Motore V4 Granturismo: addio al marchio di fabbrica

Motore V4 Granturismo: addio al marchio di fabbrica

Ducati e il nuovo motore V4 Granturismo: quando le regole della ragione si scontrano con la personalità e l’emozione.

Cadono uno dopo l’altro tutti i tratti distintivi che, nei decenni, avevano reso Ducati una marca unica nel suo genere, diversa dalle altre. Dalla frizione a secco al telaio a traliccio, dalla configurazione a due cilindri fino a oggi, all’abbandono del Desmo.

Qualcuno dirà che è il progresso, che chi si ferma è perduto, il che è verissimo, però ci sono degli aspetti che rendono unico, proprio come succede a una persona, un marchio.

Ci sono poi evoluzioni ed evoluzioni; ad esempio, il passaggio dal bicilindrico al quattro cilindri non è che abbia poi scandalizzato molto. Del resto, era già utilizzato da anni da Ducati nelle competizioni e poi l’evoluzione tecnologica è stata tale da rendere inesistenti i vantaggi che il bicilindrico poteva vantare negli anni Ottanta e Novanta.

Infine, tale passaggio è stato effettuato in modo molto intelligente, mantenendo l’impostazione a V di 90° e l’ordine degli scoppi “Twin Pulse”, tanto che si può affermare che il Desmosedici Stradale conservi in sé una forte anima bicilindrica!

Ma il passo che si effettua oggi, con il motore V4 Granturismo che equipaggia la nuova Multistrada V4, è veramente notevole, una forte cesura con il passato: è il primo motore dagli anni Settanta senza la distribuzione Desmo, con il ritorno delle valvole gestito dalle molle.

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Il V4 Granturismo eroga una potenza di 170 Cv a 10.500 giri/minuto, e una coppia massima di 125 Nm (12,7 Kgm) a 8.750 giri/minuto. La cilindrata è pari a 1158 cc, mentre il suo peso è di 66,7 Kg. Rispetto al bicilindrico Testastretta il nuovo motore è più corto di 85 mm, più basso di 95 mm e solo 20 mm più largo. Inoltre, pesa 1,2 kg in meno. Il V4 Granturismo è un motore che, pur condividendo il layout generale del Desmosedici Stradale, è stato progettato e sviluppato per abbinare la performance con una grande versatilità di utilizzo, a tutto vantaggio della guida su strada e fuoristrada. Proprio per questo motivo l’aspirazione è affidata a corpi farfallati di diametro inferiore con condotti più lunghi: così si ha un’erogazione piena e molto regolare ai bassi e medi regimi, ma anche un allungo pari a quello di un motore sportivo.

Certo, anche qui la situazione non è paragonabile a quella che dovette affrontare Taglioni, con le molle del tempo che non erano capaci di gestire carichi di lavoro eccessivi, provocando problemi agli alti regimi di rotazione.

Da un punto di vista logico, quindi, nessun problema; su un motore che si definisce turistico (anche se dispone di ben 170 Cv!) il Desmo è in effetti un’inutile complicazione. Però questo è un discorso da ingegneri o da chi sa fare bene i conti e capisce il vantaggio che si può trarre da intervalli di manutenzione così lunghi grazie alla rinuncia di questo tipo di distribuzione.

Argomenti che forse però non coinvolgono i motociclisti più appassionati, le cui scelte non sono razionali, ma spesso guidate dall’emotività, da quello che rappresenta il mezzo che guidano.

Altrimenti, se uno vuole proprio fare il logico, al posto della Multistrada è possibile che valuti l’acquisto di un modello molto più economico per risparmiare un bel po’ di soldi!

