Ducati Cucciolo, un gigante

Ducati Cucciolo, un gigante

Appena finita la Seconda Guerra Mondiale c’è un’Italia che rialza la testa e si rimette in moto.

Il simbolo di un’Italia che non si e’ arresa

Ci sono cose che lasciano un segno che va ben oltre il valore che sanno esprimere: il Cucciolo, motore ausiliario per bicicletta nato da un’idea programmatica dell’avv. Aldo Farinelli e dalle geniali intuizioni tecniche del perito industriale Aldo Leoni, è senza dubbio una di quelle. Il Cucciolo fa parte a pieno titolo della storia del motociclismo italiano, ma è soprattutto uno dei pilastri della mobilità sociale del dopoguerra in Italia, in parte anche in Europa, e per sporadici casi addirittura nel mondo. L’idea di dare a tutti la possibilità di spostarsi con un mezzo affidabile sulle approssimative strade scampate ai bombardamenti, su un motociclo dai costi contenutissimi, dalla piena affidabilità e semplicità di gestione è stata dell’avvocato Farinelli. Il legale torinese, fin da bambino appassionato di moto, aveva svolto un’indagine conoscitiva anche all’estero convincendosi che l’idea era vincente e che si poteva partire “imitando” un similare progetto francese portato a compimento dall’ingegner Giuseppe Remondini (ex progettista della Frera di Tradate, poi trasferitosi alla Jonghi francese), adattandolo ovviamente alle esigenze del mercato italiano.
Appena finita la Seconda Guerra Mondiale c’è un’Italia che rialza la testa e si rimette in moto.
Farinelli si procurò i disegni del motore francese (andò anche a Parigi con il tecnico Leoni) e li consegnò, insieme a una sua attenta analisi del futuro prodotto che aveva in mente, al ragioniere Giorgio Ambrosini, titolare della SIATA di Torino, che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, stava riavviando l’attività in un capannone situato nella zona industriale torinese.
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Testimonianze di un'epoca lontana, dove il Cucciolo giocò un ruolo importante, in quanto permise, con poca spesa, di motorizzare le biciclette, allora l'unico mezzo di locomozione di un popolo che stentava non poco a riprendersi dagli orrori della Guerra.
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La SIATA è stata sempre un’azienda innovativa che ha sfornato a getto continuo propri mezzi originali o evoluzioni molto valide di prodotti altrui. In particolare ha operato nel settore della elaborazione sportiva di vetture da competizione per conto terzi, spesso aveva commissioni dalla Fiat.
L’idea di partenza era quella di riprodurre il motore di nascita francese, ma ben presto si capì che sarebbe stato più utile, e forse più facile e produttivo, crearne uno completamente nuovo, di concezione diametralmente opposta.

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Il motore francese, infatti, era un due tempi con rullo di propulsione sulla ruota ed era a trazione diretta, senza cambio e frizione. Il Cucciolo di Farinelli-Leoni fu invece, nella sua versione definitiva, un quattro tempi con trasmissione a catena che agiva sul mozzo posteriore e cambio, inizialmente a due velocità, poi salite fino a quattro grazie alle “invenzioni” di alcuni artigiani e alla evoluzione dei motori Ducati e dei telai su cui si montavano i Cuccioli; non mancò neppure la versione T 0 senza marce, con presa diretta, ma non ebbe la fortuna commerciale che si sperava.


Ducati Cucciolo, il salto di qualità

Il salto di qualità si perfezionò grazie al lavoro e alle idee del “padre meccanico” del Cucciolo, il tecnico Aldo Leoni, che non solo gli ha dato concretezza tecnica ma ne ha plasmato le forme iniziali e il primo sostanzioso remake seguendo una propria filosofia tecnico-costruttiva che è andata ben oltre la base di partenza scelta dall’avvocato Farinelli, in parte vincolata al progetto francese dell’ingegner Remondini.
Proprio l’originalità tecnica dell’idea di Leoni ha fatto la fortuna del Cucciolo perché gli ha regalato visibilità, credibilità e duttilità indispensabili per ottenere il risultati che ci si prefiggeva.

