Sandro Artusi: i primi punti mondiali per Ducati

Sandro Artusi: i primi punti mondiali per Ducati

Il primo pilota Ducati che ha intascato punti mondiali è stato Alessandro Artusi, che fece l’impresa nella classe 125 sul circuito di Monza, al termine del Gran Premio delle Nazioni del 1956.

Molti tifosi Ducati sono stati col fiato sospeso in attesa del verdetto della Corte Internazionale di Appello, chiamata a decidere sulla regolarità della soluzione tecnica adottata sulla moto di Dovizioso nella prima prova del Mondiale GP 2019.

Erano in gioco punti molto importanti per la scalata alla vetta della classifica iridata.
Pochi, invece, si saranno chiesti quando la Ducati sia riuscita a conquistare i primi punti nel Mondiale, in quale cilindrata (non è scontato infatti che si tratti della 500) e chi era il pilota che ottenne questo prestigioso piazzamento.

La maggior parte degli appassionati indirizzerebbe la ricerca su campioni che hanno sfiorato il titolo, ma sarebbe un errore, perché il primo pilota che ha intascato punti mondiali è stato Alessandro Artusi (meglio noto come Sandro) ravennate di nascita, ma da anni residente a Forlì, che fece l’impresa nella classe 125 sul circuito di Monza, al termine del Gran Premio delle Nazioni del 1956.


A Monza, Artusi stabilì, già in partenza, anche un record che ha resistito per anni. Era infatti il più giovane pilota a partecipare a una prova del Mondiale, con soli 18 anni, e gareggiava al fianco di Alano Montanari, il più vecchio, che era in sella nonostante i 47 anni compiuti. Artusi è stato inoltre l’unico debuttante nel Mondiale e sul circuito di Monza che sia andato subito a punti, sfiorando addirittura il podio.
La gara vide la vittoria di Ubbiali sulla MV, seguito da Provini con la Mondial e dallo svizzero Taveri con la seconda MV ufficiale. Quarto si classificò Sartori con la seconda Mondial e quinto arrivò appunto Artusi con la Ducati 125 Desmo.

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L’Ing. Taglioni si congratula con un giovanissimo Artusi dopo il grande risultato ottenuto: quinto nella classifica generale nel Gran Premio di Monza del 1956 nella classe 125.

La quinta piazza fu un risultato di valore assoluto, cercato con la massima caparbietà dall’intero staff dell’Ingegner Taglioni, che stava costruendo il futuro della Ducati nelle gare internazionali puntando tutto sul Desmo.

Dopo l’exploit di Artusi, le rosse di Borgo Panigale hanno vinto numerosi Gran Premi e l’ultimo podio Ducati nella massima cilindrata, prima del grande “digiuno”, lo si è registrato nel Mondiale 1972.

Sono poi seguiti anni di grande amarezza, fino al trionfale ritorno col terzo posto di Suzuka colto da Capirossi nel 2003 (al debutto in MotoGP). Per tornare a sorridere, i ducatisti hanno quindi dovuto attendere ben 31 anni, un digiuno che sembrava non aver mai fine, nonostante in Ducati non ci si sia mai rassegnati.

La serie di successi internazionali, iniziata grazie alle mitiche Marianna progettate dall’Ingegner Taglioni, ha vissuto quindi un nuovo capitolo con la supremazia della Desmosedici di Stoner, rivitalizzata oggi dalla Desmosedici GP 2019 di Dovizioso.

Le grandi potenzialità delle Ducati avevano avuto il massimo suggello nel 1958, quando Gandossi perse il titolo della classe 125 cc cadendo all’ultima curva del GP d’Irlanda, prova conclusiva della stagione: in quell’anno, Gandossi si era imposto nei Gran Premi di Belgio e Svezia e Spaggiari nel GP delle Nazioni a Monza.
Nel 1959, Mike Hailwood tentò, senza fortuna, la scalata al Mondiale delle 125, ma si dovette accontentare di molti piazzamenti e della vittoria nel GP d’Irlanda all’Ulster: a fine stagione fu terzo nella classifica assoluta delle 125 e quinto in quella delle 250.

Gli ultimi punti mondiali per la Ducati, prima del grande ritorno di Capirossi, furono conquistati da Spaggiari nel 1972, terzo sulla 500 GP (progettata da Taglioni) nel Gran Premio delle Nazioni di Monza, alle spalle delle imprendibili MV di Agostini e Pagani, ma davanti alla Ducati di Paul Smart: fu la vendetta della 200 Miglia di Imola dello stesso anno in cui il pilota reggiano, all’ultimo giro, aveva dovuto cedere il passo all’inglese solo per mancanza di benzina. Nell’ultimo rifornimento infatti sulla sua Ducati 750, a causa di un problema tecnico, ne fu caricata una quantità inferiore rispetto a quella fornita a Smart.

