Ducati Diavel: prova su strada della versione Carbon

Ducati Diavel: prova su strada della versione Carbon

Sembra una power cruiser ma va come una sportiva,grazie a un motore portentoso, una ciclistica equilibrata e all’ausilio dell’elettronica.

Dal 2007 a oggi, Ducati ha presentato almeno una nuova moto all’anno, tenendo fede a quello che era il suo piano di sviluppo nonostante la crisi economica internazionale.

Il Diavel rappresenta l’ultima novità di questo processo e testimonia la convinzione e la motivazione dell’azienda nel guardare al futuro, indipendentemente dal fatto che il mercato, anche in questo 2011, stia fornendo dei segnali contrastanti.

Forse, adesso siamo più vicini al momento di svolta, – ha dichiarato il Direttore Generale Claudio Domenicali in apertura della conferenza stampa che ha ufficializzato il lancio della nuova power cruiser Ducati – anche se per noi il 2010 è stato comunque un anno positivo.

Grazie a questa ulteriore “pedina” schierata nel proprio listino, la Casa di Borgo Panigale può contare su un portafoglio di prodotti molto interessanti (il modello più “vecchio”, il Monster 696, è del 2008!), che strizza l’occhio anche ad aree geografiche dove il potere d’acquisto sembra essere tornato quello di una volta, come ad esempio la Germania e, soprattutto, gli Stati Uniti.

Ecco dunque questa moto che, stando alle parole dello stesso Domenicali, non ha ancora trovato un suo segmento di appartenenza: “Dopo tutto, una moto è una moto! – ha scherzato il Direttore Generale – Magari questo settore non c’è!

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La gamma Diavel si compone di due versioni: la Base e la Carbon. L’Abs e il controllo della trazione sono di serie su entrambe.

In effetti si tratta di un prodotto complementare alla gamma: un po’ sportiva, un po’ tourer, un po’ custom, un po’ altro!

Pur mantenendo il DNA che caratterizza ogni Ducati, il Diavel rappresenta infatti un progetto completamente nuovo, che ha richiesto circa 3 anni di sviluppo. Tutto è partito dall’idea che, così come è successo nel settore delle auto, il concetto di sportività sta cambiando: non si tratta più di avere un veicolo che pone di fronte a degli “aut aut”, ma a un prodotto che coniuga più caratteristiche diverse, alcune addirittura in apparente contrasto tra loro, come in questo caso.

Il cliente non è più disposto a rinunciare a qualcosa per avere altro. – ha spiegato il Direttore Marketing Diego Sgorbati – Un esempio lo abbiamo già fornito con la Multistrada 1200, che ha interpretato un nuovo concetto di sportività appoggiandosi a quelli che sono i cardini della filosofia Ducati: storia, corse e italianità.

Sul fatto che il Diavel sia “made in Borgo Panigale” al 100%, del resto, non ci sono dubbi: lo si capisce già dal suo nome in dialetto. Una “bolognesità” che prosegue con i contenuti che lo contraddistinguono, come il design curato (ispirato ai concetti di muscoli e agilità propri di un centometrista alla Usain Bolt, tanto per capirsi), l‘elevato livello di integrazione tecnologica secondo uno spirito “user friendly” (vedi i Riding Mode introdotti per la prima volta sulla Multistrada 1200) e le prestazioni da riferimento, con 162 Cv di potenza massima, 207 Kg di peso a secco (nel caso della versione Carbon, protagonista della presentazione internazionale) e 13,0 Kgm di coppia.

Un “pacchetto” che, com’era prevedibile, si traduce in un’accelerazione travolgente (la migliore di tutta la gamma), con 2,6 secondi per passare da 0 a 100 Km/h, ma anche in una frenata (e qui arriva la vera sorpresa) che grazie al particolare bilanciamento della ciclistica e al nuovo Abs in dotazione su entrambi gli allestimenti (più evoluto rispetto a quello presente sulla Multistrada 1200) risulta altrettanto efficace, tanto da permettere al Diavel di spuntare spazi d’arresto inferiori perfino a quelli della 1198!

