Mr. Ducati & Dr. Harris

Mr. Ducati & Dr. Harris

Ducati Harris. Una vera special d’epoca: una Ducati a coppie coniche allestita con il kit realizzato dalla ditta inglese Harris.

Verso gli inizi degli anni Ottanta, la ditta inglese Harris realizzò un kit dedicato ai possessori delle moto Ducati a coppie coniche, dalla 750 alla 1000, passando anche per le versioni intermedie 860 e 900. Il telaio, indubbiamente, era un notevole passo in avanti rispetto all’unità installata di serie: innanzitutto perché prevedeva la sospensione posteriore a leveraggio di tipo progressivo, un bel passo in avanti rispetto alla coppia di ammortizzatori che installavano moto pur prestigiose come la 750 SS o la 1000 MHR.

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Nella foto qui accanto Luciano Gentili è insieme alla sua Ducati Harris.

Poi, altro indiscutibile vantaggio, il kit consentiva, grazie a particolari spessori da inserire in entrambe le piastre di sterzo, di modificare l’offset, permettendo così di adeguare l’impostazione della moto alle diverse esigenze di guida: una soluzione tecnica senz’altro all’avanguardia per le moto stradali dell’epoca.

Inoltre, il telaio Harris riduceva in modo sensibile l’interasse della moto: le gloriose coppie coniche, seppur famose per la loro stabilità nei curvoni veloci, difettavano infatti notevolmente in quanto a maneggevolezza! 

Ma i vantaggi del telaio Harris non finivano qui: l’altezza della sella da terra era più bassa di ben 10 cm rispetto alla Hailwood Replica; inoltre si poteva utilizzare una ruota anteriore da 18″ o da 16″, scelta quest’ultima tipica delle moto da corsa di quegli anni. Il telaio messo a punto dagli specialisti britannici, poi, era stato studiato in modo molto razionale, tant’è che si poteva rimuovere il cilindro verticale e quello orizzontale senza dovere togliere il motore dal telaio!

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In alto, un primo piano della piastra di sterzo che permette di modificare l’offset grazie alla sua particolare conformazione. Nella foto piccola, il carburatore del cilindro verticale è protetto da un parafango posteriore trasparente, per lasciarlo ben visibile. A dx, un dettaglio del forcellone con le belle pedane sempre della Harris.

Insomma, per farla breve, il kit della Harris consisteva in un sostanzioso passo in avanti rispetto a quanto proposto dalla moto di serie: parlare di kit, poi, non era assolutamente sbagliato, in quanto la ditta inglese proponeva, insieme al suo telaio realizzato in tubi Reynolds 531, anche una carrozzeria completa, fra cui spiccava il cupolino con il doppio faro in puro stile endurance. 

Una persona con buone conoscenze di meccanica poteva così convertire la sua coppie coniche in una proposta all’avanguardia per l’epoca con un paio di giornate di lavoro, creandosi così una vera e propria special che rappresentava, dal punto di vista ciclistico, come abbiamo visto, un sostanzioso passo in avanti: è ovvio che un appassionato esperto come Luciano Gentili (titolare della Luciano Moto 2 di Roma, tel. 06 57301573), che utilizzava la propria Ducati a 360°, “spremendola” per le gare BOTT dell’epoca, ma anche utilizzandola per lunghi viaggi, non si fosse fatto mancare l’opportunità di un così sostanzioso upgrade.

Certo, la Harris era tutt’altro che conosciuta in Italia, tant’è che questa è probabilmente l’unica esistente nel nostro Paese; infatti, Luciano ne venne a conoscenza nel 1985 grazie al fatto che, complice una fidanzata inglese, frequentasse la Gran Bretagna con una certa assiduità e che quindi fosse venuto a conoscenza di tale soluzione sfogliando una rivista del settore: fu una vera e propria folgorazione, tanto che Luciano ordinò per prima cosa il telaio, che però non volle rosso come veniva normalmente fornito, ma interamente cromato: una scelta che, ammirando la moto allo stato attuale, non possiamo che approvare. 

