Il mito dei velocissimi meccanici Ducati

Il mito dei velocissimi meccanici Ducati

La storia di un gruppo di meccanici che hanno saputo sacrificare le proprie aspirazioni personali, sul piano agonistico, al bene del team.

Arriva la volante

Questi piloti-meccanici meritano un ricordo particolare come categoria, perché hanno saputo sacrificare le proprie aspirazioni personali, sul piano agonistico, al bene del team. Hanno concretizzato quello che abitualmente viene definito “fare squadra” nel senso pieno della parola.

Recchia, Scamandri, Malaguti, Accorsi, giusto per citarne solo alcuni, hanno corso per anni il Motogiro pronti a rispondere a ogni chiamata di soccorso. La loro attrezzatura era molto spartana e si limitava ad alcuni attrezzi e pezzi di ricambio. Alcuni portavano anche un piccolo zaino sulle spalle, in cui era conservato materiale di pronto intervento per correre in soccorso dei piloti della squadra ufficiale che si trovavano in panne.

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Una rarissima immagine di una delle prime gare a cui partecipavano i micromotori.
Fra loro, assoluto protagonista era il Cucciolo, che nel 1950, grazie a Ugo Tamarozzi, conquisto ben 27 record mondiali. Nella foto è raffigurato un altro grande interprete, oltre a Silvio Malaguti, delle potenzialità del Cucciolo, ovvero Glauco Zitelli.

Rinunciavano così ad ogni chance personale; spesso infatti è accaduto che perdessero tantissime posizioni di classifica (in alcuni casi uscivano addirittura dai primissimi posti), per assicurare il successo del marchio e del compagno più ricco di doti velocistiche, schierato nella squadra ufficiale.

La cosa che più colpisce è che questi piloti-meccanici volanti avevano indubbie doti agonistiche, e quasi sempre erano superiori nelle prestazioni al livello medio dei partecipanti delle gare in cui prendevano il via: avrebbero quindi potuto aspirare a posizioni di rilievo se avessero avuto piena libertà nel gareggiare.

Si trovavano invece costretti a raggiungere i centri di assistenza o i colleghi fermi a bordo strada per dare una mano, per rimediare i danni di cadute o i guai meccanici occorsi alle moto ufficiali.

Spesso, poi, il loro intervento non era negato neppure ad altri concorrenti, anche di marche rivali o privati, che erano finiti a terra o si trovavano fermi sul percorso.

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Meccanici sì, ma anche grandi piloti. E’ il 6 luglio 1958 e Paolo Maranghi, Oscar Folesani e Giuseppe Mandolini salgono sul gradino più alto del podio della 24 Ore del Montjiuch in sella alla Ducati 125.

Particolare non trascurabile è che, pur operando in condizioni impossibili, quasi sempre riuscivano a fare un miracolo consentendo così al collega pilota la prosecuzione della gara.

La cosa strabiliante è che, a fine Motogiro o al traguardo della Milano-Taranto (le due classiche in cui erano impiegati), più di una volta i meccanici volanti hanno occupato posizioni di rilievo, accusando distacchi abbastanza contenuti dai primi. Viene spontaneo quindi chiedersi quali imprese avrebbero realizzato se avessero potuto gareggiare senza obblighi di intervento rapido, senza zaino e quindi peso aggiuntivo e con la tranquillità e la determinazione di giocarsi fino in fondo le proprie carte.

Recchia dato per disperso

Solo in rare occasioni, infatti, i meccanici volanti sono arrivati staccatissimi. Il caso più singolare e divertente riguarda Mario Recchia: in un Motogiro venne dato per disperso perché non giunse al traguardo dopo parecchie ore dall’arrivo della “vettura scopa” che di fatto chiudeva la manifestazione.

Si seppe poi che Recchia, stremato per la gara, per le condizioni atmosferiche avverse e i numerosi interventi meccanici effettuati, aveva deciso di riposarsi un poco e di mangiare qualcosa in un casolare di campagna che fiancheggiava il tracciato di gara.

Era ormai staccatissimo e non poteva sperare in una classifica accettabile. Essendo quasi buio si sdraiò in un fienile dove si addormentò tanto profondamente da svegliarsi il giorno dopo. Non vedendolo arrivare era stato dato ovviamente l’allarme generale in tutta Italia per la sua scomparsa.

A volte infatti i concorrenti finivano nelle scarpate che fiancheggiavano la strada e non era facile recuperarli, specie se si erano procurati fratture.

Recchia riapparve la mattina seguente comunicando la sua posizione e rassicurando tutti sul suo stato di salute.

A 102 KM/H col Cucciolo

Silvio Malaguti è stato un altro meccanico volante di grande spessore agonistico. Il suo palmares è ricco di risultati di rilievo, tra cui spicca la vittoria nella 24 ore del Montjuich del 1956, il suo anno d’oro, che lo ha visto quinto di classe anche alla Milano-Taranto.

Ha partecipato a tutte e cinque le edizioni del Motogiro: nella prima gareggiò con un Cucciolo 73 cc, nella seconda con un 98, nella terza con un 100, nella quarta e quinta con un 125; nelle ultime edizioni utilizzava moto sperimentali che gli venivano affidate dall’Ingegner Taglioni. Ha ottenuto risultati di rilievo, anche se, come meccanico volante, doveva spesso sacrificare la sua notevole validità agonistica alle esigenze dei piloti ufficiali.