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Spaggiari con la Ducati 500 GP a Imola nel 1972, qui in compagnia di Franco Farné.

Prendendo lo spunto dal Mondiale per classi, vale la pena ricordare che i primi punti conquistati dalla Ducati nel mondiale Superbike li abbia ottenuti Marco Lucchinelli in sella alla Ducati 851, nel 1988, nella gara di esordio della competizione sul circuito di Donington Park.

SANDRO ARTUSI

Nato a Ravenna il 25 maggio 1935 è stato pilota di valore nazionale e internazionale: da buon romagnolo si appassionò ai motori fin da bambino. Completate le scuole dell’obbligo, iniziò a lavorare come apprendista, approfondendo la conoscenza della meccanica.

Era dipendente in una concessionaria di Ravenna, dove operava principalmente sulla Lambretta, ma quando la concessionaria commercializzò le moto della Mondial, che stava vincendo gare a raffica, il giovane Artusi iniziò a mettere le mani su motori ai massimi livelli tecnologici.
Fu subito affascinato dalla tecnica motociclistica “spinta” e non riuscì a contenere la sua passione dilagante, coinvolgendo l’intera famiglia.

Aveva la determinazione assoluta di provare le sue doti di pilota e “martellava” genitori e parenti per ottenere il denaro indispensabile per acquistare una Mondial da Gran Premio.
Riuscì a centrare l’obiettivo, investendo 700 mila lire (frutto di una colletta casalinga); nell’officina di Ravenna dove lavorava iniziò a migliorare il suo gioiello che gli regalò subito soddisfazioni. Si fece le ossa nelle gare minori per juniores dimostrando di avere indubbie qualità agonistiche: i buoni piazzamenti ottenuti gli regalarono la soddisfazione di partecipare, a soli 17 anni, al Circuito di Rimini in sella alla sua Mondial.

Nonostante la moto vantasse uno sviluppo da gara non paragonabile a quella dei mezzi ufficiali, si mise in luce, tanto da destare l’interesse dell’Ingegner Taglioni. In quegli anni, Taglioni, abbandonato il ruolo di docente in un istituto tecnico e di progettista alla Ceccato, era il responsabile progetti della Mondial e stava puntando al titolo mondiale con le sue straordinarie creazioni affidate a piloti del calibro di Provini.

Taglioni apprezzò le grandi doti di Artusi e convinse il Conte Boselli, proprietario della Mondial, a inserirlo nel gruppo dei piloti ufficiali della marca bolognese.
Poiché non aveva ancora i 18 anni indispensabili per correre come seniores, la carta d’identità venne abilmente corretta (era pratica abbastanza frequente in quel periodo storico) e il giovane talento ottenne così il tesseramento FIM. La carriera di Artusi si arricchisce così subito di vittorie importanti prima con Mondial, ma soprattutto con Ducati, che divenne presto la sua moto preferita.

Il suo passaggio a Borgo Panigale ha motivazioni simili a quelle che spinsero Taglioni a fare il grande passo. L’ingegnere se ne andò dopo contrasti col Conte Boselli (proprietario della Mondial) che a volte non apprezzava le sue idee e, nel corso di un’importante premiazione, gli riservò un trattamento non adeguato alle sue qualità e alla qualifica che ricopriva.

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Fabio Taglioni (al centro) fu testimone alle nozze di Sandro Artusi: questo a dimostrazione del forte legame che univa l’Ingegnere al pilota ravennate.

Anche Artusi cambiò marca perché, in occasione di gare importanti, non gli vennero affidati i migliori motori che erano forniti invece al figlio di un concessionario Mondial di Roma, un ragazzo che non era certo al suo livello come risultati e comportamento in gara.

Taglioni ovviamente facilitò il passaggio di Artusi in Ducati, garantendo di persona al dottor Montano, direttore generale Ducati, che sarebbe stato un acquisto molto fruttuoso, non solo sul piano sportivo: Taglioni aveva grande stima e amicizia per Artusi, tanto che fu anche suo testimone di nozze e lo ospitava a casa sua quando Artusi doveva restare a Bologna più giorni per lavoro.
Artusi godeva di un buon contratto che gli garantiva lo stipendio mensile di 50 mila lire come pilota ufficiale (il doppio di un tecnico specializzato), più 10 mila lire come collaudatore. Aveva inoltre la possibilità di mangiare a mezzogiorno a spese Ducati in un ristorante vicino alla fabbrica!

