Ducati 125 4 cilindri: la storia del progetto

Ducati 125 4 cilindri: la storia del progetto

La storia della Ducati 125 quattro cilindri: senz’altro uno dei pezzi più pregiati della collezione Giancarlo Morbidelli che è andata all’asta.

C’è chi dice che la storia più bella sia quella che hai solo sognato. Di sicuro questa che vi presentiamo è una delle più costose, almeno a giudicare dalla cifra necessaria per acquistare la Ducati 125 quattro cilindri messa all’incanto dalla casa d’aste Bonham’s, assieme a numerosi altri pezzi della bellissima collezione di Giancarlo Morbidelli.

Ma questa non è una moto come le altre, ancorché rarissime e blasonate.

Questa è il sogno che non si è mai avverato, il primo passo dell’ingegnere Fabio Taglioni e della Ducati verso soluzioni che solo più avanti sarebbero state adottate in maniera sistematica.

Sul suo valore storico ci sono opinioni divergenti: Livio Lodi, curatore del museo Ducati, obietta che si tratta di un prototipo realizzato in esemplare unico e che non ha mai corso, dunque non ha una storia alle spalle e gli andrebbe attribuita la medesima importanza che hanno parecchi altri studi rimasti in embrione, chiusi nei magazzini di Borgo Panigale; Giancarlo Morbidelli la pensava all’opposto e spese parecchio tempo e denaro per entrarne in possesso e restaurarla.

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In queste immagini si apprezzano le parti principali di questa incredibile moto, fra cui spicca senz’altro il propulsore e la batteria dei quattro piccoli carburatori Dell’Orto.

Ognuno tragga le conclusioni che vuole, in ogni caso è una vicenda molto interessante che nasce dall’impegno della Ducati nelle gare della classe 125 nella seconda metà degli anni Cinquanta.

Erano i tempi delle moto da diporto, i grandi numeri si facevano con i modelli che oggi definiremmo di piccola cilindrata, fra 100 e 175 cc, e le corse servivano per venderli.

Dalle monocilindriche erano arrivate molte soddisfazioni agonistiche, ma oramai non bastavano più a reggere la concorrenza e nell’ultima prova del mondiale 1958, a Monza, era arrivata la nuova Ducati 125 bicilindrica.

Però Taglioni aveva l’asso nella manica e aveva cominciato a progettare un’altra 125 che avrebbe dovuto stabilire il nuovo limite della categoria.

La prima Ducati a quattro cilindri, o più precisamente una delle prime due, visto che negli stessi anni venne progettata anche la Apollo, questa destinata all’uso stradale, presentata nel 1963.

Inizialmente il motore della 125 aveva due valvole per cilindro, ma successivamente ne venne realizzato un secondo a quattro, e dunque fu la prima Ducati con quella soluzione, che però l’ingegnere romagnolo non portò avanti nei suoi progetti successivi, continuando a preferire le due valvole; non ebbe invece la distribuzione desmodromica, che già era stata adottata sulla 125 Trialbero, perché una cilindrata unitaria di appena 31 cc avrebbe richiesto meccanismi da orologiaio.

Aveva la distribuzione doppio albero a camme in testa comandata da ingranaggi e il cambio a otto marce, con il motore inserito in un telaio a doppia culla.

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Le due viste laterali della piccola Ducati da corsa.

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La moto si presentava bene, il guaio fu il solito: per fare la guerra ci vogliono i soldi e la Ducati di allora, sotto la gestione statale dell’EFIM, ne aveva pochi da spendere per le corse.

Tanto pochi che, alla fine del 1959, ritirò la squadra ufficiale, mantenendo però una “presenza fantasma” attraverso team “privati-ma-non-troppo” come la scuderia Speedy Gonzales, che guarda caso faceva capo a Franco Farnè, e successivamente la scuderia NCR. Portato avanti senza troppa convinzione, o per meglio dire senza troppi mezzi, il rivoluzionario progetto a quattro cilindri arrivò a compimento soltanto nel 1965.

Lo sviluppo della moto italiana era appena cominciato e Franco Farnè, pilota, collaudatore e braccio destro di Taglioni, la guidò sulla pista di Modena, dove la Ducati provava le sue moto da corsa.

«Secondo mio padre la 125 a quattro cilindri non era male – ricorda Giancarlo, uno dei due figli – ma il motore era adatto ai circuiti veloci piuttosto che a quelli lenti, perché aveva poco tiro in basso».

