Ducati 900 Darmah SD: la tigre a coppie coniche

Ducati 900 Darmah SD: la tigre a coppie coniche

La 900 Darmah SD è stata la prima Ducati a montare l’accensione Bosch, le ruote in alluminio fuso e l’ammortizzatore di sterzo idraulico.

Nel 1976, il motociclismo conobbe una svolta epocale. La moda e le tendenze in fatto di stile dettarono nuovi standard e il mercato delle due ruote dovette adattarsi, migliorando il livello di ergonomia e alzando quello delle finiture.

Ducati rispose a questi dettami con la 900 Sport Darmah, l’interpretazione più radicale del bicilindrico desmodromico a coppie coniche.
Nel realizzare questo modello, la Casa di Borgo Panigale ebbe un approccio piuttosto pragmatico: la 900 SD rappresentava infatti la prima Ducati a impiegare gli strumenti e i comandi al manubrio di fabbricazione giapponese, l’accensione tedesca, le ruote in alluminio fuso e l’ammortizzatore di sterzo idraulico. Così come con la versione di 860 cc, Ducati decise di commissionare esternamente la parte stilistica di questo modello, affidandola a Leopoldo Tartarini, che all’epoca aveva già firmato altre realizzazioni della Casa bolognese, come la 750 Sport del 1973 e alcuni monocilindrici Desmo.

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Per la linea del Darmah, Ducati si affidò alle cure di Leopoldo Tartarini, il quale aveva già  disegnato altri modelli della Casa bolognese.

Il prototipo della 900 Sport Darmah fu presentato al Motor Show di Bologna alla fine del 1976. La parte meccanica era fortemente imparentata con la 860 GTS, ma in più c’erano i cerchi FPS in alluminio verniciati di argento da 18” (simili a quelli che equipaggiavano la Moto Guzzi 850 Le Mans), una terna di dischi frenanti Brembo da 280 mm, una coppia di strumenti Nippon Denso e un piccolo cupolino di plexiglas ancorato al manubrio.

Il motore installato sul prototipo era ancora molto simile a quello della 860 GTS, con il cambio spostato a sinistra e l’accensione Ducati Elettrotecnica. La moto fu chiamata Darmah, come la tigre di una novella per ragazzi scritta da Salgari.

Quando la 900 SD entrò in produzione, nel luglio del 1977, era cambiata rispetto al prototipo. Per quanto riguarda la parte elettrica e la componentistica, infatti, questo modello rappresentava un deciso passo avanti nella produzione Ducati, anche se alcuni particolari erano ancora in comune con la precedente 860. Nell’agosto del 1977, i primi esemplari fecero la loro comparsi in Italia e in Inghilterra, dunque la 900 SD può essere considerata un modello del 1977.

Ducati era già stata incoraggiata dal successo della Super Sport del 1975, pertanto Taglioni riuscì a persuadere la dirigenza di allora a produrre una nuova generazione di bicilindrici a coppie coniche da 900 cc. La gamma Ducati di allora doveva essere incentrata su modelli da turismo sportivo e, da questo punto di vista, la 900 SD ne rappresentava il fulcro.

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La distribuzione a coppie coniche è una finezza meccanica rimpianta da molti ducatisti.

La numerazione del motore della 900 SD inizia da DM860 900001. Questa sigla numerica sta a indicare che si tratta di un motore desmodromico con avviamento elettrico. Infatti, essa fu adottata anche sulla Mike Hailwood Replica 900 del 1984.
Uno degli aggiornamenti più importanti relativi al motore riguardò l’albero motore. Le bielle, invece, rimasero le stesse della 860 GTS. I modelli del 1977, che prevedevano una numerazione fino a 901228, impiegarono comunque l’albero motore precedente, con supporti di banco più piccoli. Non che il nuovo ovviasse definitivamente ad alcuni problemi di affidabilità, ma di sicuro la vita media del propulsore crebbe notevolmente.

Il cambio e la frizione, invece, erano le stesse della 860 GTS, anche se furono modificate le viti che serravano le molle della frizione. I pistoni da 86 mm a tre elementi di tenuta erano della Borgo, gli stessi che equipaggiavano anche la 900 Super Sport così come le valvole e gli alberi a camme.
Le prime 900 SD avevano inoltre gli stessi coperchi rettangolari dei cuscinetti degli alberi a camme della 900 Super Sport privi delle scritte “860”.

