La poco conosciuta storia  dei record Ducati

La poco conosciuta storia dei record Ducati

La cronistoria dei tre tentativi più importanti, coronati da grande successo nel dopoguerra.

La Ducati, prima e dopo l’avvento di Taglioni, ha sempre avuto un occhio di riguardo per le imprese che potevano reclamizzare al meglio i suoi prodotti. Col Cucciolo ha stabilito una lunga serie di record mondiali a Buenos Aires e a Monza, che hanno regalato una diffusione capillare (con ottimi ritorni economici) al piccolo motore Ducati su tutti i continenti. Con il 100 cc, nato come evoluzione della Marianna, ha strabiliato il mondo ottenendo crono impensabili anche per mezzi di cilindrate molto superiore. Questa è la cronistoria dei tre tentativi più importanti, coronati da grande successo nel dopoguerra.

Record di durata sulle 36 ore col Cucciolo a Buenos Aires nel 1948

Nel 1948, il Cucciolo stabilì a Buenos Aires il record mondiale di durata sulla pista F.C. Oeste per motori della sua cilindrata, ma riuscì a battere anche propulsori più potenti. Laterza, Allegretti e Lanza furono i tre piloti a cui il Cucciolo fu affidato: riuscirono a sbaragliare tutta la concorrenza (erano in pista anche altri concorrenti con vari mezzi di altre marche), senza subire alcun avaria e consumando in 36 ore a tutto regime appena 28 litri di benzina. L’importatore Franchini fu entusiasta e rivelò che le ordinazioni in Argentina, a seguito del successo, ebbero un’impennata anche perché durante la competizione il pubblico fu letteralmente conquistato dalla facilità di guida dei piccoli bolidi bolognesi e dalla loro affidabilità anche sotto sforzi estremi.

I tifosi non abbandonarono le tribune fino alla fine della competizione incitando a gran voce i piloti e il Cucciolo che divenne subito la moto di piccola cilindrata preferita dagli argentini.

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Ugo Tamarozzi è qui ripreso con il Cucciolo da record: si noti come una lastra di lamiera piegata a V costituisca una sorta di primitivo cupolino, mentre la ruota posteriore sia di tipo lenticolare. Il  serbatoio era particolarmente capiente, per diminuire la frequenza dei rifornimenti: su questo, una sorta di cuscino ripiegato, su cui il pilota appoggiava il petto per ridurre al minimo l’impatto aerodinamico.

Tre tentativi di record a Monza nel 1950 col Cucciolo 50cc

Mario Recchia ha il grande merito di aver portato, nel 1946, il Cucciolo alla conquista della prima vittoria ufficiale sul tracciato ricavato all’interno dei Giardini Margherita di Bologna, a cui poi ne aggiunse molte altre su tutti i circuiti d’Italia, ma Ugo Tamarozzi è stato il primo a dare una rilevanza mondiale alla creatura di Borgo Panigale con la conquista di decine di record mondiali.

L’occasione per tentare l’avventura dei record venne a seguito della decisione della F.I.M. che istituì, nell’immediato dopoguerra, la classe 1 (per mezzi dotati di motore fino a 50 cc) a seguito del grandissimo sviluppo che avevano avuto questi propulsori di piccolissima cilindrata. Tamarozzi colse l’occasione al volo, consapevole di poter disporre di un mezzo come il Cucciolo, quasi perfetto per questo tipo di record, che gli avrebbe assicurato il pieno successo dell’impresa. Nel 1950 si fecero tre sessioni sulla pista dell’autodromo di Monza: già nella prima, la mattina di domenica 5 marzo (con pista noleggiata a proprie spese), riuscì a stabilire numerosi record mondiali e alla fine della serie di prove ne conquistò più di 40 (tra quelli fissati nella prima giornata e poi di nuovo battuti in seguito) in sella a un Cucciolo appositamente migliorato con interventi sostanziali, spinto da un carburante da lui stesso realizzato e composto da una miscela di benzina e attivanti di varia estrazione.