Stiamo dunque parlando di una moto “seria”, sulla quale “l’apparire” non esclude necessariamente “l’essere”.

Come è fatta la Ducati Diavel

Il telaio composito, con la parte anteriore a traliccio di tubi e quella posteriore composta da due fiancate in alluminio fuso più un elemento centrale in tecnopolimeri, rappresenta un chiaro elemento distintivo, sia a livello tecnico che estetico, così come il forcellone monobraccio in alluminio fuso (lungo ben 635 mm) e la massiccia forcella regolabile Marzocchi a steli rovesciati da 50 mm (che sulla versione Carbon è dotata di trattamento DLC) stretta da piastre di sterzo caratterizzate da un particolare taglio orizzontale.

La sospensione posteriore, dotata di articolazione progressiva, è costituita da una soluzione inedita, con un ammortizzatore Sachs regolabile, munito di precarico remoto, disposto in posizione orizzontale grazie a due tiranti e a un bilanciere, in modo da garantire maggiore pulizia estetica al retrotreno.

Le principali quote ciclistiche individuano un interasse abbastanza lungo per gli standard della Casa di Borgo Panigale, 1590 mm, e altrettanto conservativa è la geometria di sterzo, con il cannotto inclinato di 28°, l’avancorsa di 130 mm e l’offset tra gli steli della forcella e l’asse di sterzo pari a 24 mm.

L’impianto frenante anteriore impiega le stesse pinze monoblocco a quattro pistoncini della 1198, mentre i dischi sono da 320 mm di diametro e 4,5 mm di spessore (con flangiatura finemente lavorata nel caso della versione Carbon), il tutto abbinato a una nuova pompa di tipo radiale (uguale a quella della frizione) con il serbatoio integrato in alluminio pressofuso, a conferma della grande attenzione riservata al design dei vari particolari (come, ad esempio, anche il supporto della targa in traliccio di tubi, che riprende il caratteristico layout del telaio). L’impianto posteriore vede una pinza a due pistoncini agire su un disco da 265 mm leggermente sovradimensionato rispetto a quello dei modelli supersportivi, proprio perché nel caso del Diavel il trasferimento di carico è più limitato, a vantaggio della stabilità in frenata.

I cerchi sono entrambi da 17″, realizzati con una particolare tecnologia che unisce fusione e forgiatura, conferendo migliori proprietà meccaniche al materiale, e successivamente lavorati con macchine utensili come vogliono le ultime tendenze del mondo custom. L’anteriore ha il classico canale da 3,5″ e monta un pneumatico da 120/70 (come quello delle sportive più diffuse), mentre il posteriore è decisamente oversize, con una larghezza di ben 8″, e ha “costretto” la Pirelli a realizzare un’apposita copertura bimescola da 240/45 caratterizzata da un profilo che, nonostante la sua imponenza, consentisse comunque notevoli angoli di piega: il Diablo Rosso II.

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Davvero aggressivo l’enorme pneumatico posteriore da 240 mm di larghezza.

In un primo momento era stata presa in considerazione anche l’ipotesi di installare un pneumatico da 240/40-18″, ma questa soluzione non si sarebbe sposata in modo ideale con quella operata all’anteriore, soprattutto alla luce di un utilizzo sportivo.

Così configurato, il Diavel è capace di raggiungere angoli di piega fino a 41°, soglia imposta peraltro dalla relativa luce a terra piuttosto che da eventuali limiti ciclistici. Rispetto al Monster 696, ad esempio, per garantire una posizione di guida adeguatamente confortevole le pedane risultano posizionate 23 mm più in basso e 116 mm più avanti, mentre per lo stesso motivo il manubrio, in alluminio a sezione variabile, è montato su supporti elastici, oltre a essere più basso e arretrato rispettivamente di 100 e 140 mm.

