La Ducati Desmosedici RR ai raggi X

La Ducati Desmosedici RR ai raggi X

Insieme agli ingegneri Sairu e Versari vediamo quali sono stati gli aspetti più significativi del progetto Desmosedici RR, la Ducati più vicina alla Motogp.

Qualche tempo fa, su un canale della televisione di Stato, è andato in onda uno speciale sullo sbarco del primo uomo sulla Luna. Le immagini alle quali si riferiva il filmato hanno già fatto non si sa quante volte il giro del mondo, ma non è questo il punto.

In merito alla presentazione e successiva realizzazione della Desmosedici RR, infatti, si potrebbe fare un arditissimo paragone (fatte le dovute proporzioni, sia chiaro!) con i primi passi di Armstrong sul suolo lunare.

La Ducati come la Nasa, dunque. Da una parte, la sfida degli Stati Uniti contro l’Unione Sovietica per la conquista del satellite terrestre, dall’altra l’impresa della Casa di Borgo Panigale che sorprende i quattro colossi motociclistici giapponesi facendo ciò che nessun altro aveva mai fatto prima: costruire una MotoGP stradale.

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A ben guardare, questo confronto non è poi così improbabile. Si tratta pur sempre di una corsa contro il tempo, di una lotta per una supremazia tecnologica e, conseguentemente, politica. Inoltre, si tratta, in entrambi i casi, di vicende che hanno coinvolto un intero gruppo di persone: dirigenti, tecnici, ingegneri, collaudatori (in un caso gli astronauti, nell’altro i piloti…): tutti hanno dato il massimo affinché l’impresa prendesse forma.

Insomma, con la versione targata della Desmosedici, la fabbrica bolognese ha realizzato qualcosa di straordinario, è bene rimarcarlo ancora una volta. Gli uomini in rosso hanno centrato l’ennesimo obiettivo, quello che coniuga in modo più intimo le due anime del marchio Ducati: le corse e il prodotto di serie.

“La Desmosedici RR è nata insieme alla versione da gara e si è evoluta con essa”

Un aspetto che, come vedremo, ha rappresentato allo stesso tempo uno stimolo e una difficoltà.

Ducati Desmosedici RR: la parola agli ingegneri

Ne abbiamo infatti parlato con i due principali responsabili tecnici relativi al modello in questione: Marco Sairu, Ingegnere di Progetto Motore, e Paolo Versari, Ingegnere di Progetto Veicolo.

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Marco Sairu, Responsabile Motore del Progetto Desmosedici RR, ci mostra al computer il grafico relativo alla curva di coppia e potenza del quattro cilindri che equipaggia la MotoGP stradale Ducati.

Partiamo dunque dal “cuore” di questa motocicletta così esclusiva, l’unico quattro cilindri che attualmente spinge una Ducati con faro e targa.

L’Ingegner Sairu spiega quali sono stati gli aspetti più significativi di un lavoro iniziato non appena la Desmosedici da gara ha poggiato per la prima volta le sue ruote sull’asfalto.

In effetti – spiega l’Engine Project Manager – l’idea di realizzare una versione stradale della nostra moto da gara ha avuto origine quasi nello stesso momento in cui abbiamo deciso di partecipare alla categoria MotoGP. Già verso la fine del 2003, infatti, un gruppo di progettisti Ducati Motor stava lavorando alla realizzazione di una race replica.

La figura di Marco Sairu è di fondamentale importanza per lo sviluppo di questo progetto, visto che prima di lavorare alla RR, l’Ingegnere era impegnato in Ducati Corse sulla Desmosedici da gara, dunque conosce molto bene questa realtà.

A partire dalla fine del 2001 fino all’esordio a Suzuka, nel 2003, lo staff di Ducati Corse si è dedicato pesantemente alla moto da corsa, dopo di che, sotto la spinta di Claudio Domenicali, è iniziato lo studio della versione stradale. All’inizio, il progetto è stato guidato da un gruppo di tecnici ristretto, perché c’era innanzitutto la necessità di capire quali potevano essere le difficoltà nel tradurre i concetti base della moto racing, mantenendone le linee guida ma, al tempo stesso, andando incontro a quelli che sono i tipici requisiti di un prodotto stradale. Tanto per fare degli esempi, parlo dei limiti di rumorosità, del raggiungimento di certi standard di affidabilità e di intervalli di manutenzione adeguati. C’è stata, quindi, una fase preliminare in cui sono stati fatti molti studi sulla base del calcolo FEM, ovvero l’analisi degli elementi finiti, e altrettante analisi dal punto di vista fluidodinamico, in modo da avere delle indicazioni preventive sulle prestazioni del motore che stavamo per realizzare.

