Meccanici e piloti Ducati che hanno lasciato il segno

Meccanici e piloti Ducati che hanno lasciato il segno

In questo articolo parliamo dei meccanici che più si sono distinti nella preparazione di moto Ducati.

Nel raccontare la storia della Ducati si torna spesso a citare i soliti e famosi nomi di coloro che effettivamente scrissero le pagine più importanti di questa incredibile epopea italiana: accanto a loro, però, hanno svolto un ruolo importante personaggi che non possiamo considerare minori, in quanto il loro ruolo nel successo del marchio Ducati è stato, se non altrettanto, almeno molto significativo, ma che non sono altrettanto conosciuti. In questo articolo, quindi, parliamo dei meccanici che più si sono distinti nella preparazione di moto Ducati, quelli del reparto corse che lavoravano agli ordini dell’Ingegner Taglioni.

La maggior parte di questi è ricordata anche nel ruolo di pilota ufficiale, come Franco Farnè, o di pilota volante di sostegno, come Recchia, Scamandri, Alberto Farnè, Malaguti e altri che hanno scritto appunto la storia della Ducati sportiva.

Ma ci furono anche meccanici che non corsero mai, anche se di tanto in tanto provavano le moto che avevano costruito all’interno del reparto.

Uno di questi è stato Renato Armaroli, che, oltre a essere un ottimo meccanico, è stato anche un valente progettista tanto da realizzare una 500 da Gran Premio che conquistò risultati importanti. La moto, che utilizzava cinghie di trasmissione, particolare che Taglioni al tempo odiava per la loro iniziale fragilità, fu perfezionata con la supervisione di Taglioni stesso ed ebbe interessanti sviluppi anche grazie a Read che la portava sui circuiti. Armaroli, come detto, non rivestiva anche il ruolo di collaudatore e non gareggiava nelle competizioni dell’epoca.

Phil-Read--Ducati-500
Il grande Phil Read alla guida della 500 GP: questa moto però utilizzava il motore realizzato da Taglioni che utilizzava le coppie coniche. Ottenne buoni risultati in pista con Ermanno Giuliano e Bruno Spaggiari, tanto che la Casa bolognese tentò appunto il colpo grosso ingaggiando l’asso britannico che però ottenne solo buoni piazzamenti. La proposta di Armaroli, appunto, doveva essere la naturale evoluzione di questo motore, ma per una serie di motivi, non ultima l’incerta situazione economica di Ducati, non scese mai in gara.

RENATO ARMAROLI

E’ nato a Bologna il 24 maggio 1933 e fin da bambino si è appassionato alle moto. Il primo approccio con mezzi da competizione lo ebbe nella concessionaria di Leopoldo Tartarini, che gestiva anche una propria squadra corse Ducati, in cui confluivano alcuni piloti bolognesi.

Il contatto iniziale con Tartarini avviene negli anni 50, prima ancora che Poldino diventasse pilota ufficiale Ducati.

In quegli anni, il padre di Tartarini gestiva delle Moto Guzzi da competizione e il giovane Armaroli fu affascinato dai motori Guzzi che si potevano equiparare ai Ferrari di oggi per fama e interesse presso meccanici e appassionati.

Fu proprio per osservare da vicino i motori Guzzi, e scoprirne i segreti, che Armaroli, ad appena 14 anni, iniziò a frequentare l’officina e la concessionaria Tartarini: si trovò così nel centro più importante della vita motoristica bolognese e da quel momento non ne è più uscito. Dalla officina di Tartarini, Armaroli è passato alla Mondial (ottenendo come liquidazione due tute usate con la scritta Guzzi) e lì è ulteriormente cresciuto come meccanico operando sulla linea commerciale, ma anche sui motori da gara.

Nel 1957, ha messo piede per la prima volta in Ducati, grazie alla conoscenza con l’ingegner Taglioni, dove vi è rimasto fino al 1961; poi, a causa del ridimensionamento dei programmi sportivi del marchio di Borgo Panigale, passò alla Benelli. In Ducati ha contribuito a realizzare e sviluppare i 125 che hanno fatto la storia del Mondiale, condotti da Hailwood, Ferri, Gandossi, Taveri, Chadwik.

