Ducati GT 1000: monografia

Ducati GT 1000: monografia

Nel 2006 Ducati presenta la GT 1000, con l’obiettivo – non del tutto raggiunto – di riproporre al pubblico lo stile e la classe della mitica 750 GT.

Nel 2006 Ducati presenta la GT 1000, con l’obiettivo di riproporre al pubblico lo stile e la classe della mitica 750 GT.

Al salone di Tokio del 2003, Ducati lancia, in discreto anticipo con i tempi, il progetto Sport Classic che si articola su tre modelli che hanno un chiaro riferimento con la storia della stessa Casa di Borgo Panigale: la Sport, la Paul Smart e la GT 1000. Oggi sembrerebbe scontata un’operazione del genere, viste le numerose operazioni vintage messe in atto da un po’ tutte le Case, ma allora il progetto era abbastanza innovativo e originale. Il parto dell’operazione non fu semplice: Ducati fece girare per le concessionarie di mezzo mondo i prototipi della serie e indisse pure un sondaggio su internet per valutare l’interesse degli appassionati.

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Il primo studio di quella che sarà la nuova Tourer di casa Ducati.

Considerata la buona accoglienza e le relative aspettative, Ducati decise di fare il passo e presentò nel 2005 prima le due versioni sportive e poi nel 2006 il modello di impostazione più turistica, ovvero la GT 1000: nell’intenzione della Casa le versioni Sport e Paul Smart riprendevano la tradizione sportiva della bicilindrica desmo da 750 cc, nella versione Sport per la prima (con la citazione del colore giallo arancio), mentre per la seconda il riferimento era alla 750 SS che si affermò nel 1972, alla 200 Miglia di Imola, proprio con il pilota inglese in sella.

La GT 1000, invece, aveva l’obiettivo di riproporre al pubblico lo stile e la classe della mitica 750 GT, moto di cui proponiamo in questo articolo un breve ricordo.

Ducati GT 750

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Nel 1970 nasce il bicilindrico 750 cc a V longitudinale di 90°, un evento fondamentale nella storia della Ducati. Il propulsore è progettato dal “Doctor T“, l’Ing. Fabio Taglioni, e si ispira chiaramente all’esperienza dei monocilindrici da 350 cc con la distribuzione a coppie coniche, anche se in questo caso essa fu completamente riprogettata per una maggiore affidabilità rispetto ai mono, con le valvole richiamate in sede da molle elicoidali doppie: il Desmo doveva ancora arrivare sui bicilindrici.
Nella prima versione, l’avviamento era esclusivamente a pedale, particolare che la dice lunga sulla stoffa grezza, da vero purosangue motociclistico, della Ducati 750. Del resto, era una moto che esigeva un certo impegno di guida, con una frizione che richiedeva un notevole sforzo per l’azionamento e quote ciclistiche che oggi appaiono curiose, con un avantreno che pare quello di un Chopper (l’interasse superava i 1500 mm)! Così, la moto aveva una distribuzione dei pesi notevolmente sbilanciata verso il posteriore, problema che sarebbe andato avanti per molti anni, dovuto anche alla particolare architettura del motore, con il cilindro orizzontale che allontana la ruota dal baricentro.
La moto era dotata di un’ottima forcella Marzocchi da 38 mm, valore quasi record per l’epoca, e di un freno a disco da 280 mm con pinza Lockeed che assicurava buone prestazioni.
Rispetto alle concorrenti dell’epoca, anche se non rivaleggiava per velocità di punta, dato comunque stimabile sui 180-185 Km/h, la 750 GT vantava superiori doti di accelerazione e ripresa, confermandosi una moto molto godibile su strada. Il percorso di sviluppo del propulsore 750 sarebbe poi giunto al suo apice con la produzione della 750 SS finalmente dotata della distribuzione Desmo e di tutti gli accorgimenti che gli uomini Ducati avevano tratto dalla vittoria nella 200 miglia di Imola nel 1972

Purtroppo per Ducati, ma anche per gli appassionati, gli sforzi non furono ripagati da prodotti con le potenzialità adatte per ottenere un buon successo commerciale: la Sport e la Paul Smart furono proposte a un prezzo molto impegnativo (11.000 Euro la prima, 14.500 la seconda, prodotta in solo 2000 esemplari), poco adatte a un uso sportivo, ma anche per uno più rilassato, considerata la posizione di guida scomoda, soprattutto per chi era appena sopra la statura media: le pedane troppo rialzate imponevano una posizione innaturale alle gambe, mentre il manubrio inclinato, a sua volta, costringeva le braccia in una postura sfavorevole, eccessivamente distesa.