Anche le teste erano uguali a quelle della Super Sport, ma i condotti di aspirazione erano stati allargati per meglio accordarsi con i carburatori Dell’Orto da 32 mm di diametro.
Anche gli organi interni del cambio, come il selettore e alcuni ingranaggi, furono rivisti insieme ai componenti dell’accensione. Il comando del cambio fu spostato sul lato sinistro della moto, accanto al semicarter all’interno del quale era contenuta la frizione. Il basamento della 900 SD si distingueva dai precedenti dal momento che il cablaggio elettrico dell’accensione usciva dal semicarter della frizione e non più sotto all’attacco anteriore del motore. Inoltre, il coperchio dell’accensione elettronica non aveva più le scritte “860”.

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La serie carter quadri è meno considerata dai collezionisti rispetto ai più classici carter tondi.

L’accensione elettronica e l’avviamento elettrico rappresentarono, in pratica, le principali novità. L’accensione della Ducati Elettrotecnica fu sostituita con un’unità completamente nuova della Bosch, con i pickup sistemati all’interno del coperchio della trasmissione primaria. L’impianto tedesco era decisamente più affidabile del precedente, mentre a livello funzionale, l’accensione Bosch permetteva quattro regolazioni dell’anticipo.

A 900 giri, l’anticipo era di 9°, mentre a 1800 giri era di 16°, a 2800 giri era di 28° e a 4000 giri raggiungeva i 32°. L’impianto, tuttavia, non era autosufficiente a livello di alimentazione e, dunque, la moto non poteva più essere utilizzata priva di batteria, che sul modello in questione era una Yuasa B68 da 36 Ampere. Le candele erano della Champion L88A, mentre i relativi cablaggi erano della KLG.
Nonostante l’accensione elettronica fosse di serie, grazie a un motorino d’avviamento MT65B della Marelli, i primi esemplari di 900 SD venivano ancora equipaggiati con la pedivella per la messa in moto.

I carburatori Dell’Orto PHF 32 AD/AS “respiravano” attraverso dei filtri di plastica dura ed erano collegati ai cilindri attraverso dei collettori di metallo.
Così come sulla 860 GTS del 1977, alla sinistra della strumentazione c’era una leva di plastica bianca che azionava l’aria.

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I silenziatori di scarico erano Lafranconi, dalla forma allungata, con il destro caratterizzato da un’apposita svasatura per non interferire con la leva del kickstarter.
Per quanto riguarda i rapporti, invece, la 900 SD contava su un pignone da 15 denti e una corona da 38, mentre la catena aveva 106 maglie da 5/8×3/8”.

Il telaio della 900 SD era simile a quello della 860 GTS, anche se presentava alcune modifiche. Il telaietto posteriore era stato rivisto per offrire un piano di seduta più basso, mentre anche i tubi che scendevano verso il motore furono oggetto di variazioni.
Così come la 860, invece, il forcellone impiegava un eccentrico per regolare la tensione della catena.
L’equipaggiamento di serie della 900 SD prevedeva anche la presenza di un cavalletto laterale ancorato direttamente al telaio e il bloccasterzo era il classico Neiman con chiave separata rispetto a quella di accensione.

Le 900 SD del 1977, con telaio fino al numero 901173, impiegavano una forcella Ceriani con steli da 38 mm con foderi in alluminio lucidato e piastre di sterzo di colore nero. Sulla parte bassa dei foderi, vicino al perno ruota, erano applicati degli adesivi del produttore italiano di sospensioni.
Le prime 900 SD erano equipaggiate con la forcella della 860 GT e GTS, più lunga di quella adottata in seguito, con steli da 608 mm e molle da 525 mm di lunghezza.
Gli ammortizzatori erano della Marzocchi e, fino ai telai con numero 900989, erano lunghi 300 mm.

Ben presto, però, in Ducati ci si rese conto che l’abbinamento tra una forcella lunga e degli ammortizzatori corti non favoriva di certo la maneggevolezza. Pertanto, fu installata una forcella Ceriani più corta: questa aveva le stesse dimensioni di quella montata sulla 750, con steli da 580 mm e molle da 495.
Dopo il telaio numero 900900, furono sostituiti anche gli ammortizzatori Marzocchi con altri lunghi 315 mm.

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Il retrotreno, con i due ammortizzatori Marzocchi.

