Impianti frenanti: l’anteriore monodisco Ducati

Impianti frenanti: l’anteriore monodisco Ducati

Un articolo molto interessante sulla tecnica dei sistemi frenanti delle moto, ambito in cui Ducati ha (quasi) sempre eccelso.

Uno degli elementi che ha incontrato negli anni uno sviluppo tecnologico notevole, non solo in campo motociclistico, è indubbiamente l’impianto frenante. Le motociclette di Borgo Panigale in questo senso sono sempre state all’avanguardia. In particolare quelle di costruzione più recente, dal ’90 in poi, sono state sempre equipaggiate con impianti frenanti di marca Brembo di qualità ben superiore alla concorrenza. La Ducati è stata una delle prime case a introdurre in serie sistemi frenanti di elevate prestazioni anche sui suoi modelli meno “pregiati”, come le varie Super Sport e Monster equipaggiate con propulsori a due valvole. Ciò in particolare grazie all’adozione di dischi da 320 mm di diametro con pista semiflottante e pinze a quattro pistoncini contrapposti a coppie, una configurazione che solo diversi anni dopo sarebbe divenuta lo standard per la maggior parte delle supersportive di tutto il mondo. La misura da 320 mm per i dischi è quasi il massimo concesso da un cerchio da 17’’; gli ultimi dischi sviluppati (Ducati 1098) sono arrivati al limite dell’ingombro con un diametro di 330 mm.

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Il disegno mostra l’effetto torcente che si genera sulla forcella in presenza di un singolo disco all’impianto frenante anteriore.

Lo schema classico con due dischi e due pinze “Serie Oro” fu introdotto per la prima volta sulle allora neonate Superbike della serie “8” e sulla rinnovata Super Sport del 1991. Nel dare alla luce dei modelli meno performanti derivati proprio da queste ultime, invece di proporre un sistema frenante a doppio disco di prestazioni inferiori, si preferì eliminare completamente uno dei due dischi, “dimezzando” nella pratica l’impianto. Le prime moto che uscirono così impostate di Fabbrica presentavano cerchi e forcella in comune con le sorelle più dotate ed erano pertanto predisposte per un eventuale successivo potenziamento dell’impianto frenante.

La configurazione monodisco comparve per la prima volta sulla indimenticata 750 Supersport del 1992 (semicarenatura con telaio e cerchi bianchi), per poi fare la sua apparizione anche sulle “sorelline” di 600, 400 e 350 centimetri cubi negli anni a venire. Con l’arrivo, a metà degli anni ’90, del Monster 600 e successivamente del 750, anche su queste ultime fu adottata inizialmente la soluzione a disco singolo, che in seguito sarebbe stata conservata solo sul modello “entry level” della serie Monster.

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La 750 Sport del 2001, uno dei modelli Ducati

Dal punto di vista della pura prestazione frenante, un solo disco da 320 mm permette di ottenere spazi d’arresto di tutto rispetto, solo di poco superiori a quelli ottenibili con un impianto a due dischi: come si dirà più avanti, infatti, in quest’ultimo caso la potenza frenante non è doppia rispetto al primo.

Ovviamente, in caso di un utilizzo gravoso del mezzo (lunghi percorsi a pieno carico in discesa, piuttosto che qualche turno in pista), un solo disco patirà un maggiore aumento di temperatura con l’eventualità di incorrere in fenomeni di surriscaldamento (e conseguente riduzione del coefficiente d’attrito pista/ferodo) e vapour-lock, con conseguente brusco decadimento delle prestazioni.

Un difetto riscontrabile anche nell’uso comune è invece quello legato alla torsione della forcella: la presenza di un solo gruppo frenante sul lato sinistro fa sì che si generi un momento torcente sull’asse della forcella.

Esiste infatti una reazione non bilanciata con un braccio cospicuo rispetto al baricentro dell’insieme comprendente anche la forcella, che riporta l’equilibrio torcendosi elasticamente in senso antiorario. In queste condizioni, essendo la ruota vincolata proprio al piede di forcella, dove la rotazione è massima, si ha una “sterzatura” verso sinistra del mezzo proporzionale alla forza frenante applicata.

Il fenomeno è ovviamente d’entità limitata e non pregiudica mai l’assetto del veicolo; tuttavia nella guida nel misto può risultare parecchio fastidioso, dato che la moto assume un comportamento asimmetrico nelle curve a destra e in quelle a sinistra, in particolare nella fase di staccata e di uscita.

In sostanza, sul dritto difficilmente si vedrà la moto abbandonare la traiettoria stabilita, mentre nell’affrontare un percorso di montagna spesso si dovrà correggere la linea impostata per ottenere una guida pulita.