Le prove delle moto da gara e di produzione le faceva, insieme a Farnè e agli altri “meccanici volanti”, sul rettilineo che da Borgo Panigale porta a San Giovanni in Persiceto.

Durante il periodo Ducati, la familiarità con Taglioni gli procurò anche la chance di trasferirsi alla MV. L’ingegnere infatti aveva avuto un’offerta stratosferica da Cascina Costa, ma rifiutò per l’amore che nutriva per la “sua Ducati”.

Anche Artusi, che aveva ricevuto una ricca offerta sempre dalla MV come collaboratore di Taglioni, non ci pensò due volte e rimase a Borgo Panigale per continuare il prezioso lavoro intrapreso sotto la guida dell’amico direttore.
Dal reparto corse Ducati, l’unico che non seppe dire no fu Ruggero Mazza, che fece comunque una scelta vincente: come pilastro del reparto corse MV colse infatti grandi risultati, anche grazie all’abilità di assi assoluti del calibro di Giacomo Agostini.

Come pilota, all’inizio della carriera, Artusi si aggiudicò in pratica tutte le prove disputate sui circuiti della Romagna (Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Cesenatico) nelle classi 125 e 175.

Il piazzamento che lo inserisce di diritto nella storia Ducati resta il quinto posto (su 44 partenti) colto a Monza nel GP d’Italia del 1956, in sella alla 125 cc, che era agli esordi mondiali. Era in pratica la stessa moto che aveva vinto il GP di Svezia sul circuito di Hedemora, nel luglio del 1956, pilotata da Degli Antoni.

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Una foto storica che riprende tre fortissimi colleghi di Artusi in sella alle Ducati: da destra, Gandossi, Maoggi e Degli Antoni.
Il GP di Svezia nel 1956 però non era valido per il Mondiale e per questo motivo fu Artusi, col quinto posto di Monza, a regalare i primi punti alla Ducati in un campionato del mondo.

Pochi giorni prima, durante le prove in vista del Gran Premio delle Nazioni a Monza, Degli Antoni morì troncando una carriera che sarebbe stata luminosissima.
Tutti i tecnici infatti erano concordi nel pronosticargli un avvenire ai massimi livelli mondiali e i successi a raffica, colti fino a quel momento, lo confermavano.

L’incidente di Degli Antoni

Nella tragica giornata di test a Monza, Taglioni era in pista con Artusi perché le prove le avrebbe dovute svolgere lui: le cose sembravano andare nel verso giusto, perché Artusi iniziò a girare a buon ritmo tra la soddisfazione generale.

Un impellente bisogno fisico però lo costrinse ai box, dove Taglioni non mancò di rimproverarlo per la sosta non prevista che rallentava il lavoro di affinamento della 125: Degli Antoni si offrì subito di sostituirlo per un breve periodo e Taglioni accettò di buon grado, consapevole che le impressioni di un super campione e ottimo collaudatore come Degli Antoni sarebbero state importanti: così salì in moto e partì, ma i presenti al box rimasero presto “gelati” perché, dopo pochi secondi, non si avvertì più il rombo della moto.

In molti, tra loro Artusi e Taglioni, corsero verso la curva di Lesmo e trovarono Degli Antoni sul muretto interno con due rivoli di sangue che gli scendevano lungo il viso. L’intervento dell’ambulanza fu abbastanza rapido, visti i tempi, ma le speranze che non fosse nulla di grave furono vanificate dopo poche ore.

Il piazzamento mondiale di Artusi a Monza dimostra la sua freddezza e professionalità come pilota, perché gareggiare e tenere duro dopo un evento tragico di quella portata non è da tutti.

A fine gara non nascose, infatti, che ogni volta che passava sul punto dell’incidente si sentiva gelare il sangue, ma poi la tensione della gara e la speranza di fare il miracolo lo portarono a concentrarsi unicamente su quanto stava avvenendo in pista.

Non va dimenticato, poi, che Alano Montanari, pilota romagnolo con cui aveva un ottimo rapporto (essendo anche stato compagno di camera tanto che lo si può considerare il suo maestro), prima di Monza gli fece addirittura una lezione ad hoc sul circuito: gli illustrò il modo ottimale per effettuare un giro da record e i segreti che campioni come Ubbiali e Provini usavano nell’affrontare curve e avallamenti dell’asfalto: grazie ai suggerimenti di Montanari, al debutto su quel tracciato, dopo pochi giri abbassò il suo crono di quasi cinque secondi inserendosi subito tra i migliori.

