Vie di fuga e zone verdi nel Motomondiale, un tema caldo

Vie di fuga e zone verdi nel Motomondiale, un tema caldo

In questo articolo proponiamo alcune riflessioni sulle regole inerenti alle zone verdi nelle vie di fuga, nei circuiti del Motomondiale.

Non molti sono soddisfatti delle continue penalizzazioni imposte ai piloti che a volte, nella foga della competizione, mettono le ruote fuori dalla linea di delimitazione della pista anche se solo di pochi centimetri.

Al riguardo Eddie Lawson, 4 volte Campione del Mondo classe 500 negli anni ’80, nel corso di una intervista ha dichiarato: “Guardo sempre la MotoGP, è un bello show, anche se a volte ci sono troppe investigazioni, track limit; noi non avevamo niente di questo, qualche volta ci toccavamo ma era ‘racing’. Gareggiavamo. Le corse sono questo. A volte arrivare lunghi, toccarsi. Credo che non sia giusto seguire la Formula 1. Io sono un fan della Formula 1 ma non di queste cose”. E se lo dice Lawson famoso per la sua pacatezza e per la sua pulizia di guida …”

Ma, prima di criticare queste norme, e sul perché siano state introdotte, dobbiamo fare alcune considerazioni sulla sicurezza nelle corse.

La sicurezza dei circuiti da corsa

In realtà potremmo affermare che i limiti sono sempre esistiti, non imposti ma in maniera naturale, quando cioè erano muri, marciapiedi, alberi o pali della luce a delimitare lo spazio entro il quale mettere le ruote.

E non erano necessarie le investigazioni e le conseguenti penalizzazioni perché la punizione veniva da quegli stessi ostacoli e spesso andava ben oltre la penalizzazione di qualche decimo o di qualche posizione. Ne sanno qualcosa ancora oggi i piloti che frequentano le road race, Tourist Trophy su tutte.

E allora la Federazione, di concerto con gli organizzatori ed i proprietari dei circuiti, spinti anche dalla pressione dei piloti (ricordiamo che Giacomo Agostini fu uno dei primi a boicottare il TT) hanno incominciato progressivamente ad eliminare dal giro mondiale i circuiti troppo pericolosi, a creare le vie di fuga dove possibile e a costruire nuovi circuiti applicando criteri di sicurezza.

Le prime piste “sicure” vennero, principalmente in Inghilterra, ricavate dai vecchi aeroporti in disuso della seconda guerra mondiale.

A questo punto i tracciati delle piste non avevano più delimitazioni “naturali” ed i piloti man mano osavano sempre di più incentivati anche dal fatto che, in mancanza di ostacoli visivi, i piloti potevano arrivare con lo sguardo oltre la curva avendo così sotto controllo visivo tutto ciò che avveniva davanti a loro. Paradossalmente il pericolo veniva proprio dal maggior senso di sicurezza che percepivano i piloti.

Inizialmente circuiti costruiti con uno sguardo attento alla sicurezza dei piloti hanno salvato la vita a molti di loro ma poi, verso la fine degli anni ’60, i piloti di Formula 1 chiedevano di installare le barriere Armco, i famigerati guard rail, per “frenare” le loro monoposto in caso di uscita di pista; quelle barriere portarono effettivamente un’importante miglioria per la sicurezza dei piloti di Formula 1 protetti negli abitacoli dove erano tenuti ben fermi con le cinture di sicurezza ma per i motociclisti erano degli ostacoli duri quanto un muro tanto che nel paddock del Motomondiale venivano menzionate come “i binari della morte”.

Si pensò pertanto di rimuovere le barriere e di sostituirle con delle recinzioni di rete metallica che però erano sostenute da pali in legno; andavano bene se il pilota durante la caduta impattava contro le reti ma se malauguratamente impattava contro uno dei pali di sostegno le conseguenze potevano essere drammatiche se non proprio fatali come nel caso di Gilles Villeneuve, di Otello Buscherini e Paolo Tordi.

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Sembrò allora un’idea migliore quella di creare ampie vie di fuga, delimitate da una striscia di erba e a seguire riempite di ghiaia o sabbia con la funzione di rallentare la corsa di uomini e mezzi; ma anche questa soluzione aveva i suoi risvolti negativi perché i piloti (e le moto) anziché scivolare rotolavano tanto violentemente da subire lesioni anche molto gravi e per di più in caso di pista bagnata l’erba diventava eccessivamente scivolosa. In seguito, arrivò l’Astroturf (erba artificiale) per sostituire l’erba naturale ai bordi della pista ma che nella pratica non si rivelò una soluzione.

Infine, in sostituzione della ghiaia è arrivato l’asfalto che è sembrato essere una soluzione, se non definitiva, sicuramente migliore di tutte le precedenti.

L’asfalto arriva quando la Formula 1 automobilistica intuisce che la soluzione migliore per la sicurezza dei piloti è quella di metterli in grado di usare i freni per ridurre la velocità delle monoposto prima di un eventuale impatto, o proprio per evitare l’impatto, dopo una uscita di pista.

Inizialmente, quando furono introdotte le vie di fuga in asfalto, nell’ambito delle due ruote si pensò a conseguenze letali per il pilota in caso di caduta ma poi, riflettendo sulla dinamica delle cadute, si osservò che in genere il primo impatto avviene sull’asfalto del tracciato (e le conseguenze possono essere particolarmente gravi in caso di high side) dopodiché inizia la scivolata verso la via di fuga con meno probabilità di rotolare.

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Purtroppo, questo maggior senso di sicurezza ha spinto i piloti ad affrontare in maniera sempre più arrembante le curve con la conseguenza di allargare sempre di più in uscita fin oltre i cordoli traendone a volte evidenti vantaggi di tempo o di facilitazione nella fase di sorpasso o anche in caso di errore.