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Franco Farné prova l’esemplare unico della Ducati 125 a quattro cilindri al momento dell’esordio nel 1965.

Nel frattempo però i giapponesi non erano stati a dormire e l’anno prima, nel 1964, la Honda era scesa in campo nel motomondiale con la quattro cilindri RC146, cui sarebbe seguita, nel 1966, la cinque cilindri; aveva cominciato a andare fortissimo anche la Suzuki 125 bicilindrica due tempi, vincitrice dei mondiali 1963 e 1965 con Hugh Anderson, mentre la Yamaha, in quello stesso 1964, aveva schierato la nuova RA97 bicilindrica a due tempi.

La Ducati 125 quattro cilindri si trovò di colpo sorpassata dagli eventi: aveva 23 Cv a 14.000 giri contro i 25 Cv della Honda 4 cilindri e i 30 della 5 cilindri, per non parlare dei 34 dichiarati dalla Yamaha, forse un po’ troppi, probabilmente rilevati in un altro modo.

Sfumata la possibilità di raccogliere gloria nelle corse, la plurifrazionata bolognese fu accantonata e per un certo periodo il motore venne montato su di un kart per fare esperimenti per conto della Tecno, la quale costruiva vetture monoposto e aveva una stretta collaborazione con la Ducati.

Poi diventò una show bike: venne esposta ai saloni di Londra, Parigi e Milano e siccome la Ducati a quei tempi produceva anche motori industriali, venne portata come elemento di richiamo a una fiera agricola in Unione Sovietica.

Lì rimase, per misteriose ragioni burocratiche che si intrecciavano con la politica e resero impossibile riportarla in Italia.

Solo nel 1989 il motore venne rintracciato da un appassionato nel Riga Technical Museum in Lettonia, dove John Surtees riuscì a comprarlo e riportarlo in Europa.

Mancava il telaio e non è poco. Non era nemmeno possibile ricostruirne una copia fedele perché né l’operaio della Verlicchi che a suo tempo lo aveva realizzato, né l’ingegnere Taglioni che con grande disponibilità si era offerto di riprogettarlo, ne ricordavano le misure. Venne ritrovato quasi miracolosamente da Giovanni Perrone, grande esperto, collezionista e soprattutto amico di John Surtees.

Alla mostra scambio di moto d’epoca di Reggio Emilia, Walter Simonini di Trieste, lui pure collezionista, gli aveva mostrato le fotografie di una strana Ducati con il motore 250 monoalbero montato su un telaio molto più largo del necessario (per un monocilindrico) e con gli attacchi del motore posticci, ma con quelli originali ancora visibili.

Era “quel” telaio, acquistato alla fine del 1960 da Gilberto Parlotti, lui pure triestino, che quel motore Ducati monocilindrico lo aveva usato in alcune gare; poi era finito in Jugoslavia dove l’aveva scovato Simonini.

Surtees, avvertito da Perrone, lo acquistò e successivamente vendette tutto quanto a Morbidelli.

Messi assieme i pezzi del puzzle, all’industriale-collezionista non era rimasto che effettuare un impegnativo restauro, rintracciando tutta la componentistica dell’epoca e ricostruendo numerosi particolari, tra i quali il serbatoio.

Poi andò a prendere Farnè che confermò come il restauro fosse stato effettuato con tutti i crismi, certificando l’originalità di una macchina che forse non avrà fatto la storia, ma di sicuro ha acceso molti sogni.

Foto Bonham’s

Scheda tecnica Ducati 125 4 cilindri

MOTORE: Quattro cilindri fronte marcia, quattro tempi. Distribuzione doppio albero a camme in testa a quattro valvole per cilindro, comandata da ingranaggi. Cilindrata: 124 cc. Alesaggio e corsa: 34,5 × 34 mm. Rapporto di compressione 12:1. Alimentazione: quattro carburatori Dell’Orto SS1. Lubrificazione forzata a carter umido con pompa ad ingranaggi. Accensione a batteria con puntine e condensatori.

TRASMISSIONE: primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione a dischi multipli, cambio a otto marce.

CICLISTICA: telaio in tubi a doppia culla chiusa. Sospensioni: anteriore forcella teleidraulica Ceriani GP; posteriore forcellone oscillante e due ammortizzatori. Freni: anteriore e posteriore Oldani a tamburo. Pneumatici: anteriore 2.50 × 18”; posteriore 3.00 x 18”. Peso a secco: 85 kg.

POTENZA: 23 CV a 14.000 giri/’.

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