Tanto per chiarire la qualità delle lavorazioni Harris, la cromatura è ancora quella originale dell’epoca!

Dopo questo primo acquisto, il preparatore romano comprò dagli inglesi tutto il resto, dalle pedane alle piastre di sterzo che vi abbiamo appena descritto, fino al punto forte della proposta, la sospensione posteriore a leveraggi progressivi, appunto. Infine, ecco che arrivano anche le sovrastrutture, come il serbatoio in alluminio, il cupolino con il doppio faro e il codone.

La moto a questo punto è al completo, o almeno lo sarebbe per un ducatista normale, non per uno come Luciano che voleva la sua Ducati protagonista anche in pista.

L’elaborazione del motore è quindi di quelle pesanti, come la ricetta NCR allora in voga imponeva: la cilindrata venne portata a 950 cc, cammes NCR di profilo sportivo, valvole maggiorate, volano alleggerito, albero motore e bielle lucidate, ingranaggi alleggeriti, insomma tutto quanto era stato messo a frutto dalla scuderia bolognese in quegli anni in cui rappresentava, a tutti gli effetti, il reparto corse della Ducati.

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Un avantreno di alto livello, con tanto di cerchio in magnesio da 16″ della Marvic, impianto frenante Brembo e forcella della “Forcelle Italia”; a seguire, un bel primo piano di quello che fu l’ultima evoluzione del motore a coppie coniche: il motore è stato completamente restaurato e portato a nuovo.

Anche la parte ciclistica non pertinente alla Harris su questa moto è di primissimo livello: la sospensione anteriore è affidata a una “Forcelle Italia” dell’epoca, quella che era montata di serie sulla F1, i cerchi sono gli stupendi Marvic in magnesio, tutto l’impianto frenante è marchiato Brembo.

Come detto, altro aspetto fondamentale di questa bella special è il fatto che utilizza un cerchio anteriore da 16″, allora una scelta tipicamente corsaiola per la quale erano disponibili pneumatici molto competitivi, così da migliorare ulteriormente la maneggevolezza della moto, vero punto debole delle Ducati dell’epoca: con questa soluzione, la guida in pista diventava piuttosto efficace, nonostante l’interasse, pur se ridotto rispetto all’unità di serie, rimanesse importante.

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Un particolare dei leveraggi progressivi e del relativo monoammortizzatore.

Del resto, la nostra Harris, nelle gare del campionato BOTT due valvole che si svolgevano fra la fine degli anni Ottanta e la fine dei Novanta se la doveva vedere con moto di impostazione più moderna come le Ducati 900 SS, le Bimota DB1 o le Moto Guzzi di Ghezzi e Valentini: “Con la Harris partivo sempre in prima fila – ci racconta Gentili – certo non primo, ma comunque lì, fra i primi. Un risultato importante, se si pensa che stiamo parlando di una moto di oltre 190 Kg, con una concezione di motore ormai superata. Bisogna poi pensare che il lunedì dovevo aprire l’officina, e quindi guidavo con una certa attenzione! Tutto ciò dimostra la bontà della ciclistica di questa Ducati!”.

Come usava in quegli anni, la stessa moto con cui si gareggiava in pista era anche utilizzata su strada, anzi, nel caso di questa in particolare, destinata a girare per mezza Europa: Luciano infatti, la utilizzava per andare a vedere le gare motociclistiche più in voga, come il Bol D’Or sul circuito di Le Castellet in Francia, nel quale fra l’altro incappò in un bel contrattempo: successe infatti che qualcuno ebbe la bella idea di rubare la pompa e le pinze freno anteriori dalle moto presenti all’evento: certo, solo quelle più performanti, e ovviamente la Harris non ebbe scampo, tanto che dovette fare tutto il viaggio di ritorno dalla Francia fino a Roma utilizzando il solo freno posteriore!

Forse, anche per questi trascorsi, è una moto che ha un posto particolare nel suo cuore: “E’ una moto che mi ha dato delle soddisfazioni incredibili, indescrivibili – afferma infatti Luciano – E’ il classico pompone per il motoclistica vero: giubbotto di pelle, un bel calcio alla leva di avviamento e via!”.