Artusi ha corso con una Ducati 125 anche nel Motogiro del 1956, finendo al terzo posto di classe sport e settimo assoluto. Ha partecipato con una Ducati 100 cc Formula due al Motogiro del 1957, classificandosi secondo alle spalle di Mandolini. Il suo bilancio completo dei tre Motogiri che ha disputato riporta anche sette vittorie di tappa di classe.

Un “record” personale a cui Artusi tiene moltissimo è quello di aver battuto Giacomo Agostini nella gara in salita Coppa della Consuma: Artusi, sulla Ducati 125, chiuse la prova in 9 minuti e 48 secondi, mentre Agostini sulla Morini 175 finì staccato di quattro secondi.

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Qui siamo al Motogiro del 1956, una delle competizioni più seguite all’epoca, un vero e proprio tour de force sulle strade italiane. Sandro Artusi, qui ripreso in piena azione, si classificò al terzo posto in sella alla sua Ducati 125.

La carriera di Artusi, purtroppo, è stata molto breve: a soli 21 anni è dovuto uscire di scena perché la fidanzata era rimasta incinta; a quel punto doveva pensare ad assicurare un reddito alla famiglia che stava costruendo più che a sfrecciare sui circuiti. I piloti in quegli anni non godevano certo di grandi entrate e di importanti coperture assicurative, anche se erano di ottimo livello come Artusi.
La sua ultima gara l’ha disputata sul circuito stradale ricavato sui viali di Marina Romea, ovviamente in sella a una Ducati.

I punti ottenuti al debutto mondiale del Desmo sono i più qualificanti del suo palmarés e resteranno per sempre anche la sua maggior soddisfazione come pilota.
L’intero staff dirigenziale della Ducati considerò il suo quinto posto al pari di una vittoria nel mondiale, perché nessuno si aspettava che un pilota così giovane potesse fare un risultato tanto importante.

Taglioni, nei giorni precedenti la gara, gli aveva raccomandato di stare sereno e tranquillo, perché un piazzamento anche solo entro i primi 20 (alla partenza si presentarono in 44) sarebbe stato considerato ottimale: non va dimenticato poi che la Ducati 125 muoveva i primi passi in una gara ufficiale, aveva 17,5 cavalli e come velocità di punta pagava circa 30 Km/h a MV e Mondial.
Ai box si fece una vera festa che attenuò in parte il dolore per la perdita di Degli Antoni. Taglioni, commosso, l’abbracciò a lungo e gli fece ottenere anche un premio dalla direzione generale Ducati.

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Artusi in compagnia di un grande interprete delle corse motociclistiche nelle piccole cilindrate negli anni Settanta, l’indimenticato Otello Buscherini, purtroppo scomparso in gara al Mugello nel 1976.

Artusi era al settimo cielo perché viveva una favola incredibile; per uno come lui, che fino a quel momento aveva gareggiato solo sui circuiti di provincia, correre a Monza davanti a 200mila persone era come passare d’incanto da una balera alla Scala.

Il suo grande rimpianto è stato quello di aver dovuto lasciare le competizioni nel 1958, proprio nel momento in cui poteva fare il grande salto mondiale grazie alla Ducati che nel frattempo aveva tolto le carenature (che lui odiava perché si sentiva soffocato) e aumentato la potenza dei motori di ben 20 cavalli. In alcune gare disputate in precedenza, aveva avuto la prova che, anche piloti affermati come Gandossi e Spaggiari, erano finiti alle sue spalle e poteva quindi aspirare ai massimi gradini internazionali.

Lasciate le piste, non abbandonò le moto, perché divenne concessionario Ducati a Ravenna.
In questo ruolo, ha continuato a salire settimanalmente in sella nei mercati che si tenevano periodicamente in tutta la provincia: andava infatti di persona a far conoscere i prodotti Ducati che allora non erano molto conosciuti.
In Romagna, le marche più affermate erano Guzzi, Gilera e Morini, ma Artusi riuscì presto a creare una fedele schiera di acquirenti mostrando sul posto le doti delle Ducati: conosceva bene poi il “rito” di vendita che prevedeva il benestare non solo del capofamiglia, ma anche della “arzdoura” che era quella che custodiva il patrimonio di famiglia.

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Artusi commercializzò con ottimi risultati non solo le moto perché, nel periodo in cui la Ducati importava la Triumph, vendette a tutta la Ravenna benestante una quantità impressionante di Spitfire e TR4. Decise poi di restare nel settore auto, divenendo concessionario Opel per oltre 50 anni.
La passione per le moto, ovviamente gli è rimasta intatta e in televisione non perde una gara del Mondiale, tifando con ogni energia per Dovizioso, suo concittadino, con cui ha ottimi rapporti e incontra anche nelle serate organizzate dagli appassionati.

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