La 900 SD rappresenta la prima Ducati di serie a essere equipaggiata con ruote in alluminio fuso. Nel 1977 i cerchi Campagnolo erano verniciati color oro e avevano un disegno a cinque razze. Sulle ruote erano installati tre freni a disco da 280 mm, due davanti e uno dietro.
Le pinze erano le 08 della Brembo, per le quali erano disponibili due tipi di pastiglie: dure e morbide. Le pinze anteriori erano ancorate agli steli della forcella, sulla parte davanti, mentre quella posteriore era munita di un’apposita staffa di supporto. Le pompe di entrambi gli impianti erano le stesse della Super Sport, con la tubazione di quella posteriore che attraversava il parafango in plastica.

Mentre il cerchio anteriore aveva le stesse misure del precedente a raggi (2,15×18”), il posteriore era più largo (2,50×18”).
Nuovi erano anche i perni ruota, mentre i pneumatici delle prime 900 SD erano i Michelin M45, con l’anteriore da 3,50” e il posteriore da 4,25”.
Questo modello fu anche la prima Ducati a prevedere nella sua dotazione l’ammortizzatore di sterzo. Quest’ultimo era montato sotto alla piastra di sterzo inferiore e collegato direttamente al telaio. A livello di carrozzeria, la 900 SD era completamente nuova.
Il serbatoio del carburante in acciaio aveva una capacità di 15 litri ed era dotato di uno dei primi tappi che si ribaltavano attraverso un pulsante posto sulla loro sommità.
Il codino era in fibra di vetro e presentava la classica forma a coda d’anatra. La sella era rimovibile e sotto di essa c’era un piccolo scomparto dove riporre gli oggetti.

Nel 1977, le 900 SD erano rosse, con la scritta Ducati bianca sul serbatoio e una striscia filettata dello stesso colore che correva lungo i fianchi della moto. I fianchetti laterali erano in plastica, muniti di scritte SD 900. Sui primi esemplari non era presente l’adesivo della tigre, applicato solo a partire dal telaio numero 900600.

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La livrea di questo esemplare prevede una base nera con fascia color oro, filettata dello stesso colore, che attraversa la moto sia sul serbatoio che sul codone.

Entrambi i parafanghi erano in acciaio inox, con una porzione in plastica vicino al carburatore del cilindro verticale.
Sul lato sinistro della moto, in corrispondenza dell’attacco superiore dell’ammortizzatore, fu installata una maniglia cromata per issare la moto sul cavalletto.
La gommatura delle pedane era inedita rispetto ai modelli precedenti, così come la leva del freno posteriore (cromata) e il copricatena verniciato di nero.

Lo stesso vale per la strumentazione, che era completamente nuova rispetto ai precedenti modelli Ducati. Essa era della Nippon Denso, con il contagiri sulla destra, dotato di fondoscala oltre i 10.000, e il tachimetro, che arrivava fino a 220 Km/h, a sinistra.

Instrurments
La strumentazione con gli elementi a fondo bianco dalla grafica molto pulita e le spie luminose al centro.


Il faro anteriore era della Bosch e aveva un diametro di 180 mm, mentre al posteriore c’era sempre il fanale CEV, precedentemente utilizzato anche sulla 860.

Gli indicatori di direzione erano in plastica cromata della CEV, mentre in alluminio lucidato erano le leve del freno anteriore e della frizione. Il clacson Voxbell della 860, infine, fu sostituito con uno della Bosch completamente verniciato di nero.

Sulla 900 SD, l’impianto elettrico fu interamente aggiornato, anche in questo caso grazie a componentistica Bosch. La scatola dei relais e dei fusibili era montata sotto la piastra di sterzo superiore, in una posizione di difficile accessibilità.
I blocchetti elettrici sul manubrio erano della Nippon Denso. Il sinistro includeva il comando per le luci, per gli indicatori di direzione e per l’avvisatore acustico. Sul destro, invece, c’erano i pulsanti di avviamento e quello di massa.

Nel 1977 furono realizzati 1610 esemplari di 900 SD, anche se è difficile stabilire il momento esatto in cui si iniziò a produrre la versione del 1978. Le caratteristiche principali con cui identificare gli esemplari della prima serie, comunque, rimangono la livrea rossa e bianca, la forcella Ceriani e le ruote Campagnolo.

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