Obiettivo: 200 cavalli

A tal proposito, abbiamo chiesto all’Ingegnere se all’interno di Ducati fosse stato dato un target ben preciso da raggiungere in termini di potenza massima oppure se il risultato ottenuto sia stato semplicemente il frutto delle specifiche tecniche e della particolare cura realizzativa del V4 bolognese.

L’obiettivo è stato fin dall’inizio abbastanza chiaro: volevamo raggiungere i 200 cavalli. E’ evidente che nello sviluppo di un progetto come questo sono stati necessari degli aggiustamenti successivi per far sì che, da un lato, non si scendesse al di sotto di tale soglia e, dall’altro, che il risultato di questo sforzo fosse comunque fruibile. Proprio in virtù di una simile necessità, abbiamo deciso di adottare la configurazione Twin Pulse con sequenza di scoppi modificata, ovvero la stessa che abbiamo utilizzato sulla nostra moto da gara. L’esperienza maturata nelle competizioni ci ha insegnato che sui motori di grossa cilindrata con grande potenza ed elevati regimi di rotazione questa è la soluzione giusta. In pratica, essa consiste nello sfalsamento dei perni di biella di 70°, in modo da ravvicinare le fasi di scoppio. A posteriori, dopo aver sentito il giudizio dei nostri collaudatori e di chi ha provato la moto, possiamo dire di essere riusciti nell’intento che ci eravamo posti: nonostante i 200 Cv a 13.800 giri e gli 11,8 Kgm di coppia a 10.500 giri di cui è capace la Desmosedici RR, la moto risulta comunque relativamente facile da guidare anche per chi non ha la manetta di Stoner…

Un’altra delle particolarità tecniche del progetto Desmosedici risiede nel fatto che, così come sulla moto da gara, anche sulla versione omologata il motore è integrato nel veicolo, nel senso che svolge una funzione strutturale a livello ciclistico, pertanto si è dovuto tenere in debita considerazione questo aspetto al momento in cui sono stati decisi i materiali da utilizzare, il loro dimensionamento e i processi di realizzazione dei vari elementi.

Il forcellone e il link della sospensione posteriore vanno a infulcrarsi nel basamento inferiore – spiega Sairu – in pratica, non hanno elementi di contatto con il telaio. Allo stesso modo, il codone e il telaio stesso sono vincolati alla parte alta del motore. Questa funzione stressata del propulsore, dunque, diventa importante anche per il veicolo, sia per quanto riguarda le sollecitazioni, sia dal punto di vista dimensionale. Una delle linee guida del progetto, infatti, era quella di trasportare tutte le soluzioni della moto da corsa su quella stradale senza tuttavia alterazioni di sorta. La moto doveva, insomma, risultare compatta e leggera quasi come una vera MotoGP.

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Il motore della Desmosedici RR è l’unico quattro cilindri che equipaggia una Ducati di serie.

La vicinanza tra il quattro cilindri a V che equipaggiava la GP6, ovvero la moto con la quale Troy Bayliss ha vinto l’ultimo Gran Premio della scorsa stagione seguìto a ruota da Loris Capirossi, e quello della RR è davvero notevole non solo a livello di layout generale, ma anche, e soprattutto, quando si comincia a scendere nei dettagli.

Sairu ci spiega quali: “Naturalmente, le affinità macroscopiche consistono nel fatto che entrambi i propulsori abbiano lo stesso frazionamento e un’architettura a V di 90°, tipica caratteristica Ducati al pari della distribuzione desmodromica. Tuttavia, ci sono molti altri elementi che sono stati travasati sul motore di serie con pochissime variazioni rispetto alla moto da corsa. Gli angoli tra le valvole, per esempio, sono esattamente gli stessi della GP6. Le valvole sono in titanio con uno speciale trattamento superficiale. I registri di apertura e di chiusura sono invece realizzati in uno speciale tipo di acciaio che garantisce altissimi valori di durezza superficiale. Anche i semiconi sono in titanio, in modo da aumentare la leggerezza dei vari organi della distribuzione. Gli assi degli alberi a camme, poi, sono disposti nella stessa posizione di quelli da corsa e lo stesso vale per i centri dei bilancieri che, pertanto, durante il loro moto descrivono traiettorie analoghe. Tutto ciò ha permesso di raggiungere un regime massimo di rotazione di ben 14.200 giri in corrispondenza di un controllo comunque molto accurato della distribuzione. Non ci siamo spinti al limite estremo che avremmo potuto raggiungere perché, come ho già detto, la moto doveva mantenere un’affidabilità elevata, ma ritengo che questo rappresenti comunque un ottimo risultato.