La sua prestazione più eclatante, come pilota e contemporaneamente meccanico, l’ha realizzata nel 1953, nella prima tappa, la Bologna-Roma, del 1° Motogiro, quando in sella ad un Cucciolo di 73 cc risultò erroneamente primo nella sottoclasse fino a 50 cc alla media di oltre 70 km/h: la notizia fece sensazione perché, pensando a un Cucciolo si credeva fosse un 48 cc!

Il Cucciolo fu sollecitato al massimo anche nel corso della seconda tappa, ma sulla fettuccia di Terracina, col gas spalancato a oltre 102 Km/h, esplose letteralmente il motore.

Il Cucciolo fu sollecitato al massimo…sulla fettuccia di Terracina, col gas spalancato a oltre 102 km/h, esplose letteralmente il motore

In soccorso di Malaguti arrivò Mazza, altro meccanico volante Ducati, e sul posto furono sostituiti testa, cilindro e pistone che per la fretta fu però montato alla rovescia, così dopo alcune centinaia di metri il motore finì di nuovo KO e il ritiro divenne realtà inevitabile. Malaguti si è cimentato anche in gare di regolarità mettendosi in evidenza allo Scudo del Sud, alla Tre Valli Varesine e in Inghilterra.

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Franco Farné, qui in sella alla Marianna 125, con il suo classico casco a strisce, è stato forse l’interprete più emblematico di questa doppia natura dei piloti Ducati dell’epoca: validissimo e vincente pilota, era anche un tecnico di primo livello.

Riparazioni volanti

La dotazione classica di un pilota volante consisteva in una serie di attrezzi e pezzi di ricambio fissati alla forcella della moto con nastro adesivo o fascette.

Con questi pezzi, però, si facevano solo mini interventi, perché quelli più corposi li si effettuava nei centri in cui era stato approntato un “cassettone”, che era una punto di riferimento per tutti.

Era situato ai bordi del tracciato in una tenda, su cui campeggiava la scritta Ducati per identificarla, in cui si trovavano ricambi, forcelle e pezzi che solitamente finivano danneggiati nelle cadute. Raramente infatti i motori, che giravano a lungo al banco prova, davano segni di cedimento.

In ogni tappa del Motogiro erano dislocati dodici cassettoni, che venivano sistemati da una squadra partita due ore prima del via del primo concorrente.

I cassettoni venivano poi smontati e recuperati da una vettura magazzino.

Caschi con righe colorate

E’ solo una curiosità, ma a molti appassionati forse sarà venuto spontaneo chiedersi perché, nelle competizioni più importanti, la squadra ufficiale Ducati abbia gareggiato con due tipi di caschi e con guanti bianchi.

Il casco usato con maggior frequenza era a righe biancorosse, mentre un secondo, impiegato più di rado, era a righe argento-blu.

La differenza era dettata dalla cilindrata del mezzo su cui il pilota gareggiava: nei primi anni si usava quello biancorosso fino a 100 cc, si passava a quello argento-blu oltre i 100 cc.

Quando Taglioni lanciò le Marianne, molti piloti continuarono però a gareggiare sulle 125 coi caschi a righe rosse a cui si erano affezionati o per scaramanzia perché proprio con quei caschi avevano ottenuto grandi risultati. I piloti privati della 175 avevano invece il casco a righe oro e rosso.

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Il grande Leopoldo Tartarini, poi fondatore della Italjet, qui ripreso alla partenza di una gara con i suoi immancabili guanti bianchi!

Non sono mancati al Motogiro anche piloti Ducati con caschi a righe biancoverdi o con altre colorazioni. Era data infatti libertà di scelta alle scuderie private Ducati, che venivano create appositamente per tentare la scalata al vertice delle varie classifiche.

Un caso tipico era la scuderia di Leopoldo Tartarini (aveva sede nella sua concessionaria Ducati in Strada Maggiore a Bologna) che funzionava da punto di aggregazione per appassionati desiderosi di misurarsi anche in prove di rilevanza mondiale. In alcune prove e nel Motogiro, la scuderia Tartarini usava caschi a righe biancoverdi. Tartarini invece, facendo parte della squadra ufficiale, usava quello a righe biancorosse. Franco Farnè, dopo aver conquistato il titolo italiano, usava il tradizionale casco a righe biancorosse arricchito però da una larga fascia tricolore che partiva anteriormente e si restringeva verso la nuca per dare il senso della velocità.

Ci furono altri campioni italiani che apponevano una fascia tricolore di piccole dimensioni alla base del casco. Si facevano queste differenziazioni cromatiche per riconoscere immediatamente all’assistenza, o anche solo in gara, i piloti che transitavano.

Come già detto, non sono comunque mancati piloti che hanno conservato l’iniziale casco a righe biancorosse anche salendo di cilindrata, del resto non si trattava di regole ferree.

Era invece standard, come posizione e dimensioni, la D (significava ovviamente Ducati) maiuscola gialla che figurava frontalmente sul casco. Ad alcuni era concesso anche di sostituire o affiancare la D con propri loghi: c’era chi preferiva una stella (spesso sistemata però nella parte posteriore del casco), chi un animale portafortuna, chi adesivi personalizzati, nessuno però poteva mettere in mostra, con grande evidenza, sponsor personali.

Interessante anche il fatto che i piloti ufficiali Ducati usassero guanti bianchi; lo faceva in particolare Tartarini. Anche questa idea era venuta nella speranza di identificare meglio, di notte e nelle ore senza luce e con scarsa visibilità, i piloti Ducati in avvicinamento o in transito.

Spesso però accadeva che i guanti in poche decine di chilometri si sporcassero e in pratica diventavano neri a causa del fango, della polvere o di qualche intervento meccanico volante che toglieva loro il candore originale!

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