Monster S4: il mostro a 4 valvole

Monster S4: il mostro a 4 valvole

Nel 2001 arriva il Monster S4, che accontenta chi cerca più potenza grazie al Desmoquattro con raffreddamento a liquido di 916 cc.

Già alla fine degli anni Novanta alla dirigenza Ducati fu chiaro come il Monster fosse in sofferenza, sia rispetto ai modelli concorrenti nel mondo delle naked che alle aspettative della propria clientela: il motivo di questa situazione risiedeva nel deficit di potenza che ormai il caro vecchio due valvole pativa nei confronti di un mercato sempre più assetato e desideroso di cavalli.

Questo a dispetto del fatto che il generoso bicilindrico da 904 cc fosse in realtà la soluzione ottimale per una moto comunque priva di qualsiasi riparo aerodinamico e dove senz’altro erano privilegiate le caratteristiche di erogazione ai bassi e medi regimi piuttosto che i valori di potenza massima.

Senza parlare poi del problema estetico, visto che il motore in questo tipo di moto acquista una valenza di attore protagonista, situazione senz’altro penalizzata da tubazioni e radiatori per il raffreddamento ad acqua necessari per un propulsore quattro valvole.

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Il motore della S4 è il bicilindrico ad L, distribuzione desmodromica e 4 valvole per cilindro, raffreddamento a liquido di 916 cc per un alesaggio e corsa pari a 94 x 66 mm. L’alimentazione è tramite iniezione elettronica Marelli con corpo farfallato da 50 mm, la frizione è multidisco a secco con comando idraulico. Capacità del serbatoio benzina pari a 15 litri (di cui 3,5 di riserva).

In ogni modo, se il mercato chiama, un’azienda deve rispondere e del resto per Ducati questo non era altro che un ritorno alle origini, visto che il primo prototipo del Monster ideato da Galluzzi era proprio equipaggiato con il motore quattro valvole della 888.

Del resto, in azienda avevano anche il motore e la base tecnica su cui imbastire il nuovo Monster, ovvero la ST4 con il suo propulsore 916 rivisto e corretto.

Fu quindi relativamente semplice presentare sul mercato, nel 2001, il nuovo e più muscoloso Monster con motore quattro valvole.

In effetti, il Monster S4 partì proprio da queste basi tecniche: motore bicilindrico quattro valvole con camma di scarico ribassata e fasatura della distribuzione rivista, il tutto ottimizzato per massimizzare la coppia erogata.

Le prestazioni del motore, in questa specifica configurazione, permettevano di ottenere 101 Cv a 8750 giri e 9.3 Kgm (quasi 2 Kgm in più rispetto all’M900 S) a 7000 giri.

Le differenze principali tra l’unità montata sul Monster S4 e la 916 standard risiedevano essenzialmente nella diversa fasatura delle camme e nell’impianto di scarico: due fattori che facevano sì che le sue prestazioni fossero limitate in termini di potenza, ma con il vantaggio di maggiore coppia e di un’erogazione più fluida.

A ciò contribuiva anche l’adozione del cambio a sei marce derivato dal modello 748, abbinato a una trasmissione secondaria leggermente più lunga rispetto al modello a due valvole, così da sfruttare appieno le doti prestazionali del bicilindrico raffreddato a liquido da 916 cc.

La gestione integrata di iniezione e accensione era affidata a una nuova centralina Marelli 5.9, molto leggera e compatta, con un impianto elettrico a sua volta semplificato, pur con l’aggiunta della funzione immobilizer e del dispositivo per il cavalletto laterale.

Il vantaggio in termini di peso è rilevante se consideriamo che, pur con i vari “accessori” che equipaggiano il motore 4 valvole, l’S4 arrivava a pesare solo 193 Kg in ordine di marcia.

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La S4 era disponibile nei colori rosso, giallo, nero e grigio scuro metallizzato con verniciatura del telaio in grigio scuro metallizzato. Per le ruote, colore grigio scuro metallizzato o rosso  fluorescente (ma solo per i modelli con serbatoio grigio scuro).

Per quanto concerne il sistema di scarico, questo è dello stesso tipo montato sul 900 Desmodue, con collettori da 40 mm di diametro, valore inferiore quindi agli standard dei Desmoquattro, che prevedevano collettori da 45 mm (solo la 851 aveva un diametro dei collettori pari a 40 mm, peraltro accoppiato a valvole più piccole, ma ciò accadeva oltre dieci anni prima che fosse prodotto il Monster S4).

Con buona probabilità, una simile scelta era mirata a privilegiare ancora una volta la resa del propulsore ai regimi medio-bassi, anche in questo caso limitando fortemente le prestazioni in termini di allungo. Non a caso, la stessa Ducati, nel catalogo Performance, proponeva come step evolutivo per l’S4 un kit comprensivo di collettori maggiorati (45-50 mm) in grado di esprimere il vero potenziale del bicilindrico: ovviamente, a corredo era fornita una centralina modificata che spostava il limitatore dei giri a quota 10.000 giri.