Sul motore della Desmosedici RR, così come sulla versione GP6, c’è una cascata di ingranaggi che guida la distribuzione desmodromica. Gli ingranaggi sono stati particolarmente curati per ridurre le masse in gioco, mantenendo comunque alta la loro resistenza meccanica.

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Sopra: l’albero motore della Desmosedici RR (in alto) a confronto con quello della GP6. Sotto: lo stesso confronto effettuato con i bilancieri del sistema desmodromico della distribuzione. Come si può vedere, a livello dimensionale la similitudine è impressionante. Cambia soltanto il tipo di trattamento superficiale, che sulla RR non può essere altrettanto accurato per via dei numeri di produzione.

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I pistoni, poi, sono uno tra gli elementi che maggiormente si avvicinano a quelli da gara: la doppia nervatura che caratterizza il fondello dei pistoni, infatti, è unica nel suo genere e nessun costruttore la utilizza se non per applicazioni racing.

Ovviamente, a causa di differenti obiettivi in termini di blowby e consumo olio, il pistone della D16 RR è caratterizzato da due segmenti più un raschiaolio (mentre la GP6 ha un solo segmento e un raschiaolio). Quest’ultima caratteristica, dunque, lo riporta sul terreno delle moto stradali.

Altre analogie arrivano dagli alberi a camme, che in entrambi i casi hanno i lobi alleggeriti, e dalle bielle, che sulla versione stradale vengono lavorate a partire da un pezzo stampato, mentre sulla moto da gara sono completamente ricavate dal pieno.

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Gli alberi a camme della GP6 (in alto) e quelli della RR (in basso). Anche in questo caso la similitudine è evidente.

Detto questo, i diametri del piede e della testa di biella sono identici, così come il loro interasse e le bronzine utilizzate su di esse.

Molte delle similitudini presenti tra i due motori – spiega Sairu – derivano fondamentalmente dal fatto che le misure caratteristiche, vale a dire alesaggio e corsa, sono le stesse e valgono rispettivamente 86 e 42,56 mm. Naturalmente, il motore da gara ha delle finiture che non abbiamo potuto replicare sulla moto da strada, dal momento che essa verrà prodotta in circa milleduecento esemplari. Mi riferisco, ad esempio, a degli inserti in tungsteno presenti sull’albero motore della GP6 e assenti sulla RR, e ad alcuni trattamenti superficiali, come quelli effettuati sui bilancieri. Non cambia, viceversa, la metodologia utilizzata per la realizzazione dei carter motore e delle teste, che vengono fusi in terra. Ciò permette di combinare ottime caratteristiche di leggerezza con una resistenza meccanica superiore.

In ogni caso, per quanto riguarda l’albero motore, va comunque detto che, a differenza di quanto avviene nella “normale” produzione di serie, esso è completamente lavorato dal pieno (così come sulla moto da gara) e non parzialmente, a partire da un pezzo stampato.

Inoltre, viene sottoposto a un trattamento superficiale di nitrurazione profonda che dura più di 50 ore e al quale ne segue poi un altro di superfinitura che riduce la rugosità di superfici, peraltro già rettificate, in modo da incrementare ulteriormente il limite di fatica del componente, vale a dire la sua resistenza alle sollecitazioni meccaniche.

Dal lato alternatore, ovvero il sinistro, è possibile estrarre completamente il cambio.

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Sairu fa notare che pure questa caratteristica segue fedelmente le specifiche della moto da gara, anche se in realtà non troverebbe un’applicazione strettamente pratica su una moto stradale: “Estraendo l’intero blocco del cambio si ha la possibilità di ispezionare comodamente i vari alberi e gli ingranaggi, se non addirittura quella di intervenire sulla rapportatura. Al momento, non so dire se nei prossimi anni ci sarà un programma di sviluppo in questo senso: un’opportunità di questo tipo potrebbe infatti permettere, in futuro, l’installazione di un cambio estraibile anche su altre supersportive della produzione Ducati.