L’introduzione delle zone verdi

Da qui l’introduzione di regolamenti sui limiti di pista e delle zone verdi per cercare di impedire ai piloti di utilizzare più o meno volutamente anche le vie di fuga traendone vantaggio.

Ma queste norme sembrano non essere gradite ad alcuni addetti ai lavori, piloti compresi, e ad una ampia schiera di appassionati, più che altro perché spesso l’applicazione delle penalizzazioni appare incomprensibile o addirittura ingiusta.

Alcuni tra i contrari alle norme sulle zone verdi sono arrivati ad ipotizzare il ritorno alla ghiaia, ma ci sentiamo di dissentire ritenendo che questa soluzione andrebbe contro le attuali tendenze in materia di sicurezza. Basti pensare che solo negli anni ’90 quattro Campioni del Mondo – Wayne Rainey, Kevin Schwantz, Mick Doohan e Alex Crivillé – sono stati costretti a ritirarsi dalle competizioni a causa delle conseguenze di una caduta.

E dunque, asserito che la soluzione delle vie di fuga in asfalto è la migliore conosciuta, è opportuno chiedersi perché nasce la preoccupazione di penalizzare un pilota che “ruba” appena qualche millimetro di pista.

La risposta in parte è nel fatto che oggi in tutte e tre le classi del Motomondiale le differenze nei tempi sul giro tra i primi 10/15 piloti sono estremamente ridotte, quindi ogni centesimo di secondo conta e ha quindi un senso che il pilota che guadagni illegalmente qualche centesimo di secondo venga punito.

Il principio ispiratore delle norme è molto chiaro: se metti le tue ruote sulla zona verde in prova ti viene azzerato il tempo sul giro mentre in gara avrai una penalizzazione in secondi oppure sarai obbligato ad una Long Lap Penalty o a cedere una posizione.

Alcuni piloti sostengono che in molte occasioni non avrebbero ottenuto alcun vantaggio reale (ad esempio se il pilota è in testa alla corsa negli ultimi giri con un vantaggio apprezzabile) ma non si può negare che in realtà sarebbero stati favoriti per aver evitato uno svantaggio qualora nella via di fuga invece dell’asfalto avessero trovato erba, ghiaia o sabbia che ne avrebbero sicuramente rallentato l’impeto della corsa costringendolo quantomeno a pelare l’acceleratore.

Ma comunque, pur accettando queste regole, spesso le penalizzazioni vengono contestate ritenendole ingiuste sia dai piloti che dagli appassionati spettatori TV. Purtroppo, nessuno sembra rendersi conto che gli steward coordinati dall’ex Campione del Mondo Freddie Spencer hanno a disposizione numerose telecamere che consentono l’osservazione da diversi punti di vista, tra cui telecamere di riconoscimento ad alta definizione delle immagini che identificano e registrano automaticamente ogni singola violazione, quindi i provvedimenti non vengono presi in base ai soli filmati TV che vediamo noi spettatori.

Limiti della pista e zone verdi: il regolamento

Questi sono i punti salienti delle regole:

  1. Superare i limiti di pista significa che un pilota ha messo entrambi gli pneumatici sul green e nessuno dei due pneumatici tocca almeno in parte la linea bianca che delimita il bordo pista. Gli steward penalizzano un pilota solo quando dispongono di un’immagine TV chiara dell’infrazione. In caso contrario, il beneficio del dubbio spetta al pilota.
  2. Quando un pilota utilizza il green in allenamento o in qualifica, il giro viene annullato.
  3. Le infrazioni durante le gare sono più complesse. Se un pilota perde chiaramente tempo correndo sul green, non viene intrapresa alcuna azione. Se un pilota passa sul green per evitare un altro pilota, non viene intrapresa alcuna azione.
  4. Al pilota che supera i limiti della pista per tre volte viene inviato un warning (avviso) dopodiché, alla prossima infrazione, verrà penalizzato con un long lap. Ma se il pilota ottiene un reale vantaggio in una singola infrazione può essere punito con una penalità di long lap o di tempo o di posizione.
  5. L’ultimo giro è soggetto ad una diversa regolamentazione, più severa, perché in teoria un pilota che non abbia ricevuto nessun warning potrebbe utilizzare lo spazio green impunemente. Pertanto, qualsiasi pilota che utilizzi il green per ottenere un vantaggio all’ultimo giro sarà soggetto ad una penalità di tempo o di posizione.

Secondo gli esperti in materia di design delle piste, il problema dei limiti di pista emerge in maniera significativa in molti circuiti moderni dove prevalgono curve strette di circa 90°, al contrario non si verifica in maniera rilevante nei circuiti “naturali” come Phillip Island, Mugello, Assen, Silverstone o nel circuito di Termas de Rio Hondo progettato da Jarno Zaffelli con criteri diversi da quelli progettati dal tedesco Hermann Tilke.

CONCLUSIONI

Volendo evitare le norme sul green – che, per quanto abbastanza puntuali e precise, sono comunque soggette ad una valutazione arbitrale – una soluzione potrebbe trovarsi nell’adozione di vernici a basso coefficiente di attrito che costituirebbero di fatto una penalizzazione in caso di uscita dai limiti della pista costringendo il pilota a “pelare” l’acceleratore o a far entrare automaticamente in funzione l’antispin.

Non credo che tecnicamente sia impossibile ma, una volta stabilito quale sia il livello sicuro di un basso coefficiente di attrito, ci sarebbe probabilmente la difficoltà di ottenere quello stesso livello di aderenza su tutte le piste e in tutte le condizioni.

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