Una vera street racer

Una vera street racer

Chi riesce a scoprire da quale moto Paolo sia partito per realizzare questa special che sembra, a tutti gli effetti, una Streetfighter a due valvole?

Facciamo una scommessa? Chi riesce a scoprire da quale moto Paolo, titolare della Dierre, piccola ma agguerrita officina romana, sia partito per realizzare questa special che sembra, a tutti gli effetti, una Streetfighter a due valvole? Impresa difficile, sicuro, perché la base di partenza è niente meno che la Multistrada 1000 DS, la prima della famiglia, precisamente una del 2003.

Basta questa informazione per dedurre l’enorme lavoro richiesto per realizzare questa special, visto che della moto di partenza è rimasto praticamente solo il telaio (anzi, una parte!) e il motore.

Un intenso lavoro di elaborazione, quindi, che ha visto Paolo utilizzare sia parti autocostruite che particolari prelevati da altri modelli. Del resto, l’obiettivo era di quelli ambiziosi: trasformare una moto di impostazione turistica (anche se dotata di anima sportiva) in una vera street racer, sportiva e aggressiva.

Le linee della moto sono quasi futuristiche, anche grazie al contributo del faro full Led Ktm proveniente da un Superduke 1290 R e alla particolare verniciatura.

Per raggiungere tale scopo, il primo passo è stato quello di smontare completamente la moto originale, del resto assai malridotta, per iniziare subito a lavorare sul suo scheletro, ovvero il telaio: la parte posteriore è stata quindi tagliata e sostituita con un nuovo telaietto, sempre realizzato in tubi per non perdere il feeling con l’originale e tradizionale traliccio Ducati, ma con un’impostazione diversa: ora infatti è più stretto, allungato e soprattutto rialzato, proprio per dare al pilota il senso di sportività, con un’impostazione di guida decisamente caricata sull’avantreno; per raggiungere questo scopo, anche le pedane sono state un po’ arretrate.

Del resto, la parte anteriore della moto, come potete ammirare dalle foto, è stata completamente stravolta grazie a una forcella Showa (gentile dono di un’Aprilia Rsv 1000 del 2004) dotata di regolazioni complete e con piedini ad attacco radiale, per l’occasione modificati per ospitare i supporti  in alluminio utili a fissare il parafango di provenienza Monster 696. Ovviamente, prima del montaggio, la forcella è stata revisionata e anche anodizzata.

I cerchi  provengono da una Ducati 848 a cui sono stati applicati dei dischi Braking Wave maggiorati da 325 mm. A dx, un primo piano dell’impianto di scarico, totalmente in inox, di realizzazione artigianale, saldato con procedimento TIG.

Passando all’impianto frenante, ora abbiamo all’anteriore due aggressive e performanti pinze Brembo Triple Bridge, verniciate a polvere, servite da una pompa freno radiale sempre della Brembo (così come anche quella della frizione): il tutto serve a far lavorare al meglio i dischi Braking Wave maggiorati da 325 mm. Che dire, ci raccomandiamo al pilota affinché non si faccia prendere troppo la mano in caso di staccata; il pericolo è mettere a bandiera il posteriore!

L’analisi della ciclistica non può che concludersi con altre due chicche, come la piastra superiore di sterzo, prima prelevata da una 999 e poi successivamente anodizzata in colore nero (quella inferiore, invece, è l’originale Multistrada, elaborata con leggero molding, quindi immaginiamo con la semplice rifinitura del pezzo), mentre i cerchi, per rimanere in sintonia con il mondo Ducati, sono quelli della sportiva 848.

Da un punto di vista estetico, la moto ha ovviamente perso le voluminose sovrastrutture originali, per acquisire il serbatoio di una 999, che è stato modificato nella parte superiore, ovvero quella del tappo, dove attualmente ne è posizionato uno in alluminio ricavato dal pieno, realizzando di pari passo il nuovo alloggiamento.

Molto più street racer che cafe racer, questa moto ha un aspetto corsaiolo con una posizione di guida piuttosto caricata sull’anteriore.

