uniball leggermente disassato rispetto all’originale, in modo da garantire il perfetto parallelismo tra l’ammortizzatore di sterzo e il serbatoio del carburante.

A sx: una piccola modifica che serve a mantenere l’ammortizzatore di sterzo sempre perfettamente trasversale rispetto all’asse del veicolo. A dx: i collettori del sistema di scarico di tipo due in due.

L’impianto frenate è Brembo al 100% ed è di prima qualità: all’anteriore abbiamo due dischi semiflottanti in acciaio da 320 mm di diametro e 5 mm di spessore accoppiati a due pinze serie oro PA34/30-4 azionate da una pompa serie oro PSC da 16 mm.

Al posteriore troviamo un disco singolo da 220 mm di diametro e 6 mm di spessore, su cui agisce una pinza a due pistoni contrapposti P2.I05-N da 32 mm, azionata da una pompa PS11.

Tutte le tubazioni dell’impianto frenante sono ovviamente in treccia metallica, così come il tubo dell’impianto d’azionamento della frizione idraulica, a sua volta comandata da una pompa PSC da 13 mm.

A livello di sovrastrutture non ci sono sostanziali differenze fra la 996 SPS e la versione Base: la forma e il materale della carenatura è il medesimo. L’unica differenza è data dalla presenza di un codone monoposto e dall’utilizzo di alcuni componenti in pregiata fibra di carbonio come i parafanghi e l’airbox. Anche il ponte di comando e la strumentazione sono i medesimi per le due versioni.

A sx: il ponte di comando dove si nota, sulla piastra di sterzo superiore, la targhetta con la numerazione dell’esemplare. Questa è infatti la 574esima SPS prodotta. A dx: il bicilindrico che spinge la 996 SPS, accreditato di 123 Cv.

I blocchetti elettrici e il cruscotto, composto dal contachilometri meccanico asportabile, contagiri elettronico e dal supporto delle spie di frecce, fari, folle e riserva carburante, sono infatti gli stessi già utilizzati sulla 916.

Francesco ha ulteriormente impreziosito le sovrastrutture sostituendo i condotti dell’airbox con due in fibra di carbonio e montando un coperchio frizione e un supporto targa sempre realizzati con lo stesso materiale.

Diversi sono invece i cerchi: i classici Brembo a tre razze che equipaggiano la versione biposto sono stati sostituiti con dei Marchesini in alluminio a 5 razze, sempre da 17”, con canale di 3,5” all’anteriore (gommatura 120/70-ZR) e 5,5” al posteriore (gommatura 190/50-ZR, con possibilità di montare un 180/55-ZR), questo per garantire una maggiore leggerezza e aumentare la rapidità di risposta nella guida.

Grazie all’utilizzo di componenti pregiati, il peso a secco dichiarato è di 190 Kg, circa 8 Kg in meno rispetto alla versione biposto, differenza apprezzabile soprattutto in movimento e che consente alla SPS di essere sensibilmente più maneggevole.

A livello di motore, invece, le differenze esistenti tra le due versioni diventano decisamente più marcate, tanto che la potenza dichiarata all’albero passa dai 112 Cv a 8500 rpm della Biposto ai ben 123 Cv a 9500 rpm della SPS.

Anche la coppia massima aumenta sensibilmente da 9,5 Kgm a 8000 rpm a 10,1 Kgm a 7000 rpm, mentre il regime d’intervento del limitatore sale da 10.500 a 10.800 rpm. Resta invece invariato il rapporto di compressione di 11,5 ± 0,5:1.

La base motoristica di partenza è di fatto la stessa, ossia il Desmoquattro a L raffreddato a liquido di 996 cc, ottenuto grazie a un alessaggio di 98 mm e una corsa di 66 mm. Le valvole, da 36 mm all’aspirazione e 30 mm allo scarico, sono identiche.