All’opposto, un grosso vantaggio della soluzione monodisco è quello di ridurre notevolmente le masse non sospese, dato che il disco e la pinza sono vincolati alla ruota e allo stelo forcella: il tutto a vantaggio della guidabilità e della maneggevolezza del motociclo. Inoltre, se da un lato un impianto a disco singolo così concepito presenta qualche difetto operativo, dall’altro esso offre l’innegabile vantaggio per il Ducatista, storicamente amante delle modifiche e delle migliorie tecniche, di poter essere riportato molto facilmente alle origini, essendo i veicoli in questione dotati di tutti gli attacchi, orfani di un disco e una pinza.

Ovviamente, ciò non solo comporta l’aggiunta di due elementi operativi, ma anche la modifica della linea di comando, con la sostituzione della pompa al manubrio. Il diametro del pompante originale sarebbe infatti troppo ridotto per agire su due pinze invece di una. Tuttavia, non è necessario raddoppiarne la misura, come si potrebbe pensare in un primo momento: l’efficacia frenante di un doppio disco di grande diametro è di per sé sufficiente anche con un pompante di diametro ridotto che, al contrario, garantisce una modulabilità di intervento decisamente superiore (matematicamente si può dire che segua una legge meno ripida, offrendo una corsa superiore).

In commercio esistono dei kit appositi, dotati di tutto l’occorrente: un disco Brembo semiflottante da 320 mm, una pinza Brembo a quattro pistoncini destra, una pompa da 16 mm di diametro e le relative tubazioni in treccia metallica.

Altrimenti si può compiere un passo più importante installando due dischi ad alte prestazioni, ad esempio con la pista frenante in ghisa e il mozzetto in ergal, oppure montando una pompa ad azionamento radiale e grande diametro, sicuramente lo stato dell’arte in tema di impianti frenanti.

Analizziamo a questo punto le problematiche di montaggio del secondo disco. Anzitutto occorre ricordare che non tutti i modelli offrono la predisposizione per il montaggio del secondo disco, a causa della dotazione, in un periodo limitato di tempo (a metà degli anni ’90), di una forcella Marzocchi USD/E40 con il piedino destro privo della staffa di supporto della pinza.

Per questi modelli si possono trovare con un po’ di fortuna dei kit di trasformazione comprensivi del piedino completo di stelo; in alternativa, se si fa un uso molto sportivo del mezzo, si può pensare di sostituire l’intera forcella, dato che comunque la Marzocchi da 40 mm non ha mai soddisfatto pienamente per le sue prestazioni nell’impiego estremo.

Per quanto riguarda i cerchi, questi sono invece completamente compatibili con il montaggio di un secondo disco, dato che su tutti i modelli Ducati interessati fino ad oggi è stato sempre montato il medesimo tipo di cerchio Brembo a tre razze con canale da 3,5’’ e doppia flangiatura a sei fori sui due lati. Sui modelli monodisco, sul lato destro è fissato con sole tre viti un coperchio di protezione in materiale plastico. Una nota: le viti di fissaggio dei dischi non sono di tipo standard, ma ad elevata resistenza e testa ribassata, per cui occorre fare attenzione a ciò che si acquista.

Altra modifica da effettuare è ovviamente la sostituzione delle tubazioni; al riguardo si possono seguire diversi schemi. I modelli originariamente dotati di due dischi presentano un sistema di tubazioni distinto in tre parti unite tra loro da un ripartitore in lega leggera (schema 1). Una soluzione invece più adoperata e con un minor numero di componenti e giunzioni prevede due tubazioni separate per i due dischi che si dipartono entrambe direttamente dalla pompa (schema 2).

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Varie tipologie di layout per quanto riguarda l’impianto frenante anteriore.

Se la motocicletta su cui si opera è dotata in origine di una tubazione in treccia metallica sarà sufficiente realizzarne un’altra a servizio della pinza supplementare. Specie i modelli meno recenti sono però equipaggiati con tubazioni in gomma, per cui è ovviamente consigliabile realizzare tutto l’impianto ex-novo.

Un’altra soluzione può essere quella di mantenere la tubazione originale sulla pinza sinistra e realizzare un ponte tra le due pinze: questa è la configurazione che comporta il minor aggravio di peso e la minore “elasticità” del comando (schema 3).