Anche la sella, realizzata in due tipi di materiale con superfici diverse unite da cuciture rosse e posta a soli 770 mm da terra (anche se all’occorrenza ne sono disponibili come optional altre due versioni: una più alta e una più bassa di 20 mm) contribuisce a rendere l’impostazione del Diavel più rilassata di qualsiasi altra Ducati e questo vale anche per il passeggero che beneficia di una sistemazione adeguata. Una volta rimosso il coperchio coprisella e la sella stessa (tramite la serratura presente in mezzo al gruppo ottico posteriore), è possibile estrarre il maniglione posteriore a scomparsa, altrimenti tenuto in sede tramite un pomello, mentre le pedane, dall’aspetto particolarmente minimale, hanno la particolarità di aderire, qualora inutilizzate, quasi perfettamente al profilo laterale del codone, garantendo massima pulizia estetica all’insieme.

A caratterizzare la voluminosa zona centrale ci pensa il serbatoio, realizzato in plastica rotazionale e coperto da cover in carbonio sulla versione Carbon (acciaio sulla Base, che pesa infatti 3 Kg in più) con “guance” in alluminio spazzolato, così da conferire al veicolo un aspetto particolarmente solido.

Innegabile, poi, è il family feeling che il gruppo ottico anteriore a doppia parabola, abbagliante e anabbagliante, con una fila di led orizzontali per la luce di posizione evoca nei confronti del Monster, mentre stilisticamente inediti, oltre che moderni, sono gli indicatori di direzione, anch’essi a led (così come l’impianto di illuminazione della targa), con gli anteriori integrati nei convogliatori d’aria laterali e i posteriori inseriti parallelamente alle luci di stop.

Il Diavel si distingue anche per la doppia strumentazione, una solidale al manubrio, che indica parametri “tradizionali” (come velocità, regime di rotazione, distanza percorsa, ecc, più le classiche spie) e una sul serbatoio dotata di display TFT a colori (prima moto in commercio ad averlo), che fornisce una serie di informazioni addizionali (Riding Mode selezionato, marcia inserita, livello del controllo di trazione, ecc) ed è dotata di una funzione che regola automaticamente il colore dello sfondo in base alla luminosità esterna.

Sul Diavel, i Riding Mode sono tre: Sport, con 162 Cv, erogazione sportiva e DTC (Ducati Traction Control) al primo livello degli otto disponibili; Touring, stessa potenza ma con erogazione più progressiva e controllo di trazione al terzo livello, e Urban, con potenza massima di 100 Cv e DTC al quinto livello.

Il bicilindrico che spinge l’ultima nata in Casa Ducati è il Testastretta 11° (dove il numero indica la relativa fase di “incrocio” durante la distribuzione) che ha fatto il suo debutto sulla Multistrada 1200, anche se in questo caso le prestazioni sono superiori per via delle differenze tra i due modelli a livello di scatola filtro e impianto di scarico, tant’è che fino a 9000 giri il Diavel ha una curva di potenza quasi perfettamente sovrapponibile a quella della 1198.

L’unità di 1198 cc, corrispondenti a misure di alesaggio e corsa pari a 106 x 67,9 mm, eroga 162 Cv a 9500 giri e 13,0 Kgm di coppia a 8000 giri. Invariato è il rapporto di compressione, di 11,5:1, così come la tecnologia di fusione sottovuoto con cui viene realizzato il basamento. L’utilizzo di un materiale speciale per le valvole consente di percorrere 24.000 Km tra una registrazione e l’altra di quest’ultime.

La frizione in bagno d’olio è asservita in coppia e pertanto risulta più morbida da azionare oltre a essere dotata di funzione antisaltellamento. Rispetto a quella della Multistrada 1200, l’unità del Diavel è munita di un coperchio interno insonorizzante che la rende ancora più silenziosa a vantaggio del comfort.

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Il Diavel accessoriato con le parti speciali Ducati Performance.