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Il grosso serbatoio presenta dei profondi incavi che permettono al pilota di “indossare” meglio la moto. A fianco, alla bella piastra cromata fa da cornice la strumentazione con due strumenti circolari a fondo scuro, non molto in linea con uno stile classico vintage.

Nel 2007, la versione Sport si diversifica in tre proposte: oltre alla tradizionale versione monoposto arriva quella biposto dotata di una ampia sella e la versione S, anch’essa biposto e con una nuova colorazione che abbina il rosso del telaio e del forcellone al nero dei cerchi ruota e di alcune parti motore; la S si presenta con un cupolino con faro centrale tondo e rimarrà in produzione ancora qualche anno, mentre la GT avrà vita più lunga, rinnovandosi parzialmente anno dopo anno.

La 1000 GT, come le sue sorelle, è dotata del motore 1000 DS (accensione a doppia candela), due valvole, che rispetto al predecessore presenta una diminuzione dell’angolo tra le valvole (principio di base della nascita dello stesso Testastretta) che rende possibile una camera di combustione più raccolta.

Tale configurazione pone gli alberi a camme in un rapporto più diretto con le valvole, riducendone l’attrito e le sollecitazioni esercitate sui loro componenti: nonostante la testa sia molto compatta nelle dimensioni, vi è comunque più spazio per le valvole, il cui diametro è di 45 mm per quella di aspirazione e di 40 mm per quella di scarico. L’alesaggio è di 94 mm con una corsa del pistone di 71,5 mm. I pistoni sono uniti all’albero motore per mezzo di bielle con sezione trasversale più sottile, l’albero motore è più rigido e meno flessibile, capace di ridurre al minimo le vibrazioni: in breve, un ottimo propulsore!

La gestione dell’iniezione e dell’accensione elettronica del 1000 DS è affidata alla centralina 5AM della Magneti Marelli, dalle dimensioni molto ridotte, e da una FlashEPROM che ne permette in sede di sviluppo e messa a punto la programmazione ripetuta.

23_GT-1000La moto è dotata di un telaio realizzato con un traliccio di tubi in acciaio saldati (ALS 450), derivato da quello che equipaggia la Paul Smart 1000 Limited Edition e la Sport 1000, verniciato nero lucido, con la sola aggiunta dei fissaggi per i due fianchetti laterali: la GT ha un interasse abbastanza lungo (1425 mm) e un’avancorsa di 103 mm, ottenuta con un avanzamento degli steli forcella rispetto all’asse di sterzo di 25 mm (offset perno ruota anteriore) e con un’inclinazione del cannotto di 24°. Completa la dotazione della ciclistica un nuovo forcellone in tubi di acciaio saldati, con diametro di 60 mm e spessore di 2 mm, con forcella Marzocchi a steli rovesciati con diametro da 43 mm, non regolabile, e due ammortizzatori Sachs caratterizzati da un sistema di regolazione del precarico molla a camma frontale.

Le ruote sono a raggi, con cerchi Excel da 17” in acciaio cromato, non certo l’ultimo grido in termini di tecnologia, che fra l’altro non consentono neanche l’utilizzo di pneumatici tubeless. L’impianto frenante anteriore prevede due pinze freno Brembo flottanti che agiscono su dischi semiflottanti con diametro di 320 mm e spessore di 4 mm, mentre al posteriore abbiamo una pinza freno flottante con un disco Brembo fisso da 245 mm.

Di interesse è la particolare tecnica costruttiva dei collettori di scarico col sistema “doppia parete”: si tratta di due tubi inseriti uno dentro l’altro che consentono il raffreddamento del tubo esterno e permettono quindi di mantenere nel tempo la cromatura estetica.

Nel primo anno di produzione, la GT viene offerta in due colorazioni: grigio scuro metallizzato e rosso Ducati.

Estetica, finiture e prezzo: i tre limiti che hanno penalizzato la GT 1000.

Se tecnicamente la moto è valida, anche se soffre di sospensioni che inevitabilmente propongono un compromesso fra le esigenze della guida brillante e quella turistica, da un punto di vista estetico e realizzativo le magagne non mancano: per il primo aspetto, la moto presenta uno strano vuoto fra parafango e ruota posteriore, risultando così un po’ sgraziata, soprattutto in confronto con l’imponenza della parte centrale dove il grosso serbatoio non fa niente per nascondersi; per il discorso delle finiture, infine, la moto si presenta discontinua, con carenze di stile in vari particolari come, ad esempio, gli indicatori di direzione in plastica cromata. Inoltre, per essere una moto a parziale vocazione turistica, fa specie l’assoluta mancanza del più piccolo vano portaoggetti come della presenza di un minimo appiglio per il passeggero.