In Benelli rimase alcuni anni, poi, dal 1964 al 1969, volò in Spagna insieme ad altri ex ducatisti: alla Mototrans di Barcellona, infatti, realizzò una 285 cc (era una 250 maggiorata) che dominò in Spagna con Spaggiari e Mandolini, mentre nelle 125 diede la moto vincente al futuro campione del mondo Angel Nieto.

Nel 1972, fu sul punto di tornare alla Ducati, chiamato dall’allora direttore generale Spairani, che voleva ridare vita al reparto corse, ma all’ultimo momento non se ne fece nulla perché capì che la situazione era ben diversa da quella in cui erano nati i gioielli di Taglioni.

armaroli
In questa foto del 2009, Renato Armaroli è ripreso insieme al suo motore da 500 cc: le sue caratteristiche più originali rispetto ai bicilindrici Ducati dell’epoca erano la distribuzione a cinghia, le quattro valvole per cilindro, carburatori posizionati all’interno della configurazione a V di 90°. Il motore gli fu commissionato dall’allora amministratore delegato Ducati, Fredmano Spairani.

Lavorò però come collaboratore esterno, realizzando un 500 bicilindrico senza le coppie coniche che diede ottimi risultati al banco, ma non ebbe un futuro in pista; l’ingegner Taglioni infatti non vedeva di buon occhio il fatto che funzionasse utilizzando cinghie di trasmissione.

Taglioni le odiava e le evitava accuratamente perché le riteneva non affidabili: in parte aveva ragione, perché, fino a quando le cinghie di trasmissione non ebbero raggiunto livelli di affidabilità assoluta, molte gare furono perse proprio a causa del loro cedimento.

Il 500 di Armaroli era un due cilindri, 4 valvole che erogava 75 cavalli. Anche se non ebbe gli sviluppi che ci si augurava, contribuì comunque all’affermazione Ducati in Superbike, perché la moto di Lucchinelli la possiamo considerare, in parte, figlia del 500 progettato e realizzato da Armaroli.

Da tecnico esterno, Armaroli collaborò poi con Ducati, operando in una propria officina fondata insieme all’amico fraterno Negrini: da allora, Armaroli ha abbandonato le moto e si è dedicato unicamente ai motori da competizione per auto, ottenendo ottimi risultati nelle gare sport prototipo.

OSCAR FOLESANI

Nato a Monte San Pietro, a pochi chilometri da Bologna, il 6 novembre 1924, già da bambino frequentò le officine che si trovavano vicino a casa in cui si aggiustavano biciclette e moto.

Dopo varie esperienza lavorative, nel 1943 Oscar venne arruolato in Marina, facendo 28 mesi di guerra imbarcato sul cacciatorpediniere “Fortunale”.

Appena congedato, trova lavoro in Ducati, nel reparto utensileria: dopo qualche tempo passa alla Direzione Ricerche Centrali, dove finalmente può dare sfogo alla sua inventiva. E’ alla DRC che ha il primo contatto con le moto da competizione, perché nello stesso periodo Ducati inizia la produzione del Cucciolo.

Lavora al fianco di meccanici appassionati di gare, come Pedrini e Recchia, che fanno le prime elaborazioni, proprio potenziando il Cucciolo. Folesani vive anche l’avventura del Cruiser, scooter 175 cc quattro tempi, avanzatissimo come concezione, ma che non ebbe fortuna.

In quegli anni, arriva alla Ducati l’Ingegner Taglioni, uscito dalla Mondial, e Folesani si trova a lavorare prima al 100 monoalbero camme in testa, poi al 125 desmo che farà storia nel Motomondiale. Quando Ducati, nel 1958, decide di fornire alcune moto da gara a Mike Hailwood, Folesani viene scelto come meccanico di fiducia dell’asso inglese: a lui era affidata la gestione dei mezzi nei tre mesi di gare in Inghilterra e in Europa, che Hailwood disputava tenendo come base tecnica il suo castello di Oxford.

