999 R, cronaca di un lunghissimo restauro

999 R, cronaca di un lunghissimo restauro

Una 999 R dalla brillante carriera, con molte parti speciali degne d’attenzione, riportata a nuova vita da una grande appassionato.

Di Marco dell’Aquila.

La moto che vi presentiamo in questo servizio nasce ufficialmente come 999 R Endurance, quindi derivata dalla versione stradale, poi preparata con le dovute modifiche finalizzate a renderla conforme al regolamento per le gare di durata: inizia a competere già dalla stagione 2004 nel campionato mondiale Endurance, grazie all’impegno di una struttura privata che all’epoca si chiamava Team Spring (in futuro sarebbe diventato il Team Barni), capitanato da Carlo Tanugi come manager, mentre Marco Barnabò e Davide Scardovi avevano la direzione tecnica.

I piloti erano gli italianissimi Lorenzo Mauri, Maurizio Gennari e Matteo Colombo.

Dopo una prima stagione 2004 di apprendistato, nel 2005 arrivarono notevoli upgrade anche da parte di Ducati Corse e così venne assemblata la moto di cui parliamo in questo articolo.

999_r_ducati_endurance (7)Il motore, per questioni di affidabilità (un motore SBK non avrebbe retto gare di 6/8/12 ore), rimase la versione originaria R con specifiche AMA, equipaggiato di carter fusi in terra, albero motore AMA (differiva sia dalla versione R che dal più leggero RS) con bielle in titanio, cambio racing, testate dell’ultima versione R con semiconi e valvole in titanio.

L’impianto di scarico è un Termignoni ufficiale da 63,5 mm con terminale Zard (sia per questioni di sponsor che meccaniche dello stesso, essendo il Termignoni in titanio troppo fragile).

Il corpo farfallato era quello di serie, con iniettori a 12 fori montati su trombette a torretta ricavate dal pieno, il tutto inglobato in un airbox maggiorato in carbonio della EVR con condotti aria Ducati Corse modificati nell’attacco per essere montati su questo speciale airbox.

La parte elettronica beneficiava di una centralina Mec Tronik modello MKE4 che gestiva il cruscotto totalmente digitale della AIM e il cambio elettronico Ducati Corse. Il cablaggio era fatto su misura per questa moto, unendo connettori standard per alcune componenti (come pompa benzina, fari ecc) a connettori racing di tipo militare per molte altre parti (come bobine, dashboard, ecc).

Vennero poi montate tutte le sovrastrutture Factory, a partire dal telaio F04 fino al forcellone scatolato più lungo; poi piastre di sterzo con avancorsa regolabile, telaietto posteriore e pedane factory, radiatori acqua e olio maggiorati della MB Motorsport come sulle moto ufficiali.

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In queste foto (a proposito, grazie alla Bimecc Engineering Spa che ci ha ospitato per la location) si può ammirare il livello di questo vero e proprio restauro. La moto, infatti, nelle condizioni in cui è arrivata nella disponibilità di Marco Dell’Aquila, accusava tutti i segni della sua lunga carriera sportiva.

Un’attenzione particolare la merita l’avantreno di questa moto: di base la forcella è uguale alle classiche racing montate sulle SBK del mondiale, ma se scendiamo nel dettaglio è doveroso notare come il piedino (ricavato dal pieno) goda del sistema a sgancio rapido della ruota, preso in prestito dalle moto del campionato AMA (già visto sulle Ducati di Kocinsky, Russell e Bayliss per le gare della 200 Miglia di Daytona).

Con questo particolare sistema, il supporto del parafango era infulcrato alla base del piedino forcella (vedi foto) tramite una speciale staffa e svolgeva così funzione portante: veniva sfilato il perno, i piedini (insieme alle pinze) ruotavano verso l’esterno facendo uscire agevolmente la ruota.

Il tutto sfruttava dischi Brembo Racing da 305 mm di diametro, modificati nel profilo della pista frenante (veniva stondato il profilo per evitare che si incagliassero nella discesa e risalita della ruota) e una coppia di copri mozzi in alluminio sempre volti ad agevolare le fasi di montaggio e smontaggio rapido.

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Una visione senza veli della moto.

La posizione delle pinze, Brembo Racing assiali monoblocco, era fissa e non permetteva quindi il montaggio di dischi freno di diverse dimensioni (come nelle cugine Sbk).