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Il principale componente inedito del V4 Granturismo è la sua nuova distribuzione, studiata appositamente per allungare in modo considerevole l’intervallo di manutenzione valvole fissato ora a ben 60.000 km, questo grazie al sistema di richiamo valvole a molla, che sollecita meno i componenti rispetto al Desmo. Il V4 Granturismo offre la disattivazione della bancata posteriore al minimo. In questo modo, quando la moto è ferma al semaforo, la bancata posteriore si ferma, migliorando il comfort termico di pilota e passeggero grazie all’abbassamento delle temperature. Anche il V4 Granturismo adotta la soluzione dell’albero motore controrotante, ovvero che ruota in direzione opposta a quella delle ruote, compensandone l’effetto giroscopico, migliorando maneggevolezza e agilità. La disposizione sfalsata di 70° dei perni di manovella e il layout a V di 90° del motore generano un ordine degli scoppi denominato Twin Pulse, ovvero come se il motore riproducesse la sequenza di scoppi di un bicilindrico.

Ma il motociclista guidato dalla passione non lo fa per una serie di motivi che lo convincono a sborsare le diverse migliaia di euro in più che dividono fra di loro modelli che, per forza di cose, sono comunque molto diversi a livello di contenuti.

Fra questi possiamo ricordare: Ducati è una marca italiana prodotta in Italia, rappresenta una storia agonistica di primo livello tutt’ora portata avanti con ottimi risultati, dispone di una serie di vantaggi tecnologici (dall’Abs Cornering alle sospensioni elettroniche, tanto per citarne due) che fanno veramente la differenza a livello di prestazioni e sicurezza attiva.

Poi, c’è il motivo principale, quel nome sul serbatoio: è una Ducati e non c’è bisogno di spiegare altro, un po’ come succede a Ferrari, Armani e pochissimi altri marchi nel mondo.

Un vantaggio esclusivo, quindi, che siamo disposti a pagare, perché si materializza in qualcosa di altrettanto distintivo e unico.

Giusto per fare un esempio, chi ha disponibilità economica si compra come orologio un Jaeger-LeCoultre piuttosto che un Casio, anche se a livello di prestazione base i due orologi offrono esattamente lo stesso servizio con la stessa efficienza: segnano il tempo, così come due moto servono per spostarsi su due ruote.

L’appassionato di orologi è però disposto a sborsare una cifra consistente per entrare in possesso di un oggetto di cui apprezza la lavorazione complessa del meccanismo, che è realizzato a mano da bravissimi maestri orologiai e anche, diciamo la verità, per la vanità di poter esibire un oggetto di personalità, ricco di storia.

Poi, è ovvio, il tourbillon, da un punto di vista pratico, non serve a niente, è solo una meravigliosa complicazione.

Così è anche per il Desmo, il tratto distintivo di Ducati da cinquant’anni a questa parte, oggi come oggi inutile perfino sui motori da competizione, forse anche ai massimi livelli, però è l’anima della proposta di Borgo Panigale, ne rappresenta la storia e l’identità.

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I profili degli alberi a camme e le leggi di alzata delle valvole sono stati studiati per avere una erogazione della coppia più congeniale a un motore destinato ai viaggi. Albero motore, bielle e pistoni sono specifici di questo motore, ma anche frizione e volano sono stati progettati esclusivamente per il V4 Granturismo. La spaziatura del cambio è studiata per avere una prima marcia corta, ottimale per gli spostamenti e le manovre a bassissima velocità, le partenze in salita a pieno carico e la guida in fuoristrada, mentre la sesta marcia è sufficientemente lunga da non richiedere un regime troppo elevato nei trasferimenti autostradali. I quattro alberi a camme del motore V4 Granturismo sfruttano bilancieri a dito e muovono le sedici valvole in acciaio con misure di 33,5 mm di diametro per quelle di aspirazione e di 26,8 mm di diametro per quelle di scarico.

Quante volte, fra appassionati, si è messo fine a una discussione sui vantaggi offerti dalle varie marche affermando semplicemente che la nostra moto aveva il motore Desmo?