folesani oscar
Sopra: è il 5-6 luglio del 1958. Folesani è in mezzo a Paolo Maranghi e Giuseppe Mandolini, sul gradino più alto del podio della 24 Ore del Montjuich, vinta con la Ducati 125. A destra, una foto storica del bicilindrico Ducati a 4 valvole con coppie coniche che sviluppava 72 Cv contro i 75 della versione con le cinghie.

bicilindrico 4 valvole

Ha partecipato anche a tutte e cinque le edizioni del Motogiro: nella prima gareggiò con un Cucciolo 73 cc, nella seconda con un 98, nella terza con un 100, nella quarta e quinta con un 125; si trattava sempre di moto sperimentali che gli venivano affidate dall’azienda.

Folesani, a Oxford e anche sui vari circuiti, ha quasi sempre lavorato da solo, in qualche rara occasione affiancato da Recchia e da Armaroli, come in occasione del Tourist Trophy in cui Hailwood gareggiava in tutte le classi: nelle 125, 250 e 350 su Ducati, nelle 500 con la Norton.

Il primo anno corse con la 125 monocilindrica per poi passare alla bicilindrica desmo che fu poi venduta anche ad altri piloti: la Ducati, su sollecitazione di Sir Stanley Hailwood, costruì appositamente per il figlio Mike una 250 cc bicilindrica desmodromica che non ebbe rivali e fece piazza pulita di titoli in Gran Bretagna.

L’ulteriore passo in avanti fu la realizzazione di una 350 cc, ottenuta accoppiando due 175, che, dopo un primo utilizzo da parte di Hailwood, fu ceduta a Ken Kavanagh, ottimo pilota australiano che grazie a essa dominò il campionato di casa.

Nel 1959, in una parentesi dell’impegno con Hailwood, Folesani fu spedito anche negli Stati Uniti; era stato esplicitamente richiesto dall’importatore Berliner perché conosceva bene l’inglese.

Folesani chiuse la parentesi Hailwood (protrattasi dal 1958 al 1961), perché Mike passò alla MV con la quale conquistò il suo primo titolo mondiale.

Tornato a Borgo Panigale, ci rimase però pochi mesi, perché fu dirottato al “programma Triumph” che prevedeva l’importazione di tali vetture in Italia: questo tipo di lavoro non gli piaceva e così decise di trasferirsi alla ATS, scuderia appena nata di F1, che aveva sede a Bologna, ma che si ritirò presto per mancanza di fondi e dissidi interni.

Dopo tanti anni di lavoro, e collaborazioni anche con la Malanca, raggiunti gli anni necessari, Folesani preferì andare in pensione per dedicarsi interamente alla famiglia, che fino a quel momento aveva trascurato.

La passione per la meccanica però non l’ha mai abbandonato e finché la salute gliel’ha consentito si è divertito a costruire e modificare moto e auto nell’officina di un amico a Sasso Marconi. Folesani è scomparso a fine 2016.

La moto di Mike Hailwood

250-GP

Un 250 bicilindrico parallelo fu realizzato appositamente da Ducati per Mike Hailwood e acquistato da Stan Hailwood agli inizi degli anni ‘60. Bisogna specificare che all’epoca la Ducati era un’azienda statale ed era stata presa la decisione di non partecipare direttamente alle competizioni. Così, quando venne Stan Hailwood per acquistare una moto da corsa per suo figlio, gli fu risposto che non era possibile accontentarlo, perché non esisteva un reparto corse.

Allora Stan pagò di tasca propria la progettazione, la costruzione della moto, il team da gara, il camion e addirittura pretese due meccanici della Ducati, uno dei quali era Oscar Folesani, meccanico storico della casa bolognese. La 250 bicilindrica fu utilizzata da Hailwood qualche anno e poi venduta a John Surtees.

La moto costruita per Hailwood dispone di un motore bicilindrico ad alberi a camme in testa azionati da una cascata di ingranaggi a dentatura dritta, con misure di alesaggio/corsa 55×52 mm.

La frizione è a dischi multipli a bagno d’olio e il cambio è a sei rapporti con comando a bilanciere sul lato destro. Questo motore fornisce una potenza all’albero di ben 43,3 Cv (ovvero una potenza specifica di 173,2 Cv/l) che corrispondono a 37 Cv alla ruota.