Tuttavia, le variazioni in questo senso sono così marginali che si possono tranquillamente considerare trascurabili. Quale che sia la soluzione scelta, occorre dunque collegare tra loro le due pinze e la pompa: molta attenzione va dedicata alla scelta dei raccordi terminali delle tubazioni, al fine di garantire il miglior percorso alla linea frenante ed evitare interferenze con la forcella o altre parti della moto.

Una curiosità al riguardo: tempo fa, nel preparare una moto alla quale era stato sostituito l’impianto frenante anteriore, riscontrammo una tale difficoltà nella taratura della forcella da pensare che vi fosse qualche problema nell’idraulica. Dopo svariate prove e numerose ipotesi fatte, verificammo come le tubazioni in treccia metallica, a causa del percorso anomalo compiuto tra il manubrio e le pinze, contribuivano all’elasticità della sospensione in modo ovviamente non prevedibile…

A parte questo caso limite, se si realizzano da zero le tubazioni, è bene tenere in debito conto l’ingombro alla massima escursione della forcella. Prescindendo dal descrivere minuziosamente l’intervento di modifica, vediamo di definire alcuni punti fermi utili per l’operazione.

Per la rimozione della ruota anteriore è ovviamente necessario anzitutto disporre di un cavalletto per la forcella, o ancora meglio di un supporto sotto-cannotto; mediante quest’ultimo è possibile lavorare con la sospensione scarica e dunque verificare il corretto allineamento delle pinze al successivo rimontaggio. Se montiamo dei particolari usati o di recupero è bene verificare che i dischi freno presentino una superficie lucida e regolare, priva di qualsiasi rigatura.

Lo spessore minimo consigliato è di circa 3,6 mm (parliamo ovviamente dei Brembo in acciaio di serie da 320 mm, poiché dischi di altro tipo hanno riferimenti differenti): scendendo al di sotto di tale valore è facile incappare in drastiche riduzioni del potere frenante, nonché in distorsioni della pista. Ugualmente, le pinze devono presentarsi prive di qualsiasi trafilaggio di liquido e deve esserci una perfetta scorrevolezza dei pistoncini. Se non ci sono queste condizioni, è tassativo revisionare le tenute e le superfici di lavoro seguendo le procedure già viste nella precedente puntata. Al montaggio è bene verificare che le pinze siano allineate alla pista frenante, dato che queste non hanno una posizione obbligata sul piede di forcella, ma hanno qualche millimetro di gioco sui due attacchi: al limite le guarnizioni d’attrito possono non copiare perfettamente la pista del disco, generando dei deleteri gradini. La coppia di serraggio dei dischi freno va verificata sui 25 Nm, mentre le pinze, ben allineate, è bene serrarle a 45~55 Nm.

Di norma si applica del frenafiletti medio sulle viti del disco mentre, come si è già detto, non è consigliabile applicarne su quelle delle pinze (anzi si dovrebbe eventualmente utilizzare del grasso a base di litio per scongiurare noiosi grippaggi tra acciaio e alluminio). In ogni caso, occorre ricordare che gli esemplari più vecchi montano pinze differenti da quelli più recenti, sempre del tipo “Serie Oro” (P4/30-34) con quattro pistoncini contrapposti di diametro differenziato (30 mm e 34 mm) al fine di garantire la massima gradualità e modulabilità d’intervento. Le più vecchie, dotate di attacco con interasse ridotto (adeguato alle vecchie forcelle Showa e Marzocchi), presentano un solo perno di ritegno per le pastiglie.

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Il Monster 620 del 2001 è il primo, tra le versioni di piccola cilindrata della celebre naked, a impiegare due dischi

Le più recenti, dotate di attacco con interasse maggiorato, presentano invece due perni di ritegno per le pastiglie, mentre queste ultime hanno dimensioni e foggia diversa.

Le pinze di tipo più recente hanno una resa migliore grazie alla rigidità superiore della struttura: i due tipi non sono intercambiabili a meno di dotare il piede di forcella di una apposita piastra di adattamento. Volendo migliorare ulteriormente le prestazioni frenanti si può montare una coppia di pinze Triple Bridge, la variante a quattro pistoni di egual diametro montata sui modelli Ducati più sportivi.

Questi componenti, dotati di quattro pastiglie accoppiate invece delle classiche due, si montano senza problemi sugli attacchi a interasse maggiorato e dunque sui modelli più recenti.

Occorre fare attenzione al fatto che la diversa geometria dei pistoncini necessita di una pompa di diametro ridotto rispetto alle “Serie Oro” tradizionali, pena la perdita di buona parte della modulabilità e della resa del comando. Analizzeremo meglio il funzionamento di questi componenti nella prossima puntata, dedicata al potenziamento degli impianti a doppio disco.

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