Hyper R6: possono andare d’accordo un telaio giapponese e un motore italiano?

Hyper R6: possono andare d’accordo un telaio giapponese e un motore italiano?

L’Hyper R6 è una moto che unisce il telaio di una Yamaha R6 al motore di una Ducati Hypermotard. Blasfemo?

Il classico traliccio Ducati lascia il posto al telaio di una Yamaha R6.
Che ne pensate?

Nessuno aveva mai osato tanto e non solo dal punto di vista tecnico. Se infatti eravamo già abituati, in tema di bicilindrici Ducati a due valvole con raffreddamento ad aria, a vedere i più arditi trapianti motoristici dalla ciclistica di serie a quella, ben più evoluta e performante, dei modelli con cui a Borgo Panigale hanno caratterizzato la famiglia Superbike dalla 916 in poi, vedi anche le numerose special che popolavano lo scenario dell’ormai estinta categoria Supertwins, mai e poi mai ci saremmo aspettati che un Desmodue “andasse a finire” in una struttura telaistica dalla tipica impostazione giapponese!

Proprio così, quella che stiamo per presentarvi è, almeno dal punto di vista concettuale, una sorta di sacrilegio alla vista del quale, nella migliore delle ipotesi, i puristi potrebbero gridare allo scandalo.

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Il nome della moto è Hyper R6 e già da questo dichiara le sue origini, differenziandosi dalle special artigianali motorizzate Ducati che siamo soliti vedere. Il risultato è senz’altro il frutto di un grandissimo impegno tecnico, ma anche da un punto di vista estetico la moto risulta valida, proporzionata e agile, così come d’obbligo considerato il suo utilizzo esclusivo in pista.

Decenni di tradizione legata al caratteristico telaio in traliccio di tubi accantonati in favore di un doppio trave scatolato in alluminio con relativo forcellone che, per di più, “costringono” il motore a un’innaturale rotazione all’indietro, perdendo così l’iconica disposizione a L.

Siamo d’accordo con voi: un vero ducatista non può tollerare così tante “eccezioni alla regola” tutte insieme! Già con la Panigale è stato fatto un salto notevole rispetto agli standard cui molti appassionati del Marchio erano abituati, ma questo è davvero troppo!

Tuttavia, mettendo per un attimo da parte l’orgoglio per gli oltre quarant’anni di storia legata ai bicilindrici Ducati, vale comunque la pena di analizzare questa moto perché, almeno da un punto di vista puramente esecutivo, presenta degli aspetti interessanti.

Innanzitutto, bisogna riconoscere che, per quanto ardito, questo genere di intervento è stato condotto con una certa maestria. Non era facile far convivere due unità, motore e ciclistica, che tra di loro non hanno veramente niente in comune.

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Il propulsore di questa special, infatti, è quello di una Hypermotard, mentre telaio, forcellone e ruote provengono da una Yamaha R6: ad amalgamare il tutto è stata la SC Motor di Vicenza, non nuova a iniziative di questo tipo.

Il propulsore di questa special è quello di una Hypermotard, mentre telaio, forcellone e ruote provengono da una Yamaha R6

In pratica, l’obiettivo di Silvio, il titolare, era quello di osare; così, sommando gli effetti di una caduta sul circuito di Misano con la R6 e il fatto di avere a disposizione una Hypermotard incidentata, si è deciso di fare qualcosa di unico, dando vita a questa Hyper R6!

 

Il telaio Over

L’azienda giapponese Over Racing Project, capitanata da Kensei Sato, verso la metà degli anni Novanta realizzò un interessante telaio a traliccio costituito da tubi in alluminio a sezione ovale. Tale telaio fu impiegato anche dall’australiana Vee Two per la loro special, realizzata in tiratura limitata, denominata Squalo. Un esemplare di questo telaio è giunto anche in Italia, più precisamente in quel di Via Cavalieri Ducati 3: si narra che fu testato per valutarne le sue caratteristiche, anche in ottica di un’eventuale produzione di serie. In questo senso, fu allestita la motociclettazz che vedete in foto, che utilizza il motore due valvole da 900 cc.
A quanto pare, dopo vari test, l’idea di utilizzare tale telaio fu abbandonata in quanto era praticamente impossibile alloggiarvi al suo interno un airbox; inoltre, data la sua particolare conformazione, anche la semplice sostituzione della candela risultava improba. Il prototipo fu quindi abbandonato e lasciato in un angolo, fino a quando non fu acquistato dalla nostra casa editrice.
Il telaio, oltre che visivamente bellissimo, è caratterizzato da un’estrema leggerezza e da quote ciclistiche sportive, che la rendono estremamente maneggevole e reattiva; forse anche troppo, in quanto ne risulta una moto a cui bisogna sempre dare del “lei”, prendendosi poche confidenze. Il tutto è evidenziato dalle sue quote ciclistiche: interasse di solo 1375 mm, inclinazione del cannotto di sterzo di 23°, avancorsa di 100 mm: praticamente, una moto da corsa!
In effetti, la moto così allestita è talmente pronta che a volte sembra quasi voglia precedere le intenzioni del pilota! Una sensazione che si evidenzia anche da ferma, in quanto il suo peso ridottissimo colpisce proprio quando la si sposta a motore spento. Al di là delle considerazioni tecniche, poi, inevitabile un commento positivo sulla sua linea piacevole e lineare, ancora di più esaltata dal bellissimo serbatoio in alluminio sapientemente verniciato dalla Tp Design di Massa. A quanto ci risulta, questo dovrebbe essere l’unico esemplare di Ducati con telaio Over presente in Italia.