Il risultato finale, che la accomuna alle altre componenti della famiglia Sport Classic, è quello di non essere né carne né pesce, una moto inespressa che non riesce a colpire nel segno dell’immaginario ducatista.

Un peccato, perché da un punto di vista dinamico la GT si difende meglio rispetto alle altre Sport Classic, grazie a una posizione di guida più sensata, simile a quella di un Monster, con un manubrio alto a cui si accompagna una sella ampia e ben imbottita: peccato solo per la gomma da 180 al posteriore, che ne riduce l’agilità.

L’evoluzione della Ducati GT 1000

Ducati, nel 2007, rinnova la sua offerta per la GT offrendo, oltre alle due tradizionali colorazioni, una nuova ed elegante livrea bicolore crema e nero metallizzato che contribuisce a rendere più originale l’impatto estetico.

Stesso discorso per l’anno successivo, quando arriva una nuova colorazione bicolore grigia: già il fatto che, per due anni consecutivi, l’unico cambiamento apportato a questo modello si limiti ai colori denuncia lo scarso appeal ricevuto sul mercato e quindi anche gli spazi ridotti per ulteriori investimenti.

Il primo cambiamento arriva nel 2009, con la presentazione della GT 1000 Touring in colorazione nera con striscia bianca; la versione Touring ha i parafanghi in acciaio cromato, un protettivo parabrezza e un portapacchi posteriore anch’esso realizzato in acciaio cromato.

Nelle intenzioni di Ducati, quindi, una proposta da utilizzare sia nel quotidiano che nei viaggi, colmando così un vuoto nel listino Ducati presente fin dall’abbandono della serie ST.

La Touring dura poco, in quanto già l’anno dopo nel listino Ducati rimane una sola erede dell’intera famiglia Sport Classic, una GT 1000 proposta nel tradizionale colore rosso Ducati e nella tonalità nera con banda longitudinale bianca.

Giunge così a termine la storia di un modello che ha avuto la vita complicata proprio dalle scelte effettuate in fase di progetto, limitata da infelici scelte estetiche e resa difficoltosa da un prezzo d’acquisto non allineato con quanto realmente offerto: rimane il vantaggio garantito dalle grandi doti del motore 1000 DS, che unito alle caratteristiche del classico telaio a traliccio, donano alla moto una gestione amichevole e sempre appagante, la classica compagna utile a scorrazzare il passeggero in qualche sortita domenicale, come dare buone sensazioni in occasione di eventuali sparate fuoriporta. I suoi 185 Kg non sono impegnativi, perché si accompagnano alle ottime doti del motore, capace di 92 Cv e soprattutto generoso di coppia, che permette un’erogazione brillante già a partire dai 3000 giri: se ne ottiene una moto sempre facilmente gestibile, divertente e poco impegnativa.

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Anche in versione superaccessoriata, la GT 1000, qui ripresa in un allestimento proposto nel 2008, non risulta molto credibile come moto per grandi viaggi!

Peccato solo che in Ducati non abbiano creduto di più a questo progetto, evitando di imboccare la via del compromesso: se si voleva proporre una vera GT questa doveva essere dotata di una linea impeccabile, con finiture di livello, che offrisse effettivamente quello che un ducatista si attendeva da quella che doveva essere l’erede della fascinosa 750 GT.

In questo modo, anche i 10.000 Euro richiesti per l’acquisto avrebbero avuto un senso, in quanto gli appassionati non si tirano indietro di fronte a un mezzo che vale i soldi richiesti, così come dimostrano e continuano a dimostrare scegliendo i prodotti firmati con il Desmo.

Rimane quindi il senso di un’incompiuta che, con il passare degli anni magari riacquisterà un po’ di fascino, soprattutto per tutti gli amanti del vigore e della personalità del propulsore Ducati a due valvole.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Ema

    Ottima monografia, solo un appunto: la serie sport classic ha già acquistato valore, basta farsi un giro sul mercato dell’usato per vedere a che prezzi siano arrivate.
    Sul design, il limite è il parafango posteriore: non a casa eliminandolo o sostituendolo con un più piccolo la moto cambia dal giorno alla notte.
    L’unico vero problema di questa moto è stato il tempismo, dote di cui in ducati sembrano proprio mancare: fosse uscita 5 anni dopo, avrebbe fatto sfracelli, in piena ondata “neo retrò” (basta vedere i numeri di triumph, royal e addirittura alcune norton) !

  2. Paolo

    Analisi perfetta, d’accordo in tutto. Io me la tengo stretta e sinceramente…ogni volta che le passo davanti in garage mi batte il cuore, esattamente come 13 anni fa!

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