Sulla Desmosedici RR viene installata una frizione antisaltellamento per limitare il freno motore dovuto ai grossi pistoni da 86 mm di diametro. Il funzionamento di questo dispositivo è analogo a quelli già visti su altri modelli Ducati, vedi l’ultima 999 R.

I tecnici di Borgo Panigale hanno tuttavia lavorato per ridurne ulteriormente gli ingombri, come ci conferma l’Ingegnere: “Ci eravamo posti come obiettivo l’assoluta fedeltà dimensionale del motore della Desmosedici RR rispetto a quello della GP6. Ciò significa che il propulsore non doveva pregiudicare la compattezza stessa della moto. Se in lunghezza e in altezza questo è stato ottenuto senza particolari problemi, in larghezza, essendoci ovviamente due cilindri affiancati, anziché uno solo come sui nostri bicilindrici a L, abbiamo cercato di contenere gli ingombri il più possibile. Per questo motivo, ad esempio, lo spingidisco è stato ricavato dal pieno, in modo da ottimizzare gli spazi. Tra l’altro, rispetto alla 1098, il carico da applicare alla leva della frizione della Desmosedici RR è inferiore. Questo, da un lato è dovuto alla leggera inferiorità in termini di coppia del quattro cilindri rispetto a un bicilindrico e, dall’altro, alla maggiore regolarità di funzionamento del primo nei confronti del secondo. In altre parole, la Desmosedici stradale ha una minor differenza tra i picchi di coppia durante il ciclo e il valore medio della coppia stessa. Ciò consente di ridurre il carico sui dischi e, conseguentemente, di beneficiarne in termini di maggior morbidezza del comando al manubrio.

Per quanto riguarda le teste, anche in questo caso i tecnici Ducati hanno fatto leva sulla grande esperienza maturata nelle competizioni.

Ecco che i condotti di aspirazione sono stati realizzati pressoché rettilinei, oltre a essere direzionati in modo tale che i gas si tuffino letteralmente all’interno della camera di scoppio.

I diametri delle valvole sono 35 mm per quelle di aspirazione e 28,5 mm per quelle di scarico. Da sottolineare il fatto che, nonostante il motore sia particolarmente spinto, si sia riusciti a contenere il diametro dello stelo valvola in soli 5 mm, con tutti i vantaggi del caso.

Oltre ai componenti fusi in terra, poi, il motore vanta numerosi particolari in lega di magnesio. Questi si dividono essenzialmente in due tipi: quelli che svolgono una qualche funzione strutturale, tra cui il coperchio della cascata di ingranaggi che trasmettono il moto agli organi della distribuzione e il coperchio dell’alternatore, che vengono anch’essi fusi in terra, e quelli che, viceversa, svolgono un semplice compito di involucro, come i coperchi delle teste, la coppa dell’olio e la protezione della frizione, realizzati invece per pressofusione.

60.000 euro… li vale?

L’esclusività tecnica di questo prodotto, dunque, non ha eguali nella produzione di tutto il mondo, anche se, come riconosce lo stesso Sairu, qualcuno ha posto l’accento sul fatto che il divario tra le prestazioni della Desmosedici RR e le più performanti tra le moto giapponesi potrebbe sembrare non sufficiente a giustificare l’enorme differenza in termini di prezzo che c’è tra di esse.

Il nostro intento era quello dar vita a una moto di serie quanto più vicina possibile a un mezzo da corsa. A tal proposito è interessante notare il commento di Randy Mamola dopo che ha provato la Desmosedici stradale. L’ex pilota ha infatti dichiarato che, facendo delle considerazioni a livello puramente prestazionale, i circa 60.000 Euro necessari per comprare la RR possono apparire eccessivi se rapportati alla cifra, quasi sei volte inferiore, che serve per acquistare una mille a quattro cilindri di produzione giapponese. Tuttavia, è altrettanto vero che, nel momento in cui la guidi, ti rendi conto che la Desmosedici è realmente così vicina a una moto da gara che l’unico step superiore a livello tecnologico, attualmente, è proprio una MotoGP! Ed è evidente che per acquistare, se mai fosse messo in vendita, uno di questi prototipi non basterebbero centinaia di migliaia di Euro…

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Paolo Versari, Responsabile Veicolo del Progetto Desmosedici RR.