Nuova è anche la pompa dell’acqua, con girante maggiorata da 64 mm (contro i 60 mm della Multistrada) che aumenta del 35% lo smaltimento del calore. L’impianto di raffreddamento, tra l’altro, è caratterizzato da una soluzione atipica, con due radiatori dell’acqua, disposti uno per lato in senso longitudinale rispetto a quello di marcia e serviti da apposite ventole.

L’impianto di scarico prevede un layout di tipo 2 in 1 in 2, con tubi da 58 mm, due sonde lambda (una per cilindro), catalizzatore trivalente, valvola parzializzatrice e silenziatore conico sdoppiato sul lato destro. Tra l’altro, i collettori hanno uno sviluppo particolarmente sinuoso che crea a sua volta un elemento di design.

Si tratta insomma di un progetto completamente nuovo, dove i concetti di forma e funzione si sono evoluti di pari passo, dando vita a una moto tutta da scoprire.

La versione Base costa 16.900 Euro chiavi in mano, mentre per la Carbon ne occorrono 3000 in più. Per entrambe c’è l’ABS e il DTC, e sono previste due colorazioni (nero e rosso). Oltre alla consueta gamma di accessori dedicati, Ducati ne propone una di abbigliamento, con due linee principali.

Ducati Diavel: come va

Se l’obiettivo di questo modello era proporre i canoni della sportività Ducati attraverso una nuova dimensione non si può far altro che constatarne il successo, come abbiamo avuto modo di verificare direttamente nel corso del test che si è svolto sulla bellissima strada che da Marbella porta a Ronda, nel cuore dell’Andalusia.

Per accendere il motore basta avvicinarsi alla moto e premere il pulsante di avviamento con le chiavi comodamente riposte in tasca. Il Diavel è infatti dotato della tecnologia Hands Free e pertanto queste servono solo ad aprire il tappo del serbatoio. Oltre che bassa, la sella risulta anche ben imbottita e particolarmente stretta nella zona di congiunzione con il serbatoio, cosa che consente di appoggiare agevolmente i piedi a terra anche a chi non supera il metro e settanta di altezza.

Il peso superiore alla media degli altri modelli Ducati si sente solo nelle manovre da fermo, dopo di che lascia spazio a una guidabilità sorprendente, probabile frutto del baricentro basso e dell’ottimo bilanciamento generale.Nonostante il lungo interasse, infatti, la maneggevolezza è discreta, tant’è che, grazie anche all’ampio angolo di sterzata (pari a 35° per lato), le eventuali inversioni a U non rappresentano mai un problema.

Dove viceversa il Diavel dimostra di non essere particolarmente a suo agio è in autostrada, non tanto per mancanza di cavalleria o doti velocistiche, quanto per la fastidiosa esposizione all’aria una volta superati i 150 Km/h. Una soglia che il Diavel raggiunge davvero in un attimo!

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Il misto veloce è il terreno ideale del Diavel, quello dove emergono le sue vere doti.

Così, come per la Multistrada 1200, si scopre ben presto che anche per il Diavel i Riding Mode hanno un ruolo fondamentale. Se non vi è alcuna necessità prestazionale, la modalità Urban è molto interessante, rendendo questa cruiser tutta muscoli docile come uno scooter, perfettamente coadiuvata dalla morbidezza della frizione. Del resto, sarebbe un problema percorrere il lungo mare di Puerto Banùs (la Montecarlo spagnola) in perfetto relax con una moto di questo tipo senza il prezioso aiuto del Ride by Wire e delle applicazioni a esso collegate.

Invece, con il Diavel è possibile farlo scoprendo situazioni normalmente precluse a una sportiva tradizionale, senza per questo rinunciare agli aspetti più emozionanti.