Il regime massimo di rotazione è di 11.000 giri e la coppia massima si raggiunge a 10.800 giri. Il telaio è a doppia culla in tubi il cui trave superiore si divarica in corrispondenza della sella.

All’avantreno troviamo una forcella Norton e gli ammortizzatori posteriori sono Girling. I freni a tamburo sono Oldani a doppia camma nelle misure: 220 mm quello anteriore e 200 quello posteriore. I cerchi, come nell’uso dell’epoca, sono da 18 pollici (sempre della Borrani).

Questa macchina – molto potente per quei tempi – era capace di raggiungere i 215 Km/h grazie anche al peso contenuto di soli 130 Kg in ordine di marcia.

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SILVIO MALAGUTI

Nato a Crevalcore, in provincia di Bologna, il 26 giugno 1926, è morto nel marzo 2007 a Granarolo, paese dell’hinterland bolognese.

E’ stato tra i fedelissimi della Ducati, avendo trascorso l’intera vita lavorativa tra lo stabilimento di Borgo Panigale e tante altre parti del mondo come tecnico rappresentante del marchio nelle maggiori fiere mondiali, terminando la carriera all’estero come responsabile della sede del Portogallo.

Alla Ducati arrivò da ragazzo, nel 1942, come fattorino, con paga oraria di 0,75 lire l’ora! L’animo irrequieto di Malaguti si dimostrò subito e lo portò a ruotare in molti settori della Ducati; da fattorino, passò nel giro di pochi mesi prima in fonderia poi al settore torni; alla fine della guerra, dopo aver contribuito alla ricostruzione degli stabilimenti, fu destinato alla sala prove del Cucciolo la cui produzione era appena stata avviata.

Insieme a Mario Recchia è stato il primo a provare e gareggiare col Cucciolo nelle competizioni di grande rilievo nel ruolo di meccanico volante: il suo primo successo lo ha colto a Casalecchio di Reno, nel 1950, con un Ducati 60.

ducati_60
Un manifesto pubblicitario dell’epoca che pubblicizza la Ducati 60, motoleggera con cui Silvio Malaguti ha corso agli esordi della sua carriera. A dx è ritratto Franco Farné nel 1954, mentre si appresta a partire per il Giro della Toscana in sella alla Ducati 98.

Nel reparto esperienze è rimasto fino al 1958, realizzando e portando in gara, dopo il Cucciolo, il 75, il 98, il 100 e il 125 e in Portogallo anche il Formula 3 oltre ad aver fatto test comparativi col 250 e 350.

Nel 1956 ha partecipato al Motogiro nella classe 125 sport, chiudendo al 12° posto e nel 1957 è stato sesto di classe 100 su un Formula Due.

Dal 1958 al 1962 è stato responsabile tecnico della filiale del Portogallo con sede a Lisbona ed ha contribuito anche all’apertura della Mototrans, importatrice e assemblatrice in Spagna dei prodotti Ducati, che aveva sede a Barcellona.

Rientrato a Bologna nel 1962, ha viaggiato per il mondo portando i prodotti Ducati in tutte le fiere, lavorando anche nel reparto dei motori marini.

Nel 1982 è andato in pensione, ma ha continuato a interessarsi di moto realizzando anche modellini in scala con cui ha ulteriormente affinato le sue esperienze meccaniche.

La sua attività agonistica è ricca di risultati di rilievo, tra cui spicca la vittoria nella 24 ore del Montjuich del 1956, il suo anno d’oro, che lo ha visto quinto di classe anche alla Milano-Taranto.

MARIO RECCHIA

Era il re del Cucciolo Ducati, con cui ha vinto molte gare, dal 1946 in poi, in sella al 48 cc. Dipendente Ducati, ha lavorato a Borgo Panigale per quasi 40 anni, all’inizio nel settore corse insieme anche all’ingegner Taglioni, poi come capo reparto.