A riprova della cura assolutamente fuori dal comune per un prodotto di serie, se così può essere definita la Desmosedici RR, interviene poi l’Ingegner Paolo Versari che ci spiega come, ad esempio, per la lavorazione dei supporti delle pedane venga impiegato un processo di lavorazione che dura ben 45 minuti per ogni componente.

I pezzi in questione vengono sottoposti a una prima forgiatura che compatta le fibre del materiale, dopo di che la superficie del componente viene rifinita attraverso una macchina utensile.

Lo stesso concetto di lavorazione relativo alle piastre portapedane, anche se diverso è in questo caso il materiale, è stato riservato alle piastre laterali del telaio, che vengono dunque prima forgiate e poi ulteriormente “cesellate” grazie ad apposite macchine a controllo numerico.

Su questi elementi sono presenti dei raggi molto piccoli e spessori minimi, pertanto abbiamo dovuto utilizzare materiali e attrezzature adeguate. Inoltre, anche in questo caso sono necessari parecchi minuti di lavorazione per ogni singolo pezzo.

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Un particolare che mette in evidenza la grande cura riposta nella realizzazione dei supporti pedane, lavorati con macchine utensili dopo un processo di forgiatura. Tutto il processo richiede quasi un’ora di tempo per ogni supporto!

Di pari livello sono, naturalmente, anche le leve del cambio e del freno posteriore, così come le piastre di sterzo e i bracciali che sostengono i semimanubri, tutti finemente lavorati a partire da panetti di alluminio, come sulla più raffinata delle special.

Imponente, a tal proposito, la presenza di componenti in fibra di carbonio.

Tutta la carrozzeria è, infatti, in questo costoso e leggero materiale ad eccezione del serbatoio del carburante, che è comunque realizzato in alluminio attraverso un procedimento quasi artigianale.

Sono in fibra di carbonio – spiega Versari – i battitacco delle pedane, la protezione dei collettori di scarico e del catalizzatore, i convogliatori d’aria del radiatore, il cosiddetto snorkel (altro convogliatore d’aria, ndr), l’airbox e molti altri dettagli. Tanto per fare un paragone con la 1098, dove il supporto della strumentazione, che funge anche da supporto per gli specchietti, è in magnesio e pesa 600 grammi, sulla Desmosedici stradale questo componente è interamente realizzato in fibra di carbonio, cosa che ha permesso di risparmiare altri 200 grammi sul peso.”

Uno degli aspetti su cui il Responsabile del Veicolo pone inoltre l’accento è relativo alla precisione dimensionale di tutti le parti che lo compongono.

Sentiamo perché: “Su una moto da corsa tutto deve essere facilmente smontabile e nuovamente assemblabile senza che ci siano intoppi, vedi la carenatura in fibra di carbonio, che anche sulla moto stradale si rimuove attraverso delle semplici viti a sgancio rapido. Tuttavia, sui campi di gara ci sono i tecnici che intervengono in tempo reale là dove c’è da fare qualche piccola modifica. Nel caso di una moto stradale, ovviamente, questo non può accadere, pertanto ci siamo dovuti impegnare a fondo per garantire la massima fedeltà negli accoppiamenti delle varie parti e il massimo rigore negli ingombri. Se si osserva la moto da vicino, infatti, ci si accorge come alcune luci, ovvero lo spazio tra i vari componenti, siano ridotte al minimo. Arrivare a un livello simile su una moto che verrà prodotta in più di 1000 esemplari ha richiesto uno sforzo notevole.

In configurazione standard, la moto viene consegnata con un impianto di scarico silenziato entro i limiti imposti dal Codice della Strada e dotato di catalizzatore.

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I due sistemi di scarico con i quali viene fornita la Desmosedici RR. A sx: quello catalizzato e dotato di silenziatore; a dx: quello completamente libero.Quest’ultimo comporta un risparmio di peso di ben 4,5 Kg e viene abbinato a una centralina mappata appositamente che fa guadagnare ben 10 cavalli, portando la potenza massima al tetto dei 200 Cv a 13.800 giri.

A parte, però, viene fornito un kit che comprende uno scarico aperto privo di catalizzatore e una centralina appositamente mappata che fanno guadagnare circa 10 Cv in termini di potenza massima, raggiungendo appunto il tetto dei 200 Cv a 13.800 giri, oltre a garantire un risparmio di ben 4,5 Kg sul peso totale del veicolo.

