Ducati Monster S4RS e S4R Testastretta: monografia tecnica

Ducati Monster S4RS e S4R Testastretta: monografia tecnica

Il fascino della naked più famosa unito alle prestazioni di una vera supersportiva: ecco il biglietto da visita del Monster S4RS.

L’appetito vien mangiando, si suol dire. Beh, una volta mosso il primo passo nell’universo dei propulsori ad alte prestazioni, l’evoluzione del Monster non poteva assolutamente arrestarsi.

Dopo la prima acerba S4 di 916 cc e la successiva rivoluzionaria S4R di 996 cc, a chiudere un ciclo più che decennale di nude dominate dal telaio a traliccio non poteva che essere la massima espressione del bicilindrico di Borgo Panigale, il Testastretta.

L’S4R fu infatti l’ultima Ducati a fregiarsi del glorioso Desmoquattro, sino al 2006, anno in cui il vecchio propulsore fu definitivamente mandato in pensione.
L’arrivo dell Monster S4RS era chiaramente atteso da tutti i ducatisti e non si fece aspettare più di tanto; allo stesso modo, la versione S4R rimase in listino, mutuando gli aggiornamenti della nuova versione, di fatto differendo unicamente a livello di sospensioni rispetto alla S.

Ducati Monster S4R Testastretta e S4RS: cambiano solo le sospensioni

Sulla S4R, dunque, compariva una forcella Showa in luogo della Öhlins, ma sempre da 43 mm di diametro e completamente regolabile. Al posteriore, invece, il monoammortizzatore era Sachs anziché Öhlins, pluriregolabile e con serbatoio separato secondo lo schema “piggy back” così come l’unità di marca svedese.
Per il resto, entrambe le versioni riservavano prestazioni da riferimento grazie al generoso propulsore che, pur addolcito rispetto alla versione montata sulla 999, garantiva ben 130 Cv a 9500 giri con una coppia massima di ben 10,6 Kgm 2000 giri più in basso.

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Il Monster S4RS è la versione più potente, con 130 Cv.

Forte dell’appena rinnovata linea da “special”, l’S4RS ricalcava essenzialmente quanto già visto sull’S4R Desmoquattro: forcellone monobraccio in traliccio di tubi tondi e doppio scarico sovrapposto sul lato destro, mentre il caratteristico serbatoio a “dorso di bisonte” e il faro tondo di vecchia impostazione, veri e propri connotati identificativi, rimasero inalterati.

Oltre alla prevedibile nuova scelta di colorazioni, la versione S4R Testastretta proponeva tutta una serie di preziosismi in termini di dotazione, come i leggerissimi cerchi con razze sdoppiate a Y (di chiaro richiamo Superbike), il radiatore dell’olio di forma triangolare (anche questo a richiamare la discendenza “carenata”), oppure il rinnovato impianto frenante con tecnologia radiale.

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La strumentazione bicolore riprende quella introdotta sul Monster S4R.

Rispetto ai cerchi a 5 razze tangenziali dell’S4R Desmoquattro, infatti, quelli del nuovo Monster (Marchesini a 5 razze con disegno a Y in lega di alluminio) offrivano un notevole risparmio in termini di peso, pari a circa il 23% (1,3 Kg) per quanto riguarda quello posteriore, con un momento di inerzia minore del 18%. Tutto ciò, naturalmente, garantiva una non trascurabile riduzione delle masse non sospese, a tutto vantaggio della guidabilità.

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Il comando del freno anteriore (così come quello della frizione) è di tipo “semiradiale”.

A livello di freni, il grosso aggiornamento era costituito dall’adozione di una pompa “semiradiale” con flottante da 19 mm di diametro e serbatoio dell’olio separato abbinato a una coppia di pinze freno ad attacco radiale con quattro pistoncini da 34 mm di diametro e quattro pastiglie, oltre al logo Brembo verniciato di rosso, a ricalcare quanto proposto all’epoca dalla Desmosedici GP6.

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L’impianto frenante anteriore ha le pinze ad attacco radiale e i dischi da 320 mm di diametro e 4,5 mm di spessore.

I dischi dell’impianto frenante anteriore, pur conservando la classica misura da 320 mm di diametro, avevano uno spessore di 4,5 mm e una flangia centrale in lega di alluminio. Al posteriore, invece, non c’erano particolari novità, con la classica pompa munita di flottante da 11 mm di diametro abbinata a una pinza fissa con doppio pistoncino contrapposto da 32 mm di diametro che agiva su un disco fisso da 245 mm.

Sotto le stesse sembianze, piccole variazioni furono introdotte anche a livello del traliccio del telaio, realizzato sempre in tubi tondi di acciaio alto-resistenziale (ALS450), ma con una rigidezza flesso-torsionale incrementata del 5% rispetto a quello del primo S4R grazie ad alcuni interventi effettuati nella zona dell’airbox.

Il pezzo forte, però, era ovviamente costituito dall’incredibile bicilindrico di 998 cc: il Testastretta, così definito rispetto al vecchio Desmoquattro per la superiore compattezza nella parte superiore di ciascun cilindro, derivante dalla ridotta angolazione tra le valvole e dalla camera di combustione più compatta.

Delle varie versioni disponibili, per l’S4RS (e quindi anche per l’S4R Testastretta) venne scelta quella denominata “coppa bassa”, ovvero con carter motore (pressofuso) prolungato verso il basso attraverso un volume a forma di piramide rovesciata, così da garantire il miglior pescaggio di lubrificante in ogni condizione di assetto del veicolo (soluzione più che idonea per una motocicletta così poco disposta a rimanere sempre con la ruota anteriore attaccata al suolo!).