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Il libretto d’uso e manutenzione del cucciolo T50 del 1955

Al successo ha poi contribuito anche la lungimiranza della Ducati, nella persona dell’Ingegner Rosi, che fu prontissimo a cogliere una doppia opportunità: la prima rappresentata dalla necessità di far lavorare una fabbrica che mostrava chiari “buchi” produttivi, mettendo in linea prodotti di avvenire che potessero impiegare la manodopera e le linee disponibili nei capannoni in fase di ricostruzione: la seconda originata da una produzione a grandi numeri che la SIATA di Torino non era in grado di assicurare.
A Torino ci si rese subito conto, infatti, che, visto il successo del Cucciolo, era necessario “girare” gran parte della produzione a una ditta più attrezzata e duttile: per questo motivo si avviò una collaborazione con la CANSA di Novara, azienda di proprietà FIAT, che aveva anch’essa vuoti produttivi e che in seguito si specializzò in realizzazioni per le Ferrovie.
Ma fu il salto in Ducati a risolvere per sempre il problema perché, oltre ad assicurare una produzione in linea con la richiesta, portò addirittura all’acquisto del brevetto da parte della Ducati stessa che iniziò così a produrre il Cucciolo in esclusiva.
L’avvocato Farinelli aveva previsto che la SIATA non sarebbe stata in grado di andare oltre la fase di progettazione del nuovo prodotto, infatti furono realizzati appena cento propulsori, e si era quindi interessato per reperire una ditta che potesse assicurare grandi numeri in fase di produzione. La CANSA inizialmente rappresentò la soluzione ad hoc, ma poi si decise di tentare il salto di qualità con la Ducati che disponeva di linee produttive potenti, mirate alle richieste degli anni a venire.
La Ducati si può quindi considerare madre a pieno titolo del Cucciolo, perché è stato proprio dai suoi stabilimenti di Borgo Panigale che sono uscite le centinaia di migliaia (si calcola approssimativamente 350-400 mila esemplari) di figli Cucciolo che hanno messo in moto l’Italia.
Per venti anni, il Cucciolo ha rappresentato un vero e proprio fenomeno sociale, ha consentito a metà degli italiani di muoversi con una facilità in precedenza sconosciuta, ha fatto tendenza anche nei ceti più abbienti, ha in sostanza riportato in strada una popolazione che stava riscoprendo il gusto di vivere dopo una guerra che aveva causato milioni di morti e sofferenze indicibili a vinti e vincitori.
Il Cucciolo ha riavvicinato una nazione che era stata spaccata da lotte politiche, una nazione che aveva bisogno assoluto di comunicare, di incontrarsi; con i media di allora, il contatto personale era alla base di moltissime relazioni economiche e sociali che oggi vengono semplicemente attivate con una e-mail o una telefonata sul cellulare.
La nascita del Cucciolo, la sua vita, il suo sviluppo irrefrenabile sono sempre stati frutto di intuizioni geniali di qualche persona che ha saputo cogliere l’attimo fuggente, la sfaccettatura positiva, l’opportunità commerciale che la creatura di Leoni-Farinelli rappresentava.

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Il Cucciolo, giustamente, ha il suo posto d’onore all’interno del rinnovato Museo Ducati.

Non va dimenticato infatti l’input “unico” dato anche dal commerciante milanese Secondi, considerato a quei tempi il re delle concessionarie auto-moto nel milanese che, con un ordine di 1500 esemplari fatto dopo una veloce analisi del progetto e dei disegni, fu il volano che obbligò la SIATA a una produzione di taglio prettamente industriale del Cucciolo, in contrasto con quanto inizialmente si pensava.
In partenza, infatti, era stata ipotizzata una produzione artigianale, l’unica che era in grado di assicurare appunto la SIATA, impossibilitata a dare vita a una catena di montaggio vera e propria.