Questi però sono discorsi da appassionati, perché è molto probabile che il motore V4 Granturismo abbia modo, nel tempo, di farsi apprezzare da tutti grazie alle sue doti, ma resta il fatto che la sua diversa soluzione per la distribuzione avrà senz’altro il suo effetto sui ducatisti di lunga data. Non si tratta solo di nostalgia, ma anche di come sia particolare il pensare di noi motociclisti, a cui piace più sottostare alle regole della personalità e dell’emozione piuttosto che a quelle della ragione.

Breve storia Desmo

Tutto ha inizio nel maggio del 1954, quando un giovane ingegnere prende servizio in Ducati. Il suo nome è Fabio Taglioni. Due anni dopo, nel 1956, realizza il suo progetto di distribuzione desmodromica per motore motociclistico: debutta in Svezia la 125 da Gran Premio (vincendo con Degli Antoni!), che monta per la prima volta una distribuzione desmodromica a tre alberi a camme in testa (mossi da albero verticale e coppia conica).

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Il motore della Ducati 860 con in primo piano il Desmo.

L’albero centrale reca le camme di “chiusura” che, tramite bilancieri a doppio braccio, comandano le valvole nel movimento verso l’alto, mentre i due alberi laterali, a singola camma, provvedono all’apertura. Taglioni in pratica “aggiunse” un albero centrale alla precedente testa bialbero a molle: con tre alberi a camme la messa a punto era molto agevole (molto spazio a disposizione) e le camme potevano essere sostituite separatamente.

Quando l’esperienza pratica accumulata fu sufficiente, si ebbe il passaggio da tre alberi a camme ad uno.

Nel 1968 esce la Ducati Mark 3 Desmo con motore monocilindrico (350 cc) a distribuzione desmodromica monoalbero: a Borgo Panigale si porta pionieristicamente il desmo nella produzione di serie.

L’evoluzione tecnica del monocilindrico desmo si completa e arriva fino al 1974, quando termina la produzione dei modelli Desmo e Scrambler (250, 350, 450), naturali evoluzioni dei Mark 3, tutti monocilindrici con distribuzione monoalbero.

Nel 1970 compare il bicilindrico a V di 90 gradi: la distribuzione è monoalbero comandato da alberino verticale e coppia conica. La 750 GT del 1972 è la prima bicilindrica, la 750 Supersport la prima Ducati di serie con distribuzione desmodromica; lo schema della distribuzione si ricollega strettamente al progetto originario del monocilindrico.

Nel 1974, all’Università di Bologna, si laurea Massimo Bordi, discutendo una tesi sul progetto di una distribuzione desmodromica a 4 valvole.

Comparso nel 1977 come prototipo, il Pantah entra in produzione di serie nel 1979 e mostra una notevolissima evoluzione tecnica: è una cinghia dentata che ora comanda l’albero a camme del nuovo motore da 500 cc con distribuzione desmodromica.

Nel 1987 Lucchinelli vince la gara BoTT di Daytona con un motore di 851 cc a quattro valvole aprendo una nuova era: una serie infinita di vittorie in quello che poi sarà il mondiale Superbike.

Inizia, grazie all’entusiasmo dei due tecnici Mengoli e Bordi, la storia moderna del desmo, che vede la produzione in serie della prima moto desmodromica a quattro valvole per cilindro: la 851 SBK del 1988. Sotto la guida di Mengoli prende forma, nel 2001, il motore Testastretta: il bicilindrico a quattro valvole di nuova generazione che, pur derivando dall’unità progettata dall’Ingegner Bordi, presenta caratteristiche davvero innovative.

Il resto è storia dei nostri giorni, con le varie evoluzioni del motore Testastretta e l’arrivo del Desmosedici Stradale; l’innovazione va avanti, cambia molto se non tutto, a parte un aspetto, un filo conduttore: tutti i motori hanno la distribuzione Desmo.

SBK a Jerez: avanti tutta!

A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.

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