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Come dicevamo, al di là della “legittimità” di una simile scelta, un conto è immaginare di metterla in pratica, un altro è far sì che tutto funzioni come si deve.

Silvio si è pertanto dovuto occupare di tante complicazioni tecniche, come ad esempio l’allineamento dei vari elementi che compongono la trasmissione finale, primo tra tutti il pignone, che di solito non necessitano di particolari attenzioni dando vita a una special “normale”.

Una volta stabilito come posizionare il motore affinché il tiro catena fosse ottimale è partita una lunga serie di adattamenti per far convivere le forme del Desmodue all’interno del telaio della R6 che, lo ricordiamo giusto a titolo di cronaca, di solito ospita un quattro cilindri in linea di 600 cc.

Per fare questo, sono state necessarie ben 350 ore di manodopera, che lo stesso Silvio ha trascorso saldando, limando e lavorando un impressionante numero di particolari, oltre ad essersi impegnato per risolvere un altro problema non da poco: trovare lo spazio necessario per realizzare un airbox sufficientemente capiente senza che il serbatoio del carburante interferisse con il collettore di scarico proveniente dal cilindro posteriore.

Alla fine, Silvio ha optato ancora una volta per una soluzione atipica, dividendo letteralmente in due il deposito della benzina, con un’unità superiore della capacità di 4,5 litri, sufficiente per fornire carburante ad alta pressione agli iniettori, e una inferiore da 7,5 litri che, tramite una pompa elettrica, rifornisce costantemente quella superiore, recuperando a sua volta la benzina in eccesso per caduta.

In questo modo, il bellissimo impianto di scarico di tipo 2 in 2 trova modo di svilupparsi liberamente, con un silenziatore nella parte bassa, sul lato sinistro, e uno sotto al codone, in corrispondenza del quale è stato realizzato un specifico collettore, dal layout particolarmente sinuoso che ne ottimizza la lunghezza.

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 La componentistica è di altissimo livello, con sospensioni Bitubo e ammortizzatore di sterzo Öhlins. Adattare il motore dell’Hypermotard al telaio della R6 non deve essere stato per niente facile, come dimostra il particolare della foto in basso a destra. Infine, molto complesso il giro del collettore che termina nello scarico sotto la coda.

Il bicilindrico a due valvole beneficia anche di una frizione antisaltellamento, mentre sia il basamento (fuso in terra) che i corpi farfallati sono di una 996 Sbk.

Alla Hypermotard appartenevano invece le pinze Brembo anteriori e la forcella, che è stata modificata in modo da adattarsi alle nuove quote ciclistiche, oltre ad essere dotata di cartucce ECH Bitubo specifiche per la R6. Sempre della Bitubo è l’ammortizzatore XXF che gestisce la sospensione posteriore e, a quanto pare, così configurata la moto ha fornito ottimi riscontri fin dai primi test in pista, avvenuti nell’ottobre del 2014, grazie anche a un peso che, in ordine di marcia, supera di poco i 160 Kg.

Riuscito, almeno dal punto di vista formale, è anche il lavoro che Silvio ha svolto a livello estetico, lasciando sostanzialmente invariate le forme della R6 nella parte anteriore e aggiungendo quelle della Aprilia RSV4 per quanto riguarda il codone e il serbatoio.

Se avessi realizzato tutto artigianalmente o se la provenienza di certi componenti non fosse così evidente, – spiega Silvio – credo che questo mio esperimento avrebbe suscitato una reazione diversa. A me interessava soprattutto dare una dimostrazione delle competenze relative alla SC Motor, dando vita a un progetto complesso ma al tempo stesso affidabile da ogni punto di vista. La Hyper R6 si guida con facilità, grazie alla sua incredibile maneggevolezza, è efficace e, perché no, anche bella da vedere. Era esattamente questo ciò che volevo ottenere!”.

Nel complesso, dunque, la moto appare ben proporzionata, oltre che razionale e dotata di innegabile cura. Certo, i ducatisti duri e puri non potranno che condannarne l’incoerenza in termini di bagaglio tecnico, ma è pur sempre vero che, trattandosi di un mezzo da pista, il suo obiettivo principale non è quello di essere per forza di cose coerente con i valori della tradizione, ma di risultare quanto più efficace e performante possibile.

Del resto, anche la Desmosedici attualmente impiegata in MotoGP ha un telaio a doppio trave in alluminio!

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Questo articolo ha un commento

  1. Salvo

    Scusate…ma non capisco dov’è lo scandalo e la novità…la bimota credo abbia fatto più volte roba del genere col motore ducati…db1 fino alla db10 o mi sbaglio?

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