Tuttavia, sulla SPS viene adottato un differente diagramma di distribuzione che garantisce maggiori prestazioni assolute: 14°-73° all’aspirazione (contro 11°-70°), 57°-23° allo scarico (contro 62°-18°). Anche l’alzata cambia, 10,8 mm all’aspirazione contro 9,6 mm e 9,8 mm allo scarico contro 8,74 mm.

Per far fronte alle maggiori prestazioni, l’impianto di scarico si avvale di un collettore da 50 mm, 5 mm più grande rispetto a quello montato sulla Biposto, mentre i silenziatori di primo equipaggiamento sono gli stessi: due classici terminali in alluminio a sezione ellittica omologati per l’uso stradale.

Tuttavia, per ottenere il massimo delle prestazioni la SPS veniva fornita con un kit racing compreso nel prezzo d’acquisto e composto da due silenziatori Termignoni in fibra di carbonio “aperti” corredati da una Eprom dedicata.

E’ in questa configurazione che Francesco ci ha messo a disposizione la moto per la prova.

Entrambi i modelli utilizzano lo stesso hardware d’iniezione Magneti-Marelli, due corpi farfallati da 50 mm dotati di doppio iniettore per cilindro, mentre diversa è la gestione elettronica dell’impianto di accensione-iniezione, affidata a una centralima I.A.W 1.6 M nella versione Biposto, mentre sulla SPS troviamo la più specialistica I.A.W. P8.

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A sx: l’impianto di scarico Termignoni con silenziatori in fibra di carbonio. A dx: la centralina che gestisce il sistema di iniezione e accensione.

Anche il reparto trasmissione presenta delle differenze: per far fronte alla maggiore coppia disponibile, il gruppo frizione ha un maggior numeri di dischi condotti e conduttori e anche la rapportatura del cambio è stata modificata utilizzando un cambio di derivazione Sport Production, caratterizzato da una rapportatura più corta e ravvicinata degli ultimi quattro rapporti, mentre quello finale è uguale e pari a 15/36.

Le bielle sono differenti: sulla SPS sono montate delle Pankl in acciaio con fusto ad H, mentre gli altri componenti interni del motore, come pistoni, cilindri, albero motore e carter non presentano differenze di rilievo tra le due versioni.

Analoghi sono i circuiti di raffreddamento e lubrificazione, l’unica differenza è rappresentata dalla presenza di un ugello di raffreddamento che spruzza olio sul cielo del pistone del cilindro verticale non presente nella versione biposto (in questo caso, è previsto solo il raffreddamento di quello orizzontale).

Nel suo complesso, la meccanica della 996 SPS rappresenta un’altra pietra miliare che Ducati ha saputo regalare ai suoi appassionati, l’ultimo motore da corsa della plurivittoriosa serie Desmoquattro montato su un mezzo omologato per l’uso stradale.

COME VA

A livello di guida, la 996 SPS, oltre a confermare le già ottime prestazioni messe in evidenza dalla 916 SP/SPS, è in grado di esaltare ancora di più le caratteristiche racing, arrivando a uguagliare in performance e carattere la 888 SPS, di cui rappresenta sicuramente la degna erede.

Le sensazioni che è in grado di trasmettere sono esaltanti, una miscela esplosiva di accelerazione e maneggevolezza che ne fanno un mezzo pronto pista. Abbiamo avuto l’onore e il piacere di testare la moto nelle strade del Mugello e, se dovessimo sintetizzare in due parole l’impressione complessiva che abbiamo avuto, l’espressione più adatta sarebbe: un vero cavallo di razza!

Su strada il comportamento è ottimo, anche se il potenziale della 996 SPS può essere sfruttato solo in pista.

Il motore ha una prontezza di risposta all’apertura dell’acceleratore impressionante: la maggior coppia rispetto alle versioni di 888 e 916 cc si sente decisamente e in uscita di curva bisogna stare attenti a dosare il gas, se non si vuole incappare in spettacolari alleggerimenti dell’avantreno. Anche le capacità di allungare è notovele, tuttavia è inutile arrivare fino all’intervento del limitatore, è più conveniente passare al rapporto successivo intorno ai 10.500 rpm in modo da sfruttare al meglio la grande coppia che il motore è in grado di erogare.