Ha corso anche il Motogiro nel ruolo di meccanico volante. I risultati più validi sulle lunghe distanze li ha colti sul Cucciolo nelle varie cilindrate: 48, 73 e anche col 98 cc.

Ma il successo più importante di Recchia è stato il debutto agonistico, per lui e il Cucciolo, il 1 novembre 1946, quando conquistò la maglia di campione emiliano: è stato questo il primo titolo vinto dalla Ducati, a cui Recchia poi ne ha aggiunti molti altri, cimentandosi anche nella regolarità, senza però ottenere risultati di rilievo.

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Una foto senz’altro storica, in quanto ritrae Mario Recchia con la maglia di campione emiliano, appena conquistata in sella al Cucciolo: si tratta del primo titolo ottenuto da Ducati nella sua storia: siamo nel 1946.

Grande meccanico, è stato insieme a Caracchi e Nepoti uno dei pilastri della NCR, scuderia che ha curato i motori Ducati in Superbike (prima dell’ingresso ufficiale della squadra corse Ducati), passando in seguito ad assistere i privati.

Ha avuto la soddisfazione di girare tutto il mondo lavorando nel box di campioni mitici come Hailwood, Spaggiari, Gandossi a cui ha fornito propulsori tagliati su misura per le rispettive esigenze.

Quando mise piede per la prima volta in Ducati, Mario Recchia non poteva certo immaginare che tutta la sua vita professionale, ma non solo quella, sarebbe stata legata a doppio filo alla casa di Borgo Panigale e alle sue moto.

Negli oltre 40 anni in cui ha avuto a che fare con Ducati, da operaio fino a responsabile di linee produttive, infine come tecnico esterno con stretti contatti con la casa madre, Recchia ha contribuito a scrivere la storia della Ducati.

Mario Recchia è morto a Bologna l’8 luglio 2006.

ETTORE SCAMANDRI

Meccanico molto valente, ma soprattutto grande collaudatore e pilota, Ettore Scamandri non si è limitato a costruire materialmente le moto da competizione nel reparto corse di Borgo Panigale, ma le ha anche portate in gara ottenendo ottimi risultati: se non avesse avuto il compito di assistere i piloti di punta avrebbe di sicuro centrato piazzamenti ancora più qualificanti.

Era noto nell’ambiente motociclistico bolognese col soprannome di “la nonna” o “la vecchia”, per l’aspetto dimesso e una tranquillità a prova di bomba.

Era molto esperto e bravo nelle gare di durata, grazie alla esperienza fatta in Ducati come collaudatore: vinse la Coppa d’Oro di Imola nel 1959 nella classe 125, è stato primo nel 1957 nella Trento-Bondone con una 125, sesto nella classifica finale delle 100 cc al Motogiro del 1955, decimo assoluto e quinto di classe nelle 100 cc al Motogiro del 1956.

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Questa è la squadra Ducati che prese parte al terzo Giro d’Italia: da sinistra, Landi, Gandossi, Scamandri, Recchia e Farné. Molto importante il ruolo che la Ducati svolse nelle gare iberiche: a fianco la locandina pubblicitaria dei risultati ottenuti dalla marca italiana alla 24 Ore di Barcellona.

Nel 1962 è giunto terzo di classe con una 125 nella Coppa d’Oro Shell a Imola e a fine stagione ha concluso al secondo posto il campionato italiano seniores classe 125.

E’ stato tra i protagonisti anche nella Mototemporada Romagnola sui circuiti di Cesenatico, Milano Marittima, Riccione e Rimini negli anni 60.

Come detto, nelle grandi competizioni di fondo ha perso interessanti possibilità di affermazione proprio perché doveva fare il pronto intervento a favore di alcuni colleghi della squadra ufficiale Ducati finiti in panne. Insieme a Franco Farnè, nel settembre 1957, ha fatto da scorta iniziale (fino a Trieste) a Tartarini e Monetti che affrontavano il Giro del Mondo sulla Ducati 175.

SBK a Jerez: avanti tutta!

A Jerez de la Frontera, seconda tappa del campionato SBK, si ri-accende lo spettacolo con Ducati protagonista. Doppietta di Redding e secondo posto in gara 2 per Davies.