Già detto dell’importanza estetica che il motore assume su una moto come il Monster, tanto che in Ducati lo abbellirono esteticamente con una colorazione grigio-alluminio e coperchi delle cinghie di distribuzione in fibra di carbonio.

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Sul fronte della ciclistica, da notare come il telaio fosse derivato, con opportune modifiche, da quello della serie ST, che in termini di geometria si traduceva in un interasse di 1440 mm e un angolo del cannotto di sterzo pari a 24°.

Modifica importante anche per i leveraggi della sospensione posteriore: sparito il caratteristico archetto ereditato dalla serie 851-888, compare infatti un più razionale sistema dotato di un unico puntone regolabile che agisce sul medesimo asse del monoammortizzatore.

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Il telaio della S4 è il classico traliccio in tubi di acciaio con interasse di 1440 mm e inclinazione del cannotto di 24°. Notare la sospensione posteriore progressiva con monoammortizzatore Sachs completamente regolabile con serbatoio piggy back. Il forcellone è in alluminio.

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Tali soluzioni, già l’anno successivo, nel 2002, furono introdotte su tutti i modelli della famiglia Monster, anche quelli a due valvole.

In termini di impostazione di guida, l’S4 presenta una sella leggermente più alta (803 mm contro 770 degli altri modelli), un manubrio in due pezzi fissato direttamente alla piastra di sterzo superiore (fra l’altro di fattura non proprio impeccabile) e un assetto rialzato di 20 mm, in modo da poter disporre della luce a terra necessaria per sfruttare i notevoli angoli di piega di cui era capace.

Le sospensioni erano di buona qualità, soprattutto la forcella Showa, completamente regolabile, più che adatta per un uso anche sportivo della motocicletta. Lasciava invece un po’ a desiderare il comportamento dinamico dell’elemento posteriore Sachs, poco efficace e scarsamente sensibile alle regolazioni.

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La forcella è una Showa con steli da 43 mm rovesciati, completamente regolabile. L’escursione della ruota anteriore è di 130 mm, mentre il cerchio anteriore è in lega leggera, a 5 razze, nelle misure di 3,50×17″. Davanti abbiamo 2 dischi da 320 mm serviti da due pinze a 4 pistoncini.

L’impianto frenante era ovviamente Brembo, con dischi anteriori da 320 mm e pinze P4 30-34, mentre al posteriore c’era un disco da 245 mm con pinza a doppio pistoncino, il tutto completato da condotti in treccia metallica. Il comando della frizione disponeva della nuova pompa PSC 12 che garantiva, a parità di sforzo, un’azione più potente, senza per questo perdere in sensibilità.

L’estetica prevedeva una caratterizzazione simile alla 916 Senna, con serbatoio, coprisella e cupolino color canna di fucile, contrapposti al rosso acceso delle ruote a cinque razze (di disegno analogo a quelle montate sulla 996), oltre ai vari particolari in fibra di carbonio. Negli anni, poi, si susseguirono diverse colorazioni, fra cui anche un apprezzato nero metallizzato.

Il Monster S4 era disponibile a listino al costo di 11.750 euro.

Come va il Monster S4

Il propulsore a quattro valvole lo si riconosceva subito, pur ammorbidito nell’erogazione e nella capacità di allungo. Già a 5000 giri, però, la coppia era consistente, con il problema che non era sempre semplice tenere la ruota anteriore a terra in uscita di curva, spalancando il gas! In questo senso, si avvertiva la mancanza di un ammortizzatore di sterzo.

L’allungo non era ovviamente quello garantito della contemporanea 996 (nell’S4 il limitatore interviene a circa 9500 giri indicati), ma su un mezzo di questo tipo ciò ha un suo senso, dato che per andare forte non importava “spremere” a fondo il motore.

In questo senso, però, l’aggiunta di uno o due denti alla corona sarebbe stata una soluzione efficace per guadagnare qualcosa in ripresa e accelerazione.

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Il Monster S4 si rivela particolarmente efficace nella guida su strada, prediligendo i percorsi veloci dove poteva mettere a frutto la sua potenza: anche se non particolarmente brillante in fase di accelerazione e allungo, infatti, l’S4 disponeva di un buon numero di cavalli e di una coppia generosa fin dai medi regimi. Ne consegue una guida brillante, pur con la limitazione di angoli di piega contenuti a causa della posizione bassa di pedane e scarico.

Nella prova dinamica su strada fu subito evidente come l’S4, nonostante la stretta parentela con la Sport Touring Ducati, mantenesse un comportamento tipico della famiglia Monster, confermandone tutte le caratteristiche tipiche; l’impiego del motore 4 valvole non faceva altro che intensificare le sensazioni che si provano stando in sella.

Quindi una moto divertente, maneggevole, a suo agio sulle strade misto veloci, dove consentiva una guida facile e divertente in virtù di una dotazione tecnica di buon livello, freni compresi.