Il Cucciolo, dunque, ha molti padri e un’unica madre “doc”, la Ducati che, proprio grazie a questo suo figlio, è stata ampiamente ripagata dei notevoli sforzi fatti, espandendosi, assicurando lavoro a numerose maestranze bolognesi, raggiungendo una notevole stabilità economica.
La Ducati ha in sostanza ribadito col Cucciolo la sua propensione a rivestire il ruolo di azienda innovativa, all’avanguardia in ogni campo in cui si è cimentata, lanciando sempre prodotti di notevole “peso” tecnologico e dalle interessanti aperture commerciali: i condensatori Manens, ad esempio, il Cucciolo, le macchine fotografiche e, ai giorni nostri, i bolidi della Moto GP, gli unici prodotti europei che sanno battere i colossi giapponesi, nonché i gioielli della Superbike che da tantissimi anni fanno incetta di vittorie e titoli mondiali.

Un esempio inimitabile

Il Cucciolo Ducati resta forse un esempio inimitabile di come l’intelligenza e la perizia tecnica di poche persone possano farsi strada nel mondo, anche con prodotti di tecnologia non elevatissima, ma pur sempre molto innovativa.

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Come evidenzia la foto, si arrivò ben presto a concepire appositi telai per ospitare il piccolo motore: una delle più attive in questo senso fu la Aero Caproni di Trento.

Nelle varie versioni (alcune realizzate anche all’estero su licenza Ducati) che hanno scandito la sua vita, il Cucciolo ha sempre presentato qualche novità di rilievo e anche il suo definitivo addio ha di fatto dato vita a prodotti più “mirati” alla nuova realtà sociale che si stava delineando.
Si è passati, in sostanza, da un motore ausiliario per bicicletta, quale era il Cucciolo, alloggiabile su ogni tipo di telaio, a un vero e proprio ciclomotore come è inteso ai giorni nostri; un mezzo concepito con specifiche più elevate, indispensabili per soddisfare le esigenze degli spostamenti odierni, non solo per fini lavorativi. Il Cucciolo ha dato il via a un processo irreversibile e irrefrenabile che ha già avuto e avrà evoluzioni molteplici, molto sofisticate, ma che non potrà mai rinnegare e dimenticare una partenza semplice e operaia come quella impersonata appunto dal Cucciolo.
I requisiti che lo imposero sono tuttora attuali: prezzo di acquisto limitato (anche se poi le regole del mercato, l’inflazione e la richiesta sostenutissima lo fecero lievitare notevolmente), consumi irrisori di carburante anche di pessima qualità, costi di manutenzione quasi inesistenti, grande affidabilità e duttilità (che portò alla nascita di centri specializzati nella elaborazione delle bici, per rendere più confortevole la marcia, più che del motore) e ingombro trascurabile nel traffico e nel parcheggio, sono state le sue carte qualificanti.
Il Cucciolo resta un esempio di genialità e praticità e il successo che stanno ottenendo oggi le bici elettriche ribadiscono che l’intuizione di Leoni-Farinelli era vincente.

