Uno Scrambler 350 con avviamento elettrico

Uno Scrambler 350 con avviamento elettrico

Lo Scrambler 350 di cui parliamo è stato assemblato da Enea Entati unendo un motore “spagnolo” con un telaio “italiano”.

Ormai non è più un segreto che a Borgo Panigale stiano lavorando per proporre l’erede della Scrambler, il modello che negli anni Sessanta e Settanta ha letteralmente trainato le vendite della Casa bolognese: il progetto, infatti, dovrebbe essere già in fase piuttosto avanzata e la presentazione imminente, anche se a quanto pare non si tratterà di una moto retrò, come fu fatto a suo tempo con le varie versioni della famiglia Sport Classic, ma di un concetto fortemente attualizzato rispetto all’originale.

Una moto con cui godersi il tempo libero all’aria aperta, insomma, potendo contare su una posizione di guida comoda e con la possibilità di percorre anche qualche piccolo tratto di sterrato leggero, come accadeva con la sua progenitrice, ma supportati da una ciclistica e una componentistica oltremodo moderna e al passo con i tempi.

Del resto, quando uscì per la prima volta, nel 1962, lo Scrambler altro non era che la versione “on-off” della gamma Diana (e, successivamente, della gamma zMark 3), di cui manteneva intatta la motorizzazione: furono i famosi fratelli Berliner, importatori Ducati per gli Stati Uniti, a richiederne la produzione, visto che quel genere di moto stava riscuotendo grandissimo successo nel mercato nord americano.

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Il caratteristico manubrio largo garantisce l’impostazione che ha reso celebre questo modello, dedicato all’uso prevalentemente stradale, ma in grado di affrontare anche qualche sterrato leggero.

Così, a Borgo Panigale iniziarono a studiare un mezzo che potesse soddisfare queste esigenze, senza tuttavia immaginare che, ben presto, la Scrambler sarebbe diventata un best seller anche all’interno dei nostri confini.

Ecco che torna di grande attualità parlare di questo modello così longevo (fu prodotto fino al 1976), declinato in numerose versioni e cilindrate: l’esemplare protagonista di questo servizio, di 350 cc, ha infatti la particolarità di essere dotato dell’avviamento elettrico, cosa che non rappresenta solo un plus dal punto di vista tecnico, ma in un certo senso costituisce uno degli aspetti più “chiacchierati” dello Scrambler.

Molti sanno quanto possa essere problematico accendere un monocilindrico con simili caratteristiche, soprattutto se la sua messa a punto non è ottimale: a tal proposito, in passato, sono state studiate varie contromisure, che spaziano dalla costante e scrupolosa verifica della fasatura dell’anticipo a particolari tecniche di messa in moto, per finire, appunto, con la ben più drastica installazione di un motorino d’avviamento!

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Tuttavia, non fu la Ducati a promuovere quest’ultimo tentativo, bensì la Mototrans, ovvero la filiale spagnola della Casa bolognese, visto che la nomea che lo Scrambler si era fatto da questo punto di vista, soprattutto nelle cilindrate più grandi, 350 e 450, rischiava di comprometterne le vendite, come ci conferma anche Enea Entati, specialista nel restauro delle Ducati d’epoca: “In effetti, all’ultima mostra scambio di Reggio Emilia, che si è svolta poco tempo fa, tutti quelli che passavano davanti a questa moto rimanevano a bocca aperta, perché non avevano mai visto l’avviamento elettrico su uno Scrambler!

L’esemplare di cui stiamo parlando è stato assemblato da Entati unendo un motore “spagnolo” con un telaio “italiano”, anche se in realtà al propulsore è stato installato un nuovo gruppo termico, di sezione circolare anziché squadrata, che Enea ha preferito perché esteticamente più elegante rispetto a quello originale della Mototrans.

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In primo piano, lo Scrambler assemblato da Enea Entati utilizzando il motore prodotto dalla spagnola Mototrans e il telaio italiano, sullo sfondo un esemplare “tradizionale”: le presenza del motorino d’avviamento sul lato sinistro è evidente.

Il basamento del monocilindrico, tuttavia, risulta completamente diverso rispetto a quello degli Scrambler che venivano venduti nel nostro Paese, dal momento che, per far posto al sistema di messa in moto, l’albero motore veniva “allungato” di svariati centimetri sul lato sinistro, dove è presente una sorta di massa a scatto che prende il moto direttamente dal motorino d’avviamento (fissato a sua volta sul basamento) tramite una catena e che si “sgancia” da quest’ultimo nel momento in cui il monocilindrico inizia a girare per conto suo.