Insomma, sempre il caro e vecchio Monster, anche se l’S4 risultava un pelino meno agile rispetto al due valvole, capace però di recuperare agevolmente nei rettilinei quel poco che perdeva nella fase di inserimento e nei cambi di direzione.

Insomma, il connubio tra le prestazioni dell’unità a 4 valvole e l’equilibrata ciclistica della serie Sport Touring Ducati lo rendevano un mezzo estremamente intuitivo, facile da portare al limite e non troppo scomodo. Questo perché in sella all’S4 ci si sentiva a proprio agio, con l’unico accorgimento, come detto, di non esagerare con il comando dell’acceleratore, pena una certa difficoltà nel tenere la ruota anteriore attaccata a terra.

La strumentazione era ampia e ben leggibile, con il pratico contagiri a fare da riferimento per ottimizzare i cambi marcia.

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Il cruscotto è di tipo elettronico e presenta contachilometri, contagiri, spie luci, abbaglianti, frecce, pressione olio, riserva carburante, temperatura acqua, immobilizer e orologio.

Un particolare non troppo apprezzato dai puristi era costituito dai due semimanubri ricavati per fusione, di foggia analoga a quelli della serie ST. Esteticamente non bellissimi e poco “sportivi”, non offrivano alcuna possibilità di regolazione, fra l’altro erano anche di complessa sostituzione vista la particolare conformazione della piastra di sterzo originale.

La moto fu poi testata anche in pista, su un circuito non troppo veloce come Magione, ma che comunque dispone di un lungo rettilineo dove si raggiunsero comunque velocità intorno ai 220 Km/h.

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In pista, come solitamente succede, si amplificano i difetti di una moto. Così anche per l’S4, con scarichi e pedane che toccano frequentemente l’asfalto. Da qui la necessità di adottare uno stile di guida particolare, tendente a sfruttare le doti dell’impianto frenante e del motore piuttosto che la percorrenza a centro curva.

In questo frangente, la moto si rivelò molto divertente: per ottenere il massimo in termini cronometrici bisognava guidare “spigolando” le curve, “tirando” il più possibile la staccata e accelerando presto, sacrificando di conseguenza la velocità di percorrenza in modo da sfruttare l’accelerazione in uscita.

Del resto, le possibilità di piega erano limitate dalla disposizione di scarichi e pedane, abbastanza bassi, così che era particolarmente facile “grattugiare” i silenziatori sull’asfalto!

Altro difetto, era l’intervento del limitatore, più brusco e frequente di quanto ci si potesse aspettare, tanto da penalizzare la moto in accelerazione.

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Il motore della S4 era lo stesso della ST4, quindi l’unità quattro valvole da 916 cc profondamente rivisto per essere più corposo ai bassi/medi regimi a scapito della potenza massima. Un compromesso che poteva avere un suo senso su una moto di carattere prevalentemente turistico come l’ST4 appunto, ma un po’ mortificante per una moto dall’indole comunque sportiva come il Monster. Il problema fu risolto da Ducati con l’arrivo del Monster S4R dotato del motore da 996 cc.

Ottimo il potere frenante dell’impianto Brembo che permetteva ottime staccate che la forcella digeriva senza problemi: le regolazioni standard erano adeguate, né troppo veloce in affondamento né troppo secca a fine corsa, così da non scomporre la ciclistica in fase di inserimento in curva.

Il posteriore, viceversa, era troppo morbido e, oltre a innescare qualche perdita di aderenza, era a sua volta responsabile della scarsa luce a terra. Obbligatorio, quindi, in caso di guida in circuito, riuscire a sfruttare le generose doti del propulsore, piuttosto che andare alla ricerca della massima scorrevolezza a centro curva.

Anche la maneggevolezza era discreta: l’ampio manubrio e il peso relativamente contenuto rendevano l’S4 abbastanza rapido nei cambi di direzione, contribuendo anche a una maggiore “autonomia” temporale da parte del pilota nella guida al limite.

Ducati Monster S4: conclusioni

La vita del Monster S4 fu piuttosto breve, in quanto già a metà 2003 apparve sul mercato la sua naturale evoluzione, ovvero il Monster S4R che indubbiamente affrontava e risolveva molte delle questioni irrisolte dalla prima naked Ducati spinta da un motore quattro valvole.

Soprattutto sull’aspetto della luce a terra, un effettivo limite nella guida sportiva, risolto alla radice appunto con la serie SR, dotata di forcellone monobraccio in tubi e doppio scarico rialzato sul lato destro.

Resta comunque il fatto che l’S4 rappresenta un modello storico nella lunghissima storia della famiglia Monster, meritandosi quindi di fatto un posto di primo piano nella storia del modello: da sottolineare poi il valore aggiunto di disporre di cavalli di razza come quelli messi a disposizione dal motore della 916.

Foto Ducati e archivio Mondo Ducati

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