Rimuovere il silenziatore catalizzato è un’operazione che richiede davvero poco tempo, anche se esso è completamente nascosto all’interno del codone. Basta infatti togliere tre viti per smontare la cover in fibra di carbonio e altre tre per svincolare il silenziatore stesso.

Anche per sostituire la centralina è sufficiente togliere gli specchietti e rimuovere il cupolino. All’altezza della bocca della presa d’aria frontale si trova infatti la centralina che gestisce l’impianto di alimentazione e accensione del motore, facilmente sostituibile con quella appositamente mappata per l’impianto di scarico racing.

A proposito di quest’ultimo, tra le “chicche” tecnologiche che compaiono sulla moto c’è la protezione che circonda le uscite a camino del silenziatore. Per realizzarla è stato utilizzato lo stesso materiale composito che viene impiegato sulle vetture di Formula 1, capace di resistere fino a temperature superiori ai 1000 °C e garante di notevole leggerezza.

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Il coperchio che circonda l’uscita del sistema di scarico è realizzato in uno speciale materiale,
molto leggero e particolarmente resistente al calore, utilizzato in Formula 1.

La cosa impressionante – precisa Versari – è che dopo aver spento il motore in seguito a un utilizzo prolungato, basta aspettare un paio di minuti per poterci mettere la mano sopra, tanto è elevata la sua dispersione termica. Si tratta di un’innovazione assoluta in campo motociclistico.

Sempre a proposito di smaltimento del calore, l’Ingegnere ci ha illustrato come l’interno del codone in fibra di carbonio sia completamente coibentato, oltre ad essere dotato di numerose prese e sfoghi per l’aria che ricalcano perfettamente quelle presenti sulla moto da gara.

In fibra di carbonio è anche la struttura portante della sella. Anche in questo caso, si tratta della prima volta in assoluto che una soluzione del genere viene applicata a una moto omologata per la circolazione su strada.

In questo modo si è riusciti, oltre a garantire la massima analogia a livello di layout tra il mezzo da corsa e quello targato, a ottenere un rapporto tra leggerezza e rigidità strutturale di assoluto riferimento.

Lo stesso vale, naturalmente, anche per il telaio, che riprende l’impostazione praticata sulla GP6, con tubi di tre diversi spessori e diametri a seconda dei punti interessati, e offre notevoli vantaggi a livello di flessione e torsione, che è pari a una volta e mezzo quello della 1098, tanto per fare un esempio.

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Il telaio della Desmosedici RR riprende fedelmente il layout della moto da gara impiegata nel 2006. Come si può vedere, i tubi che compongono il traliccio hanno diametri differenti e si congiungono a delle piastre laterali forgiate.

Questo dipende fondamentalmente dalle differenze a livello di punti di attacco, che sui bicilindrici sono posizionati sul carter motore, mentre sul V4 bolognese interessano le teste, riducendo il braccio di leva tra il cannotto di sterzo e gli stessi punti d’attacco.

A livello di forcellone, invece, il paragone è stato fatto con l’unità che equipaggiava la 999, visto che in entrambi i casi si ha a che fare con strutture a due bracci. Ebbene, in virtù di un aumento di massa pari al 10%, dovuto principalmente alla sua maggior lunghezza, il forcellone della Desmosedici RR (realizzato parte in lamiere e parte in elementi ottenuti per fusione, con spessori che scendono fino a 3 mm) risulta più rigido del 35% rispetto a quello della bicilindrica Ducati disegnata da Pierre Terblanche.

La geometria della sospensione posteriore è anch’essa fedelmente derivata da quelle che sono le specifiche utilizzate dalla Ducati in MotoGP.

Sia l’ammortizzatore che la forcella sono della svedese Öhlins, con la seconda dotata di una cartuccia contenente azoto in pressione per ogni stelo, grazie alla quale si ottiene un funzionamento molto più rigoroso della parte idraulica. Della stessa marca è anche l’ammortizzatore di sterzo (la RR assicura una sterzata di 25° per lato), dislocato sul lato sinistro del veicolo, in posizione tradizionale, anziché essere vincolato direttamente alla piastra di sterzo come sulla famiglia Hypersport della Casa di Borgo Panigale.

L’impianto frenante anteriore è stato ereditato proprio da quest’ultima, nel senso che le pinze e i dischi sono gli stessi della 1098.