Tutto ciò è coperto da un apposito carter in alluminio che, per forza di cose, ha un forma assolutamente inedita rispetto a quella dello Scrambler tradizionale, rendendo l’esemplare in questione facilmente riconoscibile: “In realtà, Mototrans aveva sviluppato anche un altro sistema di avviamento elettrico, – spiega Entati – con il motorino posizionato davanti al cilindro, solo che si rivelò meno efficace e affidabile, pertanto ne cessarono subito la produzione.

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Il carburatore è un Dell’Orto VHB29A, anche se la Mototrans montava un Amal. Oltre che su una perfetta fasatura dell’anticipo, la messa in moto dello Scrambler deve contare su un corretto uso dell’alzavalvola. L’impianto di scarico è di tipo corto, come montavano gli Scrambler della 2ª serie. La presenza del motorino di avviamento non esclude quella della pedivella, utile in caso di emergenza.

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Il motore dispone comunque anche della messa in moto a pedivella, sul lato sinistro, da utilizzarsi in caso di emergenza, leggi rottura del sistema di avviamento, o laddove la batteria sia un po’ a corto di energie.

Tra l’altro, per far fronte alle richieste del motorino in termini di corrente, l’impianto elettrico è a 12 Volt e non a 6 Volt come la versione che veniva commercializzata nel nostro Paese; grazie a questo upgrade, che riguarda anche l’amperaggio della batteria stessa e il dimensionamento della bobina, premendo il pulsante di avviamento si è in grado di “vincere” la resistenza opposta dal grosso pistone del monocilindrico Ducati, che più di una volta ha messo in seria difficoltà chi cercava di azionarlo meccanicamente.

Il problema riguardava soprattutto la versione di 450 cc, che quando non era perfettamente a punto poteva rendere la vita piuttosto difficile ai malcapitati proprietari. Ne conosco uno, ad esempio, che teneva la moto in un garage dal soffitto piuttosto basso. Una volta, nel tentativo di accenderla, la pedivella di avviamento gli ha dato un contraccolpo talmente forte che è andato a sbattere con la testa sul soffitto e il giorno dopo ha venduto la moto!

Da tecnico esperto, tuttavia, anche Entati si sente di difendere la reputazione di questo modello, affermando che nella maggior parte dei casi bastano poche fondamentali accortezze per evitare situazioni imbarazzanti: “Oltre alla corretta regolazione dell’anticipo, va rispettata anche una precisa procedura per la messa in moto, sia per quanto riguarda l’azionamento dell’alzavalvola che per il posizionamento della pedivella, altrimenti, dopo un paio di tentativi errati, il motore non parte più!

Un’altra differenza a livello di specifiche tecniche consiste invece nel sistema di alimentazione, che nel caso dello Scrambler prodotto dalla Mototrans prevedeva un carburatore Amal, mentre a Bologna montavano un Dell’Orto VHB con diffusore da 29 mm, come quello impiegato dall’esemplare di Entati.

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Il filtro dell’aria, viceversa, non presenta distinzioni di sorta, così come il resto delle caratteristiche di motore e veicolo; l’unico aspetto che fa eccezione da questo punto di vista è l’impianto di scarico, dotato di un terminale di tipo corto, che a Entati piace sicuramente di più.

Tra l’altro, Enea fa anche un’interessante considerazione in merito alla cilindrata, svelandoci perché la sua scelta è ricaduta proprio sulla versione di 350 cc: “Se uno si accontenta delle prestazioni, va bene anche il 250, mentre il 450 è un po’ più scorbutico e questo, per esempio, lo penalizza leggermente nella guida in città, quando se ne vorrebbe fare un uso più rilassato. Viceversa, se a uno piacciono le sensazioni forti, il 450 rappresenta il massimo, però io credo che il 350 sia il più equilibrato, il compromesso perfetto tra prestazioni e piacere di guida.

Data la natura ibrida di questo esemplare, risulta difficile perfino classificarne esattamente l’età, ma quello che possiamo dire è che il telaio è stato costruito nel 1974 e, dunque, appartiene alla cosiddetta seconda serie della tuttoterreno di Casa Ducati.

Di moto come questa, naturalmente, in Italia ce ne sono ben poche, con una stima totale per la quale bastano le dita di una sola mano, come conferma anche Entati: “Che io sappia, ne dovrebbero avere una Mario Sassi e Rino Caracchi. Per il resto, non mi risulta che ce ne siano altre, o almeno io, durante la mia attività di restauratore, nonché assiduo frequentatore di mostre-scambio, non le ho mai incrociate.

Chissà come sarebbe stato il destino commerciale di questo modello se anche Ducati avesse adottato l’avviamento elettrico sui modelli destinati al mercato italiano?

Quel che è certo è che la nuova versione lo avrà di sicuro!

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