Basta passare alla modalità Touring per avvertire un netto cambio di registro. In questo caso, la connessione tra la manopola destra e la ruota posteriore diventa molto più diretta, pur mantenendo una piacevole progressività, perciò è necessario ricordarsi di scaldare bene le ottime gomme Pirelli prima di aprire il gas con una certa disinvoltura a moto ancora piegata, pena “coreografiche” derapate in accelerazione. In questo frangente, il Diavel inizia a manifestare la sua natura più “selvaggia”, che fa dell’enorme riserva in termini di coppia un’arma al tempo stesso divertente ed efficace.

Tra un semaforo e l’altro, infatti, non esiste Ducati capace di spingere così forte, con il non trascurabile vantaggio che il lungo interasse e la geometria di sterzo conservativa riducono al minimo le impennate, garantendo così grande stabilità.

La stessa che si registra in frenata, con l’ausilio o no dell’Abs di ultima generazione (più compatto e leggero), che volendo può essere disattivato dall’utente, senza che il sistema venga ripristinato automaticamente (come accade sulla Multistrada 1200) al successivo avviamento. La potenza dell’impianto è ottima e lo stesso vale per la modulabilità, in particolar modo per quello posteriore, pur se a fronte di una corsa superiore alla norma.

Tuttavia, non è staccando al limite che si ha modo di apprezzare al meglio le doti del Diavel. Piuttosto che aggredire le curve, sacrificando inevitabilmente la percorrenza, è nei tratti guidati, come il meraviglioso misto-veloce che collega la costa andalusa al parco della “Sierra de las Nieves”, che è possibile sbizzarrirsi in pieghe da capogiro con la punta degli stivali costantemente a contatto con l’asfalto.

In tali circostanze, la cosa migliore da fare è selezionare la modalità Sport e mantenere una marcia relativamente alta (come la quarta), in modo da poter gestire l’andatura intervenendo solo sul gas, facendo leva sulle doti di ripresa del Testastretta 11°, tali da far apparire la rapportatura fin troppo corta, protezione aerodinamica a parte.

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Stabilissimo sia in accelerazione che in frenata, grazie al lungo interasse, il Diavel non disdegna neppure le pieghe al limiite.

In sesta a 90 Km/h, la risposta al comando del gas è così pronta da “strappare” le braccia e, se non fosse per l’indicatore della marcia inserita sul display secondario, verrebbe il dubbio di essere ancora in quinta!

Rispetto alla modalità Touring, la Sport ha un temperamento ancora più brillante, ma non aggiunge poi molto in termini di sostanza pura. Perciò. la prima rappresenta forse il miglior compromesso, la base dalla quale partire per adattare la moto alle varie situazioni del caso, visto che attraverso il commutatore sul lato sinistro del manubrio è possibile personalizzare alcuni parametri, a partire dal controllo della trazione, il cui intervento è meno invasivo di quanto ci si potrebbe aspettare, anche nella modalità Urban.

Per quanto riguarda questa, la ciliegina sulla torta sarebbe stata quella di poter modificare elettronicamente anche il comportamento delle sospensioni (come accade sulla Multistrada), ma alla luce di cosa fa il Diavel sul veloce, la taratura di serie (che sulle prime appare un po’ troppo rigida, soprattutto quella dell’ammortizzatore) è più che giustificata.

Detto questo, non resta che annotare l’ottimo livello delle finiture e la pregevole funzionalità degli inediti specchietti retrovisori (che visti gli standard di qualche anno fa non è poco!).

In definitiva, il Diavel rappresenta senza dubbio un prodotto intrigante, con un potenziale molto alto. Il fatto che non abbia un posizionamento preciso sul mercato, in questo momento, potrebbe giocare a suo favore.

Di certo, una volta provato, lascia spazio a ben poche critiche, anche perché, a differenza delle sportive carenate, ha il pregio di comportare uno stress decisamente inferiore.

Così, una volta scesi dalla moto dopo una “sparata”, anziché sentirsi stanchi e indolenziti, si è subito pronti a fare quattro salti nel locale di turno o, meglio ancora, a rimontare in sella!

Foto Milagro

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