Tuttavia, la Desmosedici RR è impreziosita con alcune raffinatezze, come la leva del comando snodabile per non rompersi in caso di caduta (adottata anche sulla frizione) e il sistema remoto per regolare la distanza della leva stessa dalla manopola attraverso un rinvio con relativo registro sul manubrio sinistro, in modo da poter recuperare eventuali perdite di tono da parte dell’impianto mentre si è in marcia, senza mai togliere le mani dai manubri.

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L’impianto frenante anteriore della RR è lo stesso della 1098, mentre la forcellaè completamente inedita con tanto di cartucce contenenti azoto in pressione. A sx: un particolare del dispositivo remoto per regolare la distanza della leva del freno anteriore dalla manopola.

Anteprima assoluta su una moto di produzione è anche la presenza delle ruote in magnesio forgiato, che vengono ricoperte con uno speciale tipo di vernice che le preserva dall’ossidazione.

Tra l’altro, il cerchio posteriore è di 16” di diametro, largo 6”, e monta un pneumatico di ben 200 mm di larghezza che è stato sviluppato appositamente dalla Bridgestone per questo modello. Davanti, invece, troviamo il classico cerchio da 17” con canale da 3,50”.

La forza di questo progetto – spiega Versari – consiste nel fatto che tutte le parti del veicolo sono state prima realizzate con programmi al CAD, perciò si sono potute prendere in considerazione varie problematiche prima di realizzare la moto fisicamente. Grazie agli studi che abbiamo fatto, dunque, ci siamo messi al riparo dal rischio che, una volta costruiti i primi prototipi, qualcosa non andasse bene. Tutto era già stato simulato e verificato al computer. Si tratta di un approccio molto avanzato nei sistemi produttivi, che Ducati ha voluto mettere in pratica su questo modello, proprio per il carico di innovazione che esso porta con sé.

All’interno della fabbrica Ducati, e più precisamente nell’area dove vengono portati avanti i corsi di formazione e aggiornamento dei tecnici che lavorano nei centri della rete ufficiale, è già stata allestita una Desmosedici RR che funge da “cavia” per i meccanici che dovranno effettuarne la manutezione nei Ducati Store.

Versari ci ha dunque fatto notare che, al di là dei suoi contenuti tecnologici, la RR è una moto predisposta per essere sottoposta ai tagliandi periodici come qualsiasi altra.

Sul lato destro del veicolo, ad esempio, è presente il dispositivo che serve all’allineamento dei corpi farfallati, mentre a livello di diagnosi, la Desmosedici stradale si interfaccia con il DDS, Ducati Diagnosis System, così come tutti gli altri modelli di produzione.

Prendendo spunto da quanto è già stato fatto sulla 1098, poi, la RR è stata dotata di un sistema di acquisizione dati attraverso il quale monitorare i vari parametri relativi al motore.

Attraverso una presa, posta in una nicchia ricavata sotto la sella, sulla quale va a inserirsi una chiave USB è infatti possibile visualizzare su un normale PC i grafici del regime di rotazione, dell’apertura farfalla, della velocità e dei tempi sul giro, che vengono rilevati manualmente dallo stesso pilota attraverso un interruttore sul manubrio.

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Uguale alla 1098 è anche la strumentazione digitale, la stessa montata sulla moto campione del mondo con Casey Stoner.

Anche secondo Versari, uno dei punti chiave di questo progetto è stato senza dubbio la realizzazione di un veicolo quanto più possibile vicino a una moto da gara, senza tuttavia trascurare le necessità proprie di un mezzo stradale.

Far convivere questi due aspetti, anche se a livello ciclistico le problematiche sono state forse inferiori rispetto a quelle incontrate nella realizzazione del motore, ha comportato comunque una notevole mole di lavoro: “Anche i soli aspetti ergonomici, come la posizione delle pedane, dei manubri, della sella e la sagoma del serbatoio hanno richiesto del tempo per essere definiti in modo ottimale. Come già detto, siamo riusciti a centrare l’obiettivo sia perché la nostra moto da gara nasce già con delle misure felici da questo punto di vista, sia perché l’approccio iniziale è stato effettuato attraverso delle simulazioni al computer che ci hanno permesso di risparmiare molti tentativi inutili. In un certo senso, ci siamo potuti concedere il lusso di prendere il meglio da tutte e due le parti, sia per quanto riguarda la moto da corsa che quella stradale, ma questo ha richiesto un grande impegno da parte nostra.”

Foto Ducati

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