Completa l’opera il nuovo codone, realizzato completamente in alluminio battuto a mano, dotato nella sua parte posteriore di due griglie laterali fatte a nido d’ape che ospitano i terminali dello scarico, anch’esso totalmente artigianale e realizzato in acciaio inox saldato TIG (il prossimo step, però, sarà la sua sostituzione con uno in titanio) che trova poi appunto sfogo nel codone, essendo il suo sviluppo finale incastonato nella parte posteriore del telaio. Tornando al codone, per dare ulteriore testimonianza della complessità del lavoro, dovete sapere che è stato integrato da un gruppo stop/frecce/luce progettato al cad e realizzato in resina con tecnica stereolitografica, per poi essere anch’esso  incastonato nella parte posteriore del telaio.

Paolo ci tiene a far sapere che, a parte le lavorazioni particolari, come possono essere la sella e la verniciatura (opera di Ivan Motta design), tutte le varie operazioni di battitura lastra, progettazione e produzione di parti speciali sono state effettuate all’interno della sua officina: del resto, questa è una special realizzata per ambizione personale, non richiesta o commissionata da un cliente, come ci conferma Paolo: “La moto è stata fatta per la mia soddisfazione personale, ma anche per mettere in evidenza le caratteristiche della mia officina. Del resto ha richiesto un impegno antieconomico, è costata molto anche per i componenti (basta pensare al mono Öhlins) e le lavorazioni effettuate”.

Molto bella la zona di guida, con la strumentazione digitale Koso, la piastra superiore di sterzo di una 999 così come lo è il serbatoio, ora modificato nella parte superiore con la presenza di un tappo in alluminio ricavato dal pieno e il conseguente rifacimento del suo alloggiamento.

In effetti, dovete considerare che per la sua realizzazione è occorso quasi un anno di lavoro, difficile quindi immaginare quale potrebbe essere il conto da sottoporre a un ipotetico cliente che avesse richiesto una tale mole di modifiche! Tanto più che il discorso non finisce qui, ma continua con tanti altri particolari, come il cruscotto, un DB-03 della Koso, il gruppo ottico anteriore in tecnologia full Led che proviene da una Superduke 1290 R e la modifica dell’impianto elettrico che ha richiesto l’eliminazione dell’airbox, al posto del quale vi è ora un supporto nel quale è stata alloggiata tutta la parte elettrica (centralina, fusibili e cavi) e un’ulteriore struttura per l’alloggiamento della batteria: il tutto è stato disegnato al cad e poi tagliato al laser in acciaio inox.

In questo modo, semplicemente togliendo il serbatoio, tutto l’impianto elettrico è ora a portata di mano: il risultato è una grande pulizia delle linee, senza cavi o altri antiestetici particolari a vista, a testimonianza di come questa special sia stata molto curata, come dimostra anche la qualità della verniciatura, per la quale si è optato per design e colori hi-tech, di gusto racing, così da essere in sintonia con lo stile complessivo della moto.

La special della romana Dierre è un vero e proprio work in progress: ecco qui sopra l’ultimissima versione con sella in alcantara e faro in posizione più bassa. In arrivo, a breve, un impianto di scarico interamente in titanio!

Perfetto, direte voi, ma il motore?

Paolo ritiene ottimo (e non possiamo che dargli ragione) il 1000 DS originale, perfettamente in linea con una moto che vuole essere leggera, compatta e prestante, ma senza essere esagerata.

Comunque sia, è stato completamente revisionato, sabbiato e verniciato, con l’aggiunta di una particolare lavorazione sul carter lato frizione, che ora è della STM con funzione antisaltellamento.

Il risultato finale è di alto livello, anche se è un peccato che questa moto non abbia ancora calcato la strada, anche se è predisposta per ospitare quanto serve (leggi targa e frecce) per circolare.

In conclusione, se l’obiettivo era quello di realizzare una moto vetrina delle capacità della Dierre, il risultato è stato senz’altro centrato, grazie a una serie di scelte tecniche ed estetiche mai fini a se stesse, ma sempre funzionali e logiche, in piena sintonia con il mondo Ducati.

Un bel primo piano del carter lato frizione, che ora è della STM.

foto di Diego Fioravanti e Beniamino Finocchiaro

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