Quello che poteva sembrare un semplice trapianto richiese invece una lunga serie di adattamenti, a cominciare dalla modifica del carter nella parte posteriore per permettere l’accoppiamento con il forcellone monobraccio, i nuovi coperchi delle teste alleggeriti e dall’ingombro ridotto (fissati con sole quattro viti), oppure le nuove cartelle copricinghia in fibra di carbonio di nuovo disegno.

A livello di alimentazione, poi, c’erano grosse novità: un diverso corpo farfallato da 50 mm di diametro con iniettori IWP 189 a 12 fori, potenziometro TPS integrato e stepper automatico per la regolazione del regime di minimo.
Quest’ultimo dispositivo, particolarmente innovativo, era costituito da un motorino passo-passo in grado di mantenere costante il minimo al variare delle condizioni di esercizio del propulsore e di intervenire anche negli avviamenti a freddo, in maniera del tutto automatica.

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Il motore Testastretta, caratterizzato dal carter a coppa bassa.

La regolazione avveniva a mezzo di un otturatore con movimento orizzontale, spostato da un accoppiamento vite-madrevite azionato dal motorino elettrico, alloggiato in una fusione di alluminio con la quale, tramite tubazioni in gomma, era realizzato il circuito di by-pass sulle farfalle acceleratore.

Ovviamente, il comando era affidato alla centralina di controllo del motore secondo logiche prestabilite. I corpi farfallati, in realtà, erano stati mutuati quasi senza modifiche dalla sfortunata serie ST3, che a sua volta impiegava un’evoluzione di quelli a singolo iniettore installati sui Desmoquattro.

Le misure caratteristiche del propulsore erano di fatto invariate, con corsa di 63,5 mm e alesaggio di 100 mm, diametro valvole di 40 mm per quelle di aspirazione e di 33 mm per quelle di scarico, con alzate rispettivamente di 11,71 e 10,13 mm.

La fasatura era particolarmente spinta, essendo di fatto quella del motore montato sulla 999 MY 05, ovvero la stessa della versione 999 S degli anni precedenti. Anche lo scarico, pur ricalcando le linee già viste sui Monster monobraccio, era di fatto diverso, sia a causa dei diversi ingombri del propulsore che per le sue cresciute prestazioni: con un diametro maggiorato costante di 45 mm, il percorso dei tubi venne accordato per permettere al nuovo Monster di rientrare nelle restrittive normative antinquinamento Euro 3, grazie anche alla nuova sonda Lambda inserita nel presilenziatore, dove era alloggiato anche il gruppo catalizzatore trivalente.

Anche il solo colpo d’occhio, poi, permetteva di inquadrare la grande pulizia estetica derivante dall’eliminazione di gran parte dei cablaggi elettrici: completamente riprogettato, il nuovo impianto elettrico vedeva il proprio “cervello” posizionato appena sopra la testa del cilindro verticale, cui si accedeva facilmente alzando il serbatoio (centralina EFI, batteria, fusibili e relais).

La minuscola centralina era la collaudata 5AM della Magneti Marelli con circuiti elettronici agli stati ibridi, realizzati su supporti ceramici multistrato a elevatissima integrazione. Dotata di Flash-Eprom (che garantiva la possibilità di riprogrammazione ripetuta dei parametri di attuazione), la 5AM comprendeva infatti al suo interno anche i circuiti di potenza a servizio delle bobine di accensione e degli iniettori.

Il limite alle prestazioni del Monster S4RS: lo scarico

Il primo e forse unico step migliorativo per gli incontentabili possessori di un esemplare di Monster Testastretta passava ovviamente per la sostituzione dell’impianto di scarico, ancora penalizzato dal polmone compensatore e dal catalizzatore, nonché da una sezione dei tubi dell’intero complesso senz’altro incrementabile.

Infatti, come già sull’S4R dotato del vecchio motore, la sola sostituzione dei due terminali non portava quasi nessun beneficio, a parte un sound più grintoso. Già di serie, con i collettori di diametro maggiorato, la versione con il Testastretta faceva sentire le sue superiori potenzialità: la curva di potenza del nuovo motore, infatti, si sovrappone praticamente a quella del vecchio fino agli 8500 giri.

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Il Monster S4R Testastretta, che condivide con l’S4RS la parte meccanica.

Qui il Desmoquattro dava praticamente forfait, andando a raggiungere la potenza massima, mentre il Testastretta continuava con una progressione vigorosa per circa altri 1000 giri, raggiungendo esattamente 10 cavalli in più rispetto al suo predecessore.

Il vero passo avanti si ebbe con l’eliminazione del compensatore e l’installazione di un sistema completo da 50 mm di diametro, ovviamente conseguente all’adeguamento della mappatura di iniezione.

Con queste premesse, il Testastretta riprese in sostanza tutto il suo potenziale, esprimendo prestazioni analoghe a quelle della 999, con possibilità di superare i 140 cavalli. Precedendo l’avvento della ultraperformante Streetfighter e dei Monster di nuova generazione, la versione S4RS ha di fatto chiuso in maniera prestigiosa un ciclo iniziato oltre dieci anni prima, quello della serie Monster “Classic”, meritandosi così una pagina memorabile nella storia del motociclismo.

Foto Archivio Mondo Ducati

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