A sinistra, il Cucciolo Nardi, ovvero come il piccolo propulsore venisse adottato per la realizzazione di vere e proprio moto da gara. Nella foto piccola a destra, Glauco Zitelli e Ugo Tamarozzi a Monza nel 1950 dopo aver conseguito i record in sella al Cucciolo. Notare come il Cucciolo si sia notevolmente evoluto rispetto alla prima serie di record: ha ora le sembianze di una vera moto, con tanto di parabrezza!

Il Cucciolo di Tamarozzi era il monocilindrico quattro tempi Ducati, opportunamente potenziato e rivisto in molti particolari meccanici, sia nel motore che nel telaio, dotato anche di batteria supplementare per l’accensione e con ruota posteriore lenticolare per una maggior aerodinamicità: il telaio era stato appositamente studiato per consentire al pilota una posizione raccolta e sdraiata.

Tamarozzi, che nel 1950 aveva già 46 anni, si può considerare forse il massimo specialista del Cucciolo e questa sua abilità l’aveva affinata in moltissimi anni di gare nella regolarità dove vantava appunto una costanza e una conoscenza assoluta del mezzo.

La classe 1, cilindrata fino a 50 cc, in cui gareggiava il Cucciolo era appena stata creata alla fine della seconda guerra mondiale dopo l’affermazione commerciale di questo tipo di motociclo; fino a quel momento non esistevano di fatto record. Questo non toglie assolutamente nulla alla validità dell’idea e dell’impresa agonistica di Tamarozzi, perché le prestazioni fornite da lui e dal suo Cucciolo furono di assoluto rilievo.

Non si tratta, quindi, di record costruiti in casa, tanto per fare notizia.

Di rilievo il fatto che inizialmente si pensava di ottenere il record di durata delle sei ore, ma strada facendo, visto anche lo spunto velocistico del Cucciolo, si riuscì a stabilire anche validissimi record intermedi dai 10 chilometri in avanti: da prova di durata si trasformò in sostanza in prova di velocità e durata.

Da rilevare che la partenza fu abbastanza frenata, con una media attestata sui 62 Km/h, ma si passò presto ai 66 Km/h fissati sulle cento miglia. Tamarozzi girò per ben 6 ore con un solo rifornimento a medie elevate consumando appena un litro per coprire 55 chilometri: questo dato mette in luce uno dei pregi maggiori del Cucciolo, cioè il suo consumo irrisorio anche sotto sforzo prolungato e la sua manutenzione ridotta all’osso.

Per regalarsi questa grande soddisfazione sportiva Tamarozzi fu costretto a sborsare circa 100mila lire per il noleggio della pista, l’acquisto e messa a punto del Cucciolo dei record (il motore era di serie, solo leggermente elaborato) e le spese necessarie per spostamenti e cronometraggio.

Dopo il successo della prova la Federazione Motociclistica Italiana decise di ricompensare Tamarozzi con una cifra che coprì interamente le spese e lo premiò con un riconoscimento ufficiale.

L’inizio folgorante convinse Tamarozzi a riprovare e a prolungare la distanza da coprire col Cucciolo, cosa che implicava anche la partecipazione di più piloti visto che un solo centauro non poteva reggere tempi così lunghi di gara.

A Tamarozzi si affiancò così Glauco Zitelli, che si può considerare tra i padri agonistici del Cucciolo, pure lui specialista delle piccole cilindrate. Anche questo secondo tentativo andò oltre le aspettative perché, nonostante un nubifragio che per due ore creò seri problemi di stabilità del mezzo e di resistenza dei centauri, furono addirittura polverizzati tutti i record già ottenuti da Tamarozzi. La media salì a 67,156 Km/h sulle dodici ore, più alta di quella ottenuta sulle sei ore.

Il terzo, e forse più spettacolare tentativo, fu realizzato il 13 novembre 1950 quando si arrivò a correre senza interruzioni per ben 48 ore. In questa occasione, anche case costruttrici di parti tecniche come Pirelli per i pneumatici, Magneti Marelli per l’impianto elettrico, Dell’Orto per i carburatori e Regina per le catene s’impegnarono in prima persona.

Era la dimostrazione che si iniziava a percepire l’importanza delle competizioni e della pubblicità da queste indotta nella massa dei potenziali acquirenti.

