Prova Ducati Paso 906

Prova Ducati Paso 906

Abbiamo provato il Paso 906, la sport-tourer che Ducati lanciò sotto la gestione Cagiva per mano di Massimo Tamburini.

Quando si è abituati al continuo affinamento tecnico che caratterizza i moderni prodotti di serie, nel nostro caso le motociclette, fare un tuffo nel passato, andando a testare un modello che compirà venti anni nel 2009, il Paso 906, rappresenta un’esperienza che ci fa apprezzare l’evoluzione e lo sviluppo conosciuto dalle Ducati in “appena” due decenni e, al tempo stesso, ci permette di valutare positivamente quegli aspetti che, all’epoca, erano già molto vicini agli standard attuali.

Nato come evoluzione della versione di 750 cc, il Paso 906 rappresenta la maturazione di un progetto nato dalla geniale matita di Massimo Tamburini, come abbiamo già avuto modo di sottolineare nella monografia dedicata.

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Paso 750, Paso 906 e Ducati 907 I.E.

Il Paso 750 fu presentato al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano del 1985 e subito colpì la sua originalissima veste estetica, frutto del genio di Massimo Tamburini.

In questa sede, ci dedicheremo esclusivamente alle impressioni di guida che la prova di questo modello, dedicato al compianto Renzo Pasolini, ha suscitato.

Gran parte dei cambiamenti che furono apportati sulla 906 rispetto alla sua progenitrice riguardavano il motore, che a livello di carter derivava da quello della 851 a quattro valvole, mentre utilizzava i gruppi termici del due valvole Ducati.
Partiamo dunque dall’impatto estetico: nonostante le venti primavere, la moto disegnata da Tamburini ha un fascino che si rinnova nel tempo.

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Il Paso 906 rappresenta un modello classico di grande interesse, vista la paternità di Massimo Tamburini.

Le ampie superfici, l’assenza del plexiglas del cupolino e la carenatura integrale fanno apparire la 906 piuttosto voluminosa, ma non per questo sgraziata. Facendo un parallelo automobilistico, non è un segreto che questa moto si sia ispirata, a livello di linee, alla Ferrari Testarossa. L’impressione che l’osservatore ricava è pertanto la stessa: fermo al semaforo, il Paso viene visto come un oggetto che, seppur datato, attira l’attenzione per le sue forme ricercate e sportive.

La mano di Tamburini è ben visibile in molti particolari, dalla strumentazione al gruppo ottico posteriore, passando per la maniglia di appiglio per il passeggero, che rappresenta un elemento apprezzabile anche dal punto di vista aerodinamico, e gli specchietti retrovisori integrati negli indicatori di direzione, che diventeranno un classico sulle moto del designer romagnolo (vedi MV Agusta F4).
Non appena si sale a bordo, il maniacale approccio ingegneristico di Tamburini si manifesta in una posizione di guida dove l’ergonomia la fa da padrone.

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A sx: un particolare del tappo del serbatoio con l’immancabile elefantino Cagiva. A dx: si notano gli specchietti retrovisori con indicatori di direzione integrati.

L’inserimento del pilota nel corpo macchina è agevolato da un manubrio rialzato, da una sella piuttosto scavata, da una coppia di pedane non troppo alte e dagli ampi incavi del serbatoio che si raccordano perfettamente con la carenatura. Anche per un conducente di statura sopra il metro e ottanta di altezza, non è proprio possibile chiedere di meglio.

L’impostazione della 906 rappresenta, infatti, un perfetto compromesso tra l’anima sport e quella touring di questo modello, vale a dire esattamente il compito che era stata chiamata a svolgere, ponendosi in diretta concorrenza con la Honda VFR.
Sull’esemplare protagonista della nostra prova, ma lo stesso vale per la maggior parte dei Paso in circolazione, l’avviamento a freddo può creare qualche problema. Il motivo è da attribuirsi al famigerato carburatore a doppio corpo della Weber di derivazione automobilistica che non si è mai definitivamente adattato alle esigenze di questa moto, oltre che a un impianto elettrico del veicolo particolarmente soggetto al guasto.

Per mettere in moto il bicilindrico raffreddato a liquido, dunque, occorre ruotare il manettino dell’aria e, con una buona dose di pazienza, sperare che prima o poi succeda qualcosa…
Se non altro, a caldo la situazione migliora nettamente. Con la temperatura dell’olio a regime, anche la trasmissione lavora meglio: la frizione, ad esempio, pur dimostrandosi dura nell’operazione di disinnesto (come del resto tutte le Ducati di quel periodo), non è particolarmente brusca nel suo intervento, supportata da un cambio a sei marce ben spaziato e molto preciso.

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A sx: un particolare della carenatura e sullo sfondo le prese d’aria sul codone che ricordano quelle della Ferrari Testarossa. A dx: l’impianto frenante anteriore, composto da due dischi da 280 mm e pinze Brembo a due pistoncini.

Coma va la Ducati Paso 906

Sulle prime, il motore non stupisce per il tiro ai bassi regimi. Pur essendo un due valvole, infatti, il bicilindrico che equipaggia la 906 ama girare in alto, solo che per farlo bisogna fare i conti con un comando del gas maledettamente duro, oltre che con la corsa oltremodo lunga.
Questo aspetto complica non poco le cose a chi è abituato ai comandi delle moto attuali.
Come se non bastasse, poi, quando si riesce a spalancare completamente l’acceleratore si devono necessariamente togliere le dita dal freno anteriore, cosa che dà una sensazione tutt’altro che rassicurante, vista l’azione spugnosa dei due dischi anteriori.