Questa meccanica dà il meglio di sé ai regimi medio-alti, diciamo tra i 5000 e i 10.000 rpm, arco in cui la spinta disponibile è sempre molto vigorosa.

Ciò che determina in maniera inequivocabile la personalità di questo motore è l’esuberanza con cui la potenza viene erogata: la sensazione è quella di avere a disposizione più cavalli di quelli realmente disponibili. La corsa da 66 mm gioca un ruolo fondamentale in questo, determinando quel vigore nella risposta che è tipica dei propulsori a corsa “lunga”.

Tanta corsa, tanta coppia

La tendenza a utilizzare dei valori di corsa che esaltano la coppia la ritroviamo nell’ultimo Testastretta prodotto, quello di 1098 cc, in cui i tecnici Ducati sono tornati a valori maggiori rispetto a quelli usati sul motore di 999 cc, 64,7 mm nella versione Base (64 mm era il valore usato sui motori 851/888), per arrivare addirittura a 67,9 mm sulla versione più spinta, di 1168 cc, che equipaggia il modello R.

Il comportamento della ciclistica è ineccepibile, la moto riesce a coniugare un’ottima maneggevolezza a un rigore direzionale da riferimento.

Questa dote consente di essere molto veloci nell’inserimento in curva e nei cambi di direzione e, nello stesso tempo, di percorrere in tutta sicurezza i curvoni veloci in appoggio. La trazione garantita dal retrotreno è sempre molto elevata, così come la capacità d’inclinazione che la ciclistica è in grado di offrire.

L’avantreno della 996 è un riferimento 

Chiaramente, trattandosi di un mezzo specialistico, presenta una taratura delle sospensioni piuttosto rigida per l’uso stradale; tuttavia, rispetto alle progenitrici della serie 888 SP, il comfort di marcia è superiore.

Anche l’impegno fisico necessario per la guida risulta più contenuto e il minor sforzo necessario si fa sentire soprattutto in pista, dove si riesce a mantenere ritmi più elevati con un minor dispendio di energie.

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La taratura delle sospensioni è piuttosto dura, ma nonostante questo la forcella Showa si fa apprezzare per la sua efficacia.

Su strada, tuttavia, bisogna riconoscere che, sebbene sia più maneggevole della 888, a causa della distanza sella-pedane inferiore e del maggior carico sull’avantreno, la 996 SPS risulta più affaticante.

Con la 888 si può andare a spasso stancandosi di meno, sia per quanto riguarda la muscolatura delle gambe che quella di braccia e collo.

Il motivo è legato al fatto che l’impostazione generale della SPS è stata pensata per dare il meglio di sè nel misto veloce, dove viene esaltata la grande solidità del telaio e la grande rapidità nei cambi di direzione, mentre, quando il tracciato si fa più lento, la posizione di guida stessa penalizza il bilanciamento generale, diminuendo l’intuitività del mezzo.

Del resto, la SPS è una Superbike targata e, come tale, ha una ciclistica sofisticata, nata per i curvoni da 180 Km/h e non i tornanti da 40 Km/h!

Un miglioramento lo si ottiene montando al posteriore un pneumatico di sezione 180/55 al posto del 190/50 di primo equipaggiamento; così facendo, infatti, l’intuitività e la facilità di guida aumentano sensibilmente, soprattutto nel misto stretto.

Credo che sia lecito affermare che questa ciclistica sia una delle migliori mai prodotte da Ducati, un’evoluzione di quella della 888 che ha permesso di stabilire nuovi riferimenti per quanto riguarda le prestazioni assolute, tant’è che anche dopo la comparsa della 999, molti team preferirono continuare a utilizzare questo telaio piuttosto che il nuovo. Oggi, infatti, a distanza di 14 anni dalla sua presentazione, assistiamo alla “rinascita” di questo modello sotto le spoglie della nuova Ducati 1098.

Foto di Claudio Buoncompagni

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