 

Harris per il Pantah

Ovviamente l’azienda inglese non si limitò a realizzare kit per le Ducati a coppie coniche, ma allestì più versioni anche per i Pantah, che all’epoca dominavano il Tourist Trophy nella loro categoria con il grande Tony Rutter; infatti, oltre alla classica versione in tubi, ne realizzò una abbastanza inedita per il mondo desmo creando una struttura scatolata in alluminio, frutto delle notevoli esperienze che avevano effettuato creando telai per le quattro cilindri nipponiche. Resta il fatto che alla Harris sperimentavano tutti i materiali possibili e immaginabili per ottenere i migliori risultati in termini harris_pantahdi leggerezza ed efficienza, grazie alla loro continua presenza nel mondo delle gare, anche ad altissimo livello.
Tornando a questo esemplare, con la tipica colorazione bianca e verde inglese, sono da apprezzare soluzioni particolarmente innovative, come il forcellone e i leveraggi dell’ammortizzatore.
Il “cuore pulsante” di questo esemplare è ovviamente quello del Pantah, mentre l’impianto di scarico è artigianale, prodotto dalla stessa Harris. Anche in questo caso, siamo davanti a una moto rarissima, attualmente nella disponibilità di un collezionista giapponese.

Insomma, tanta storia è collegata a questa moto che poi, per quasi vent’anni è rimasta dimenticata in angolo dell’officina, fino a che giustamente Gentili non ha deciso di restaurarla completamente per riportarla all’antico splendore: il motore è stato revisionato e sabbiato, inoltre è stata compiuta la totale sostituzione di tutte quelle parti soggette a usura come guarnizioni, catena, corona e quant’altro si sia deteriorato con il tempo, tant’è che ora la moto funziona perfettamente.

L’unica cosa non originale della moto, purtroppo, è lo scarico che è stato rifatto di recente, in quanto quello dell’Harris non si era dimostrato efficiente ed era stato sostituito con un classico tromboncino, purtroppo rivelatosi, in fase di restauro, non recuperabile. 

Nella definizione di quello nuovo, però, si è ovviamente tenuto conto dello stile dell’epoca tant’è che la nuova unità, realizzata da Galassetti, rimane perfettamente in tema con lo stile della moto: niente da dire, un’ottima realizzazione.

Se poi la moto vi pare un po’ strabica, non è colpa vostra, ma di Luciano che, sostituendo la lampadina, ha causato la caduta del faro, prontamente sostituito con un altro non proprio uguale al precedente: nonostante nel frattempo abbia provveduto all’acquisto del faro originale direttamente dall’Inghilterra, il preparatore romano ha deciso di lasciare la moto così perché semplicemente la trova più simpatica: siete d’accordo?

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Un particolare dello scarico Galassetti che ha sostituito quello originale, che purtroppo non è risultato recuperabile in fase di restauro: il risultato finale non lo fa rimpiangere. A destra, il curioso del faro che ha sostituito quello accidentalmente rotto e che dona a questa Harris uno sguardo magnetico!

Particolare è anche la storia della colorazione della moto che inizialmente era rossa, per poi passare al giallo quando venne dedicata alle competizioni; nella fase di completo restauro della moto si è preferito fare una citazione della 750 SS di Imola 1972, utilizzando un colore argento caratterizzato da sfumature che si possono apprezzare solo a occhio nudo.

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Da questa foto si può intuire l’effetto particolare che dà la particolare vernice utilizzata su questa moto.

Ora però, che siamo giunti al termine di questa storia, vi dobbiamo dare due notizie, una buona e una cattiva: la buona è che questa Harris è in vendita, la brutta è che, visto la sua esclusività assoluta, il suo prezzo è sicuramente di quelli importanti: del resto, stiamo parlando di un esemplare unico, ricco di storia, molto interessante anche da un punto di vista tecnico, visto che anticipava di molti anni soluzioni tecniche che poi sarebbero entrate a far parte della storia Ducati. 

Foto di Paolo Grana

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