Oltre a Tamarozzi e Zitelli, scesero in pista, alternandosi con grande regolarità, anche Ettore Miani e Alberto Farnè, piloti ufficiali Ducati nelle prove di Gran Fondo e quindi avvezzi a stare in sella per lunghi tratti, anche di notte, Aldo Caroli, il giovanissimo Aldo Pennati di soli 18 anni e Salvatore Sozzani.

Anche questa impresa riuscì alla perfezione e si può ben dire che il Cucciolo nel 1950 globalmente riuscì a stabilire oltre 60 record del mondo, tra crono assoluti e battuti. Nella terza prova di Monza, il Cucciolo coprì ben 486 giri nonostante le notti di novembre con umidità altissima e nebbia fitta mettessero a dura prova i piloti che dovevano alternarsi con grande frequenza per restare al massimo dell’efficienza. I punti qualificanti furono la velocità di punta che sfiorò i 76 Km/h e la distanza coperta in 24 ore che superò anche quella stabilita in precedenza dal pilota francese Rapeau su una Prester di 100 cc. Ai record di Monza vanno ovviamente uniti quelli stabiliti a Buenos Aires due anni prima, così da far lievitare in maniera consistente il bottino completo del Cucciolo, che si attesta quindi a oltre 80 record mondiali.

100 cc carenato – Monza 1956

Mario Carini e Sante Ciceri sono entrati nella storia Ducati per aver stabilito 46 primati mondiali validi per le classi 100, 125, 175, e in parte 250 cc, sul circuito di Monza, il 30 novembre 1956. I punti qualificanti della seduta di record furono i 1000 km alla media di 154,550 Km/h e la media sul giro a 171,910 Km/h. Il mezzo impiegato era un Marianna 98 cc monoalbero, con carenatura a siluro frutto di approfonditi studi aerodinamici, che montava un motore Gran Sport con carburatore maggiorato Dell’Orto SS con diffusore di 25 mm, impiegato abitualmente in gare di velocità e nelle prove di gran fondo su strada, capace di erogare 12 cavalli a 10.000 giri. La carenatura era un vero gioiello essendo realizzata in lega leggera di alluminio, battuta interamente a mano, ed era fissata a un telaio tubolare grazie a numerosi silent block appositamente impiegati per ridurre al minimo le vibrazioni durante le massime sollecitazioni.

Il Siluro in un momento di pausa al box. Riconosciamo Franco Farné, il primo a sinistra, e il pilota Sante Ciceri.

La meccanica e il motore ricalcavano in gran parte quelli della 100 GS che aveva dominato nelle corse su strada. La carenatura era a sogliola in lega di alluminio con telo elastico aggiuntivo per impedire infiltrazioni d’acqua in caso di pioggia e migliorare la penetrazione nell’aria. Le feritoie per l’uscita delle gambe dei piloti furono in seguito saldate, così in caso di guasto era indispensabile trovare un muretto a cui appoggiarsi o un prato con molta erba per adagiarsi senza danni, cosa che fece Spaggiari durante le prove a Monza: il pilota doveva infatti calarsi all’interno della carenatura, senza poterne più uscirne.

Situazione molto pericolosa in caso di caduta e fastidiosa anche quando ci si doveva arrestare ai box: i meccanici dovevano intervenire con la massima rapidità per sorreggere la moto, altrimenti era impossibile evitare che si sdraiasse a terra!

Una rara immagine, il 100 cc sfreccia sul rettilineo della pista lombarda.

La grande importanza dell’avvenimento è testimoniata dal fatto che alla prova presenziarono anche l’ing. Fabio Taglioni, che aveva coordinato il progetto tecnico, e il dottor Calcagnile, vice del direttore generale Montano.

Il risultato poteva essere ancora più sorprendente se avesse partecipato al tentativo record anche Spaggiari, pilota ufficiale Ducati, a cui inizialmente Taglioni aveva affidato l’impresa, ma i problemi economici che assillavano continuamente la Ducati costrinsero la direzione agonistica a privilegiare Ciceri e Carini che, pur essendo meno validi di Spaggiari in pista, assicuravano però una quasi totale copertura delle spese grazie a sponsor personali.

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