Tuttavia, una volta lanciata, la 906 inizia a macinare la strada come una Super Sport di penultima generazione (quella con il faro quadrato), solo che per guidare in sicurezza su strada bisogna costantemente anticipare le frenate.

Di aiuto è l’impianto frenante posteriore che, potendo contare su di un disco dello stesso diametro di quelli davanti (280 mm), oltre che su una ripartizione dei pesi a favore dell’asse posteriore, contribuisce al rallentamento del veicolo senza innescare reazioni indesiderate. E’ davvero un peccato che non si possa dar fondo alle prestazioni del bicilindrico Ducati senza rischiare oltre il dovuto, perché l’accelerazione di cui è capace la moto è entusiasmante anche per gli standard attuali.

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Su strada la maneggevolezza si è rivelata superiore alle aspettative, mentre i freni hanno deluso.

Inoltre, la tonalità di scarico emessa dai due terminali a sigaro verniciati di nero previsti dall’equipaggiamento originale è piena e gutturale, senza tuttavia risultare fastidiosa per i pedoni e gli automobilisti nelle immediate vicinanze. Per quanto riguarda la guida vera e propria ci aspettavamo di peggio dai tanto discussi cerchi da 16” che equipaggiano questa versione, con l’anteriore che calza un abbondante pneumatico da 130/60. Sulla 907, infatti, l’ultima erede della famiglia Paso, i tecnici di Borgo Panigale hanno deciso di installare ruote da 17” che ne hanno migliorato decisamente la maneggevolezza.

La 906 sembra ricavata dal pieno per quanto è solida…

Anche in questo modo, però, la 906 si lascia guidare senza particolari problemi, sia sul veloce che nei tratti più lenti. Anche nelle inversioni a U, al di là di un certo sforzo da applicare ai manubri, la situazione rimane ampiamente gestibile.
Il terreno preferito dal Paso, comunque, rimane la statale con curve da seconda e terza marcia, dove si deve frenare poco ed è possibile sfruttare il tiro del motore dai medi regimi in poi.

In questo frangente emerge una moto davvero godibile, che non ha nulla da invidiare, per impostazione di guida e prestazioni del motore, a una ben più giovane ST2 (freni a parte).
Anche l’aderenza offerta dai pneumatici, i Michelin M59, è migliore di quanto ci saremmo aspettati.
Pur affrontando le curve con una discreta velocità di percorrenza, la Ducati di Tamburini rimane ferma e mantiene bene la traiettoria impostata, arrivando a inclinazioni di tutto rispetto.

Paso 906: parliamo di comfort

La comodità del Paso 906 si manifesta sotto forma di prolungate permanenze in sella senza precoci affaticamenti, eccezion fatta per il polso destro, martoriato dal comando del gas di erculea durezza.
Buono è anche il comportamento delle sospensioni, che contribuisce a un discreto comfort generale, così come soddisfacente, nell’ambito di un mezzo con questa estrazione, è la protezione aerodinamica.

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La carenatura integrale non contribuisce certo alla snellezza dell’insieme, ma il Paso era una moto chiamata a un utilizzo turistico-sportivo di compromesso. Un compito che assolve molto bene anche oggi.

Gli spostamenti del pilota sono agevolati da una sella fin troppo liscia, anche se il piano di seduta è ben contrapposto al serbatoio, in modo da garantire il dovuto appoggio in fase di frenata. E’ chiaro che la sensazione è quella di una moto non proprio leggerissima, anche se caratterizzata da un baricentro piuttosto basso, che aiuta dunque nelle manovre non appena il mezzo guadagna un minimo di velocità. Spostare da fermo la 906 in fase di parcheggio, invece, significa sudare le proverbiali sette camicie, anche se bisogna spezzare una lancia in favore dei cavalletti di stazionamento.

Una posizione di guida così ergonomica fa invidia alle moto moderne. Si riconosce la mano del grande Tamburini.

Il Paso è equipaggiato sia con il laterale che quello centrale, entrambi di facile utilizzo, con quest’ultimo agevolato dalla presenza di una maniglia a scomparsa sul lato sinistro del veicolo.
In ogni caso, chi ha le gambe abbastanza lunghe riesce a issare la moto sul cavalletto centrale anche rimanendo seduto a bordo, il che rappresenta una garanzia in più contro eventuali cadute durante questa delicata fase.

Completa e discretamente leggibile è la strumentazione, nella quale è implementato anche un piccolo orologio analogico. A proposito di dotazione, bisogna sottolineare come l’esemplare protagonista di questo servizio sia equipaggiato con i cerchi del 750 Sport (la 906 usciva dalla fabbrica con i cerchi bianchi, mentre questi hanno le razze e la parte centrale del canale in rosso con le altre zone lucidate a specchio).
La sella, in questo esemplare, è in colore nero, mentre le 906 venivano consegnate di serie con la seduta in colore rosso.
Un’ultima annotazione da fare riguarda senz’altro gli specchietti retrovisori, che all’epoca in cui questa moto fu presentata destarono reazioni contrastanti.

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A venti anni di distanza, possiamo dire che la visibilità offerta da questi dispositivi è ben superiore a certe sportive di produzione attuale, anche se è necessario fare l’abitudine al fatto che il campo visivo offerto giace sotto al piano su cui si trovano i manubri, a differenza di quanto accade di solito. In un certo senso, è la stessa sensazione che si ha quando si sale per la prima volta sulla Hypermotard.
Quindi, è proprio il caso di dire che, almeno per quanto riguarda Ducati, la storia si ripete!

Foto Giovanni Del Bravo

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