Un Cucciolo in omaggio a Enzo Ferrari

L’originalità e validità del Cucciolo destarono l’ammirazione anche dei massimi rappresentanti del motorismo mondiale: Enzo Ferrari, che ne possedeva uno già nel 1946, ne ebbe in dono un altro dalla Ducati. Lo utilizzava per andare a caccia e per questo aveva fatto costruire due capienti scatole porta cartucce in cuoio per le calibro 12 sistemate sul parafango posteriore. Il Cucciolo, dotato di mozzi Siata, veniva usato dal Drake anche per spostarsi all’interno dei circuiti della F1 ed esistono foto che lo ritraggono a fianco del Cucciolo insieme a Manuel Fangio che lo usava, prestato da Ferrari, per gli spostamenti nel paddock.
Anche in queste forme di promozione pubblicitaria si può ben dire che era già stato inventato tutto, anche se i paddock moderni riservano un lusso che nei tempi eroici del dopoguerra non era neppure ipotizzabile.
Ferrari prediligeva il Cucciolo e ne fu affascinato per la sua duttilità, ma lo analizzò a fondo anche per trarne spunti tecnici che poi furono sviluppati sulle Rosse: si dice che l’idea del famoso cambio con preselezione a imbocchi obbligati, che fu impiegato inizialmente sulle vetture da gara e poi utilizzato anche sulle granturismo, gli sia nata utilizzando il Cucciolo.
Infine, un genio della meccanica come Soichiro Honda se ne fece spedire uno in Giappone, dove fu analizzato nei minimi particolari, anche se poi non si conoscono sviluppi giapponesi diretti o indotti sulla produzione Honda dalla osservazione del Cucciolo.
Di sicuro Honda gli rese omaggio battezzando col nome Cucciolo una sua creazione a due tempi (molto più semplice del Cucciolo italiano).

Questo articolo ha 3 commenti.

  1. Noel A Spalding

    Again, where to start. At least Siata is discussed rather than Ducati alone, but still, a lot of inaccuracies…

    Farinelli would not have had the opportunity to go anywhere between 1943 and 1945, nowhere; a full scale war was going on. I doubt he would have been able to travel before the war either so this “fact-finding investigation abroad”, I’m not so sure. I’m also a bit suspicious of Siata operating out of a “Shed” too. There are a lot of such comments in the article which is ‘flowery’ in style. I think for example it’s a little fictional to claim Ferrari was influenced by the design. Where is the source for the claim that Honda had one sent to Japan? The islands were under full-scale military embargo until 1949 and it would have been unlikely any contact would have been allowed between former axis powers.

    As with the other article; T1 and T2 Cucciolo’s had only two gears. The “inventions” were hubs. As for T0’s; nobody knows really what they were for or why they were made: they would have been suicidal without any means of stopping them. I don’t think it was a “commercial” decision at all. At least 3, 204 were made and my guess is that they were to be static engines.

    Ducati’s contribution to the Cucciolo was indeed that they had the ability to batch-manufacture but Siata wasn’t interested in getting into motorcycles; they were a racing company. The Cucciolo and later the 200cc Clipper were just side-lines for the owner. Siata apparently kept producing the T1, the T1-b until 1955; there is a Siata manual dated from then. Yes, there is a surviving manual that illustrates a T0 fitted to a frame, but again, there is no means to stop or disengage the engine.

    “just one hundred were made”; not correct. The T1-a’s had at least 4,073 made. The 45’ version about 3,900, and the 46’ version, which was a different engine in so far as the cases and dimensions were different, had reportedly only 100 made by March 1946. Cameri (Cansa) produced the T2-SC, which pre-dated the T2-D or T2-V1 “Primo” and was almost certainly designed by Siata. Ducati were only licensed to produce at first. (Cansa was after the factory facility, it wasn’t the name of the company.) Cameri also had little interest in production and never identified their engines as “Cansa’s” (at least 4,424 were made).

    Cucciolo’s were not produced in 350,000-400,000 quantities. Something just over 260,000 were made (Including licensed Rochers) and the fifteen different engine types spanned from 1945 till 1958, thirteen, not twenty years. Ducati ‘upgraded’ components like the T3 head but it didn’t design anything completely “New” until the 98cc pullrods came out. Their first frame, the 60-V1 was a copy of the Caproni 60-M1 although the 65cc frames were their designs. This “Mother” thing is really just fictional hyperbolic writing.

    1. Redazione

      Dear Noel, we really appreciate your passionate comment on this article. We can only confirm you that Giuliano Musi is one of the most important Italian journalists, a deep connoisseur of the subject, and author of many books in the motorcycle sector. Then, of course, it is very difficult to give certain data on such a difficult and complicated period as the post-war one.

  2. Noel A Spalding

    You are right. I’ve only written two books on Cucciolos. Would you like to run one?

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