I motori Ducati mai visti

I motori Ducati mai visti

Una panoramica sui motori Ducati che, per ragioni tecniche o scelte aziendali, non hanno avuto successo o sono rimasti a livello di prototipi.

Oggi siamo abituati a pensare a Ducati come a un’azienda super organizzata, dove qualsiasi iniziativa, sia essa tecnica o di carattere commerciale, viene pianificata con 5 anni di anticipo.

Lo chiedono gli investitori, lo chiede il mercato e, soprattutto, lo impongono le dimensioni dell’azienda stessa, che ormai non può più permettersi il lusso di lasciare alcun margine all’improvvisazione.

Tuttavia, non è sempre stato così: nel corso della sua lunga storia, l’azienda di Borgo Panigale ha spesso impostato le proprie strategie dovendo fare i conti con una dirigenza che cambiava orientamento con una certa rapidità e in base a logiche dettate più dalla politica (ricordiamoci gli anni della gestione parastatale) che non dal buon senso.

Risultato? Molti dei progetti che sono stati portati avanti in quegli anni sono rimasti allo stato di prototipo, e quindi non hanno mai visto la luce, mentre altri hanno raggiunto la produzione con scarsissimo successo, al punto che quasi nessuno ne ha mai sentito parlare.

Ecco, questa volta ci occuperemo proprio di queste realtà, sotto forma dei motori che, in qualche modo, hanno lasciato una traccia meno netta negli oltre 70 anni di attività dell’azienda come Casa motociclistica.

Questa raccolta spazia dagli anni pionieristici fino al recente passato, testimoniando come Ducati abbia sempre avuto un reparto progettazione molto attivo, al quale non è mai mancata la voglia di sperimentare nuove soluzioni, alcune delle quali anche piuttosto ardite.

Va detto che non doveva essere facile, per i tecnici e gli ingegneri, trovare la motivazione per mettere tutto il loro impegno in qualcosa che, molto spesso, veniva poi accantonato al primo cambio di rotta in seno alla dirigenza. Non sono mancati neppure i casi in cui certi progetti venivano addirittura effettuati di nascosto, al di fuori dell’orario di lavoro, per paura che da un momento all’altro potesse arrivare il tanto temuto stop imposto dall’alto.

Certo, erano altri tempi, oggi se un motore non raggiunge la produzione devono sussistere motivi davvero importanti, visti gli enormi investimenti che questo comporta, eppure gli ultimi esempi in tal senso, come scoprirete più avanti, risalgono a non moltissimi anni fa.

Questo ci insegna che confrontarsi con il mondo del mercato motociclistico non è affatto facile e che le sfide che Ducati affronta costantemente, come ad esempio quella di passare dalla Panigale V2 alla Panigale V4, non sono esenti da rischi e rendono ancora più merito alla bravura delle persone che lavorano all’interno della fabbrica bolognese. Anzi, forse è proprio la genialità tipicamente italiana che ci contraddistingue ad aver fatto sì che l’esperienza maturata sui progetti, dei quali si è sentito parlare di meno, sia stata messa a frutto per quelli successivi, piuttosto che essere vissuta come un fallimento.

Quel che è certo è che in Ducati, nonostante certe scelte strategiche avvenissero “a seconda di come cambiava il vento” non ci si è mai persi d’animo, o per dirla con un’espressione più moderna, non si è mai mollato.

Forse è proprio questa la regola che ha prevalso su tutto, quel “never give up” tanto caro agli americani che ha fatto la differenza anche nei momenti difficili, quando l’azienda navigava senza una direzione ben precisa.

Oggi, fortunatamente, tutto è cambiato, ma rimane ancora la voglia di sperimentare all’interno dell’Area Tecnica.

Chissà quali meraviglie saranno sul banco prova in questo momento, magari in attesa di equipaggiare i modelli che vedremo su strada tra 5 anni!

 

 

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Nel 1957-1958, Ducati realizzò il motore e la trasmissione per un motocarro di 250 cc, con la parte termica che rappresentava l’evoluzione del monocilindrico di 175 cc protagonista del Giro del Mondo con Tartarini e Monetti. Nella trasmissione era inserito il gruppo differenziale con il cambio e l’inversione del moto per la retromarcia. Il motore era inoltre dotato di avviamento elettrico collegato al volano con ventola, alloggiata nel convogliatore, e utile per il raffreddamento del cilindro e della testa.