Al posteriore venne montato il forcellone factory accoppiato a un monoammortizzatore di derivazione R con aggiunta del precarico molla idraulico e il link sospensione racing ricavato dal pieno (un dettaglio importante è stato scoprire, durante il restauro, l’incisione “Team Spring” alla base del piede ammortizzatore, questo ad avvalorarne ancor di più la storia e l’autenticità).

Moltissime componenti, come già detto, sono state create appositamente per questa moto a livello artigianale: ad esempio, il serbatoio maggiorato in alluminio (capienza 24 litri) è stato fatto su specifiche del team da un artigiano modenese in soli 5 esemplari (solo due arrivati ai giorni nostri) e ha la peculiarità di avere due tappi a pressione per il rifornimento rapido; da una parte entrava la benzina e dall’altra parte usciva l’aria, rendendo il rifornimento del Team Spring il più rapido di tutto il parco moto del mondiale endurance.

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La particolare configurazione del serbatoio utile per il rifornimento rapido e l’impianto appositamente utilizzato per compiere al meglio l’operazione.

Lorenzo Mauri mi raccontava che costruì lui stesso in garage il riempitore a depressione per questo particolare serbatoio (visibile nella foto sopra) unendo due bocchettoni provenienti dalle gare automobilistiche.

Un altro esempio di prototipazione in questa moto lo troviamo nei fari, necessari per le prove in notturna: all’anteriore vennero posizionati due faretti di tipo poliellissoidale montati sfalsati su di un supporto rimovibile in fibra di carbonio.

Il faro posteriore, invece, è modellato su un guscio anch’esso di carbonio, seguendo la linea della protezione calore scarico e posizionato sul lato destro del codone. Tutta la carenatura proviene dal modello Sbk ed è in fibra di carbonio e kevlar.

Per quanto concerne il restauro non è stato dei più semplici, in quanto ci sono voluti ben tre (3) anni di lavoro impiegando il tempo libero che avevo a disposizione.

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Lunghissimo il lavoro di ripristino della moto, con la ricerca di tutti i componenti mancanti, operazione certo non semplice data la configurazione racing della stessa.

Quando comprai la moto (era in condizioni davvero precarie e in totale stato di abbandono) non ne conoscevo bene la storia, che ho scoperto man mano che smontavo e pulivo ogni componente, trovando poi immagini dell’epoca e conoscendo le persone che ci hanno lavorato con passione e dedizione.

Uno di questi è stato Davide Scardovi, preziosa memoria storica e grande aiuto nel riuscire a reperire alcune componenti che altrimenti sarebbero state introvabili.

Il motore mancava purtroppo dei suoi carter originali, andati rotti durante una delle ultime gare amatoriali compiute dalla moto, quindi ho dovuto comprare dei carter fusi in terra modello AMA e far riassemblare il motore seguendo le giuste specifiche tecniche.

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Anche le teste non erano più le sue, ma fortunatamente, dopo qualche ricerca, ho scoperto chi le aveva acquistate come ricambio per poterle a mia volta ricomprare: in tutte queste operazioni le mani esperte di Fabio Nanni hanno fatto la differenza, riuscendo a ripristinare strutturalmente il motore dalla A alla Z.

Nel frattempo tutte le componenti in carbonio che erano chiaramente deteriorate sono state rimesse a nuovo, mentre le parti sulle quali non era possibile intervenire (per esempio le pedane con la laseratura originale o la piastra di sterzo superiore) sono state lasciate nel loro stato di conservazione originario.

Altro grande aiuto e sostegno durante questi anni di lavoro l’ho ricevuto da Lorenzo Mauri, il quale mi ha fornito materiale fotografico e ricambi preziosissimi (il riempitore/rifornitore ora fa parte del corredo moto grazie a lui).

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Successivamente al motore, sono passato alla sistemazione e mappatura della parte elettronica, per la quale mi sono rivolto all’officina Rossi Racing, dove la moto è stata controllata, rifinita e messa su banco prova per tutti i settaggi, compresi i sensori e il cambio elettronico (una scelta quasi obbligata, essendo Rossi l’unico elettronico ad avere le interfaccia e tutti gli strumenti per dialogare con l’ormai sorpassata centralina Mec Tronik).

La livrea è stata realizzata interamente da chi la curava nel 2005, ovvero la carrozzeria 2S, per la quale hanno usato i medesimi colori e stessi adesivi, il tutto sotto trasparente per conservarlo nel tempo (all’epoca non davano il trasparente per via delle frequenti cadute e conseguenti riverniciature).

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