 

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Anche qui siamo di fronte a un motore molto interessante, rimasto allo stadio prototipale. Si tratta di un bicilindrico di 748 cc del 1972, originariamente equipaggiato con coppie coniche. La distribuzione, tuttavia, è stata completamente trasformata e gli alberi a camme vengono adesso messi in rotazione da due catene contenute all’interno di altrettante cartelle con lubrificazione a caduta.

 

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Il prototipo del motore che doveva equipaggiare i modelli Utah e Rollah, con cilindrata rispettivamente di 350 e 500 cc. In pratica, si trattava della versione monocilindrica del Pantah, con molte lavorazioni simili a quest’ultimo. Il cilindro verticale è inclinato in avanti di 15°. I transfer per la produzione dal bicilindrico al monocilindrico erano stati predisposti dopo un lungo set-up delle macchine destinate alle lavorazioni meccaniche. Alcuni componenti provenivano invece direttamente dai motori bicilindrici di 350 e 500 cc. La testa, ad esempio, era quella del Pantah 500. Il progetto è datato 1978.

 

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Questo è un motore sperimentale di derivazione Pantah che è rimasto allo stadio di prototipo. E’ stato realizzato nel 1980 e ha un cilindrata di 350 cc. La sua caratteristica principale, come si vede anche dalle immagini, è quella di essere equipaggiato con un impianto di sovralimentazione volumetrica tipo quello impiegato dalla Lancia in ambito automobilistico. Il turbo è comandato da una presa di forza sull’albero motore con rapporto 1:2. Così configurato, il motore erogava una potenza massima di circa il 20% superiore alla versione aspirata.

 

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Anche questo motore, rimasto allo stadio di prototipo, è di derivazione Pantah, con comando della distribuzione a cinghia dentata. Ha una cilindrata di 904 cc e la cosa più interessante da notare è la voluminosa coppa dell’olio sotto di esso. Essa era stata infatti maggiorata di proposito, perché si supponeva che il basamento dovesse supportare futuri aumenti di cilindrata. L’accensione a iniezione elettronica ha il comando sul rinvio della distribuzione. Questo progetto risale al 1982.

 

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Questo interessante bicilindrico di 651 cc con teste a 3 valvole e raffreddamento ad aria ha il comando valvole desmodromico monoalbero a 6 lobi. Le misure di alesaggio e corsa sono rispettivamente di 84 x 58,8 mm, con un rapporto di compressione pari a 10:1. Sviluppava ben 71 Cv di potenza massima, mentre le valvole erano da 36 mm all’aspirazione e 31 mm allo scarico. Il carter è di tipo piccolo. Questo motore era stato previsto per equipaggiare la gamma Monster e Multistrada, e ne erano state previste anche altre due versioni, una da 800 cc e una da 1000 cc. La data di omologazione risale all’8 giugno 2004.

Il motore Ducati per le Poste

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Non poteva mancare, in questa nostra carrellata, il motore RH 186 in versione verticale, che fu installato su una Fiat 126 allora in dotazione al servizio posta aziendale.
Il raffreddamento del motore era a olio e il lubrificante veniva fatto circolare nelle intercapedini del cilindro e raffreddato con un radiatore supplementare. In pratica, questa unità sostituiva il gruppo propulsore Fiat mantenendo il cambio e la trasmissione originali.
Del motore RH 186 fu realizzata anche una versione diesel (presente in foto) per equipaggiare una microcar della Ligier. Il motore era disposto a sogliola per avere il piano di carico del baule libero. Fu prodotto in qualche migliaia di esemplari per dotare le poste francesi di un mezzo chiuso. Il gruppo cambio nella foto è sprovvisto della coppia di pulegge che collegavano il motore al cambio, dotato anche di inversione del moto per la retromarcia.

Con la collaborazione di Gianluigi Mengoli e Gianfranco Zappoli

SBK a